Nostro Signore non è venuto a sopprimere, ma a perfezionare. Il matrimonio resterà quello che è nel diritto naturale: lo scambio e l'unione di due volontà per la procreazione. Ma nostro Signore, non ignorando punto la difficoltà dello stato coniugale, farà dello scambio delle due volontà unite un sacramento, cioè un rito apportatore di grazia divina. Ciascuno dei due coniugi, unendosi all'altro, lo arricchirà di un supplemento di grazia santificante. Già tutti e due per unirsi dovranno essere in
stato di grazia, perchè il matrimonio è un sacramento dei vivi; ha, cioè, per scopo di intensificare la vita divina già esistente in fondo all'anima. Quindi, sposandosi, i due coniugi si regaleranno a vicenda, invisibilmente, un poco più di divino.
E poichè il matrimonio è un contratto — uno scambio di due « sì », che dà a ciascuno il pieno diritto sull'altro — c'è in esso questo di speciale, che non c'è bisogno di nessun ministro particolare diverso dai due interessati. Qualche volta si dice: «
Mi ha sposato il Reverendo tale ». L'espressione non è esatta; non è il sacerdote a sposare i due
fidanzati; ma sono i fidanzati stessi che si sposano. Essi sono i ministri del sacramento che ricevono, del quale sono nel medesimo tempo il soggetto. Il sacerdote è presente come testimonio in nome della Chiesa; testimonio necessario perchè il matrimonio sia valido; ma sempre semplice testimonio.
C'è quindi nel matrimonio sacramento, come pure nei due sposi una dignità eminente, ed essi sono l'uno per l'altro veicolo di grazia e di divino.
L'unione che è importata dal contratto verte su due punti: unicità della coppia e indissolubilità. La quale duplice esigenza della unità e dell'indissolubilità nostro Signore ha richiamato mentre faceva del matrimonio un rito apportatore di grazia divina.
Unità: uno, una. « Saranno due in uno », diceva già la Genesi; ma, attesa la grossolanità e la cocciutaggine umana, s'erano introdotte le forme della poligamia. Orbene, nostro Signore le proscrive e la Chiesa ha sempre avuto cura di
esigere l'osservanza della legge. Del resto la esige lo stesso amore, che consiste in una realtà così intima e profonda. Viverla in molti o in parecchi esemplari ad una volta è contrario allo stesso buon senso naturale. La legge divina non, fa che confermare l'esigenza fondamentale, in favore della quale militano anche la coesione della famiglia e la felicità dei figli.
Indissolubilità: unione permanente, che non può essere sciolta che dalla morte di uno dei coniugi. L'Enciclica di Pio XI, Casti Connubii, così ne parla a quanti fossero tentati di dimenticare: « ... L'unione coniugale fra un uomo e una donna determinati non ha altra origine che il libero consenso di ciascuno dei due sposi. Questo atto libero di volontà, per il quale ciascuna delle due parti dà e riceve il suo proprio diritto coniugale, è così necessaria per avere un vero matrimonio che nessuna potenza umana potrebbe supplirlo. Tale libertà, tuttavia, riguarda soltanto un punto: se i contraenti, cioè, vogliono effettivamente entrare nello stato matrimoniale e con quella determinata persona. Ma l'essenza del matrimonio è assolutamente sottratta alla libertà dell'uomo; di modo che chiunque l'abbia una volta contratto si trova immediatamente soggetto alle sue leggi divine e alle sue
proprietà « essenziali ».