Spiritualità
della vita coniugale
Lo sviluppo virtuoso della vita soprannaturale
La grazia
sacramentale costituisce la base e il sostegno continuo della vita spirituale nel matrimonio; ma, come ogni grazia sacramentale, è un germe destinato a crescere mediante la fedele e docile ma libera corrispondenza ad essa.
La fedele e docile corrispondenza alla grazia costituisce la vita virtuosa: e poiché la grazia santificante infusa dal Battesimo e perfezionata dagli altri Sacramenti comporta tutta una ramificazione soprannaturale, che investe tutte le potenze spirituali e le loro articolazioni
- sono le virtù infuse soprannaturali -, lo sviluppo della vita soprannaturale consiste nello sviluppo delle virtù infuse soprannaturali: nel far sì che queste « capacità d'agire a modo di Cristo » prendano un possesso sempre più totale, stabile e profondo di tutta la vita dell'anima.
Tra le virtù infuse soprannaturali, tre hanno fondamentale importanza, perché sono come i « piloni », le strutture portanti di tutta la vita cristiana: sono le virtù teologali:
fede, speranza e carità.
Su queste si appoggiano e da queste derivano le cosiddette virtù morali infuse, le quali non sono altro che il risultato della permanente influenza
delle virtù teologali, particolarmente della carità, sulle grandi articolazioni della vita morale
- prudenza, giustizia, fortezza, temperanza -, per orientare costantemente e sempre più perfettamente tutta la vita morale al pieno sviluppo della vita e dello spirito di Cristo in noi.
Supponiamo nota ai lettori la dottrina teologica relativa alle virtù teologali e morali, ed alle leggi che governano il loro sviluppo in generale Ci limitiamo qui a indicare le caratteristiche proprie che queste virtù devono acquistare nelle persone sposate per divenire virtù cristiane
perfette, rispondenti alle esigenze della vocazione loro propria.
Le virtù teologali nelle persone sposate:
La Fede
« Il giusto vive di fede » insegna ripetutamente S. Paolo (cfr.
Ront. I, 17; Gal. 3, II; Ebr. Io, 38): e l'affermazione vale anche per le persone sposate.
La vita familiare cristiana ha bisogno di essere costantemente illuminata e alimentata dalla fede per conoscere esattamente il proprio fine, dirigere i propri sforzi, comprendere e vivere profondamente il significato di tutte le azioni: in una parola per « camminare nella luce ».
Quando parliamo di fede in questo contesto intendiamo due cose: un insegnamento rivelato e un atteggiamento spirituale, una « mentalità ».
Soltanto la parola di Dio, la dottrina rivelata, manifesta al cristiano le dimensioni reali della sua vita coniugale: gli insegna che l'amore
coniugale, quando è perfetto, è il simbolo meno lontano dell'amore divino per l'umanità redenta dalla grazia; che
l'amore coniugale cristiano può e deve imitare quella profondità e generosità che ha caratterizzato l'amore di Cristo per la sua
Chiesa; che ogni atto d'amore ed ogni minimo gesto quotidiano, con cui due sposi cristiani rafforzano onestamente la loro comunione ed adempiono il proprio compito nella famiglia, non hanno soltanto un valore ed una finalità terrena, ma soprannaturale ed eterna, perché accrescono in loro la vita soprannaturale ed aumentano il tesoro di grazia con il quale essi possono arricchire il cammino dei
figli.
Insegna che la vera ricchezza ed il fine della loro vita personale e dei figli
è la vita e la salvezza soprannaturale.
La conoscenza di queste
dimensioni soprannaturali del matrimonio e della famiglia influisce sui giudizi che vengono formulati circa la vita familiare, i suoi problemi e sulle scelte
relative, tanto più quanto maggiormente essa è chiara e
costantemente presente nell'animo: soltanto se è costantemente illuminato da questa visione soprannaturale del matrimonio e di tutte le sue realtà, il cristiano sposato è «figlio della luce » e
«cammina nella luce » (cfr. Giov. 12, 36; Ef. 5, 8; Giov. I, 7).
La formazione e lo sviluppo della fede nel significato e nel valore soprannaturale del matrimonio cristiano è la prima esigenza e il primo dovere del fedele perché possa vivere secondo lo « spirito cristiano » la sua nuova vita.
In altri tempi, ed in parecchi luoghi ancora oggi, la formazione di questa « coscienza soprannaturale » del matrimonio e della famiglia avveniva
mediante la comune predicazione e l'insegnamento catechistico, rafforzato da un patrimonio di spirito di fede e di saggezza soprannaturale cristiana che si trasmetteva di generazione in generazione per l'opera educatrice della famiglia, e si esprimeva spesso sotto forma di sentenze, di proverbi e di folclore cristiano. Difficilmente potrebbe però oggi bastare questa via ad una formazione sufficiente della fede necessaria ai cristiani sposati: la
minore ricchezza di spirito e di saggezza cristiana nel costume familiare comune, assieme con la maggiore autonomia personale dei giovani rispetto agli anziani, fanno sì che le famiglie giovani oggi tendano a formarsi da sé le convinzioni e le linee direttive sulle quali costruire la propria vita. Per questo oggi è più necessaria che non nel passato una profonda formazione di fede: per resistere alla mentalità dell'ambiente, tutt'altro che cristiana; per illuminare con la luce cristiana tutti i problemi familiari, compresi i nuovi che l'evolversi rapido del costume frequentemente propone.
Le giovani famiglie cristiane sentono questo bisogno e da esse sono nati quei movimenti di spiritualità familiare, il cui scopo principale è di aiutare i cristiani sposati ad approfondire la conoscenza del valore spirituale e soprannaturale del loro Sacramento, ed a nutrire in comune un impegno di coerenza cristiana ".
V'è poi un altro aspetto della vita familiare, il quale esige e stimola un
nuovo approfondimento dello spirito di fede: sono le sofferenze e le crisi.
La vita familiare non è fondata sulla sofferenza: non ci si sposa per
soffrire, ma per essere felici; e neppure Dio Padre chiama i suoi figli alla vita di matrimonio e di famiglia per farli soffrire, ma perché abbiano a
coltivare « la giustizia, la pace e la gioia nello Spirito Santo » (Rom. 14, 17).
Ma nella vita familiare, come in ogni altra forma di vita cristiana, la
sofferenza e la croce non possono mancare ed assumono anzi spesso una violenza particolare.
Proprio perché il matrimonio e la vita familiare impegnano tutto l'uomo con tutte le sue facoltà e particolarmente con le sue facoltà affettive, le sofferenze e i distacchi causati da incomprensioni, da malattie, dalla morte scuotono più profondamente tutto l'essere e suscitano molto spesso in modo assai acuto il problema del dolore.
Se poi si aggiunge che le crisi familiari e i distacchi dolorosi si presentano talvolta in modo brusco (una malattia fulminante, un incidente improvviso, un peggioramento della salute, ecc.); e d'altra parte che i genitori hanno una più profonda
esperienza dell'amore paterno e delle sue cure attente ad evitare ogni dolore ai figli, si comprende facilmente come per essi possa talvolta divenire più difficile che per altri cristiani mantenere intatta la fede nella bontà paterna di Dio, sotto la prova.
Sono i momenti nei quali la loro fede deve crescere fino a diventare eroica per durare, e deve purificarsi da quel tanto di limitato e di interessato che prima forse ancora la permeava.
Quest'ultima riflessione indica anche la seconda caratteristica
fondamentale che deve assumere la fede nelle persone sposate: si tratta per essi soprattutto di vedere la famiglia con l'occhio di Dio. E questo riguarda in modo particolare i fini che Dio si propone chiamando i suoi figli alla vita familiare:
il fine prossimo che Egli assegna ad ogni famiglia è di crescere nella grazia attraverso l'accettazione della Sua santa volontà e l'adempimento dei doveri derivanti dalla propria vocazione; il fine ultimo è la famiglia futura ed eterna del Paradiso, dove i membri saranno uniti a Dio e spiritualmente uniti tra loro secondo la misura con cui si saranno aiutati a vicenda per conformarsi alla volontà del Padre.
Tenere costantemente presenti queste finalità e dimensioni
ultraterrene della vita familiare è la condizione indispensabile perché gli sposi possano fare delle scelte cristianamente illuminate in tutte le contingenze della loro vita, e perché possano avere sempre la luce che li guida anche nei momenti in cui i disegni dell'amore paterno di Dio sono più
difficilmente intelligibili alla nostra limitatissima vista umana.
È questo
soprattutto lo spirito di fede che essi devono coltivare. A differenza del primo aspetto della fede propria alle persone sposate,
- la coscienza del valore soprannaturale del matrimonio, - che può essere sviluppato in comune con altre famiglie, questo spirito di fede deve essere una conquista delle singole persone e delle singole famiglie: è l'atto con cui la persona e la famiglia si mettono in comunione con Dio Padre e con il Figlio di Lui Gesù Cristo, ne scrutano e ne assimilano le intenzioni e í giudizi, per amarne ed attuarne i disegni.
Frutto di preghiera, di meditazione, talvolta di una accettazione dolorosa ma docile della divina volontà, esso cresce con gli anni e la corrispondenza alla grazia: precede e segue nel medesimo tempo il crescere nella speranza e nella carità.
I
rapporti tra le virtù teologali, fede, speranza e carità, sono complessi, come sempre i rapporti tra i vari fattori componenti un'unica realtà vivente. La fede alimenta la speranza e la carità, così che chi ha più fede trova aperta una via più facile al crescere nella speranza e nella carità. Ma d'altra parte, chi ama di più crede più facilmente e spera con maggior abbandono; e chi ha più viva e ferma speranza si rafforza pure nella fede e tende a crescere nell'amore. V'è quindi una duplice linea di influenze vicendevoli, ascendente e discendente, fra le virtù teologali; è indubbio però che la fede sta all'inizio, la carità al termine in rapporto alla perfezione.
La Speranza
Se c'è una virtù cristiana particolarmente necessaria alle persone sposate è la speranza: non una qualunque speranza, ma la speranza cristiana. Si può dire che la possibilità di durare nella piena attuazione di tutti
i compiti della vita cristiana per una famiglia dipende dalla speranza che la sostiene: e talvolta per durare fino alla fine si richiede una speranza eroica.
Già lo spirito di fede, al quale accennavamo poco sopra, è tutto
imbevuto di speranza: si crede a Dio nella misura in cui ci si fida della Sua parola, cioè della verità e sincerità del Suo volere di donare in una vita futura quella piena e perpetua unione spirituale tra le persone che si amano, che è l'aspirazione immanente ad ogni vero amore.
Ma vi sono alcuni problemi ed alcuni momenti cruciali che fanno meglio comprendere come deve svilupparsi la virtù della speranza negli sposi e genitori per essere pienamente capace di informare la loro vita. L'aspetto più facile da comprendere nella virtù della speranza è la fiducia in
Dio. La necessità di questa speranza è qualcosa di cui si
convincono facilmente i cristiani sposati, se appena sono attenti alle esigenze spirituali della loro vita: non occorrono molti decenni, normalmente, per accorgersi della sproporzione tra le proprie forze e le molteplici difficoltà della vita familiare. Vi sono anzitutto le difficoltà comuni ad ogni cristiano: dei rapporti tra l'egoismo e la virtù, la natura e la grazia, e la constatazione frequente delle proprie sconfitte o della propria permanente mediocrità: deve soccorrere una grande speranza nella inesauribilità dell'amore di Dio per non abbandonare la lotta, rassegnandosi ad una definitiva mediocrità e lasciando le cime della perfezione « agli angeli e ai passerotti ». Questa difficoltà comune si acuisce quando, come spesso avviene nella vita familiare, i problemi diventano molto complicati, i doveri si incrociano, si sovrappongono, si contraddicono, esigendo
uno sforzo sovrumano ed una dispersione di energie che esaurisce, e vi si aggiunge magari la prospettiva che la situazione debba durare a lungo: le bocche da sfamare con í debiti da pagare, i figli da assistere e da educare con una malattia cronica, una lunga malattia o altre gravi ragioni che impediscono la normale vita coniugale, ecc. Ed almeno nel periodo della prova si fosse uniti a portare la croce! Ma, proprio a farlo apposta, quando l'unione è più necessaria, sembra che crescano le incomprensioni e le difficoltà vicendevoli; e non è purtroppo rarissimo il caso che l'uno venga meno al proprio impegno cristiano e lasci l'altro solo, con una difficoltà e un problema in più. Molte famiglie e moltissime persone sposate,
- tutte, forse - esperimentano queste difficoltà, e sanno che in certi momenti diventa tanto facile adattarsi ... alla linea comune, la linea del minor sforzo spirituale, se non ci si rifugia in Dio, se non si attinge da Lui una nuova forza: la fiducia che l'impegno per una vita cristiana non è vano, che non ci si sciupa
inutilmente, che Egli non abbandona chi in Lui confida, anche se tutti gli uomini
- compresi talvolta i Suoi ministri - vengono meno. Sono le circostanze in
cui la speranza cristiana da dono infuso che si inserisce nel gioco normale
dei desideri e delle speranze naturali per orientarli verso Dio e la vita
soprannaturale, deve diventare una virtù matura del cristiano adulto, che si
appoggia su Dio e Dio soltanto, e sa durare nella fedeltà a Lui anche
quando tutti gli appoggi terreni vengono meno. È evidente che questa
speranza, tutt'altro che segno di debolezza, è virtù dei forti.
Una seconda occasione, in cui la necessità della speranza si manifesta riguarda le difficoltà spirituali dei figli e dello sposo. Vi sono le
grandi difficoltà: un figlio che perde la fede, un marito o una moglie che
perde la testa. Ciò può avvenire per tanti motivi, per colpa anche dei
genitori o dell'altro coniuge; ma pure in moltissimi casi senza nessuna colpa di chi soffre. Nell'una e nell'altra ipotesi la speranza cristiana è
l'àncora di salvezza necessaria: nel primo caso (cioè in tutti quelli in cui vi sia anche una qualche responsabilità personale) per non disperare di se stesso e dell'altro; per non pensare che Dio abbia castigato o castighi per sempre; per non perdere la fiducia del ritorno e per accettare la propria parte di sofferenza, quella che Dio chiede, per favorire il ritorno. Nel secondo caso, per attendere con pazienza le « lunghe more » con cui Dio Padre riconduce a casa i figli prodighi. Era la speranza richiesta ai cristiani durante il periodo iniziale della Chiesa e il periodo delle
persecuzioni: « dinanzi a Dio un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno: non ritarda il Signore la Sua promessa, come certuni pensano, ma Egli usa pazienza per riguardo a voi, non volendo che alcuno perisca ma che tutti ritornino a penitenza » (2
Pt. 3 , 8-9). Per un povero cuore umano, un cuore di padre e di madre, un cuore di sposa che prega e che soffre, non soltanto mille anni ma ogni giorno che passa, e non lascia
intravvedere nessun cambiamento, costituisce una dura prova e richiede un rinnovato atto di fiducia nel volere misericordioso di Dio e nella efficacia della grazia. Fu la speranza di Monica e la sua collaborazione preziosa a dare alla Chiesa un Agostino: dalla qualità del risultato si può supporre la qualità della virtù che ha contribuito ad ottenerlo. Ma più comuni e frequenti sono le difficoltà quotidiane della vita
spirituale dei figli a tenere in apprensione i genitori cristiani: i difetti di
carattere, le crisi di sviluppo nei vari momenti cruciali dell'adolescenza e della giovinezza, le influenze scolastiche nocive, l'influenza dell'ambiente e delle
compagnie alle quali non sempre si possono sottrarre. Uno dei crucci
più frequenti dei genitori cristiani d'oggi è appunto quello di constatare la
difficoltà e l'insufficienza della loro influenza educativa sui figli a mano a mano che questi crescono ed avanzano verso la adolescenza e la giovinezza: la molteplicità delle influenze e delle occasioni pericolose cui sono
esposti, le reazioni imprevedibili che avvengono in loro, e la constatazione del
fallimento, almeno apparente, dell'azione educativa di genitori pur buoni ed ottimamente intenzionati non fa che accentuare, con la preoccupazione, il timore e la sfiducia in un risultato positivo della propria. Non
si intende qui indagare le cause complesse di questi ultimi fatti e di queste
constatazioni, ed è pure doveroso riconoscere che tra le cause occorre anche mettere la
inesperienza o i veri difetti educativi di molti genitori; resta però sempre vero che le cause generali sono molto più importanti e pericolose che
non quelle individuali, e non sono eliminabili dalla buona volontà dei singoli.
Proprio per questo i genitori cristiani oggi, di fronte alle difficoltà
dei figli, hanno bisogno di essere sostenuti da una grande speranza:
dalla fiducia che il Signore, - Padre Egli pure dei loro figli come e più che
essi stessi, - terrà conto di ogni loro sforzo, di ogni loro preghiera, e custodirà questi figli dal male, anche là e quando l'influenza dei genitori non li può raggiungere o non può bastare; che alla fine, anche per riguardo all'opera loro, li condurrà a salvezza.
E'
una speranza non generica, ma fondata su una applicazione particolare del dogma della comunione dei Santi e della dottrina del Corpo mistico. Questo dogma insegna che nulla va perduto del bene soprannaturale
compiuto: ogni minimo atto meritorio soprannaturale, ogni preghiera; ogni
atto di carità, ogni sacrificio, ogni sofferenza cristianamente accettata
dall'uomo in grazia, confluisce in quella immensa riserva soprannaturale che costituisce la vita ed il tesoro della Chiesa, ne arricchisce la capacità di espiazione e di intercessione, facendo sì che la grazia divina scenda più copiosa sulla
comunità intera e particolarmente sulle persone per le quali vengono offerti i sacrifici, i meriti e le preghiere. Qualcosa di simile bisogna affermare anche a proposito delle famiglie, dei rapporti tra gli sposi, dei rapporti tra
genitori e figli: v'è una << comunione dei santi familiare », per la quale i
genitori concorrono ad ottenere grazie tanto più abbondanti per i figli quanto maggiore è la loro fedeltà al Signore nell'adempimento di tutti i propri doveri, e in particolare dei doveri educativi.
E proprio questa « comunione dei santi familiare » fa sì che l'influenza dei genitori sui figli si estenda molto al di là dell'influenza pedagogica umanamente osservabile: li segue fin dove li segue l'amore di Dio e di Cristo, il quale ha promesso che « ogni bicchiere d'acqua » dato nel Suo nome avrà la sua ricompensa anche su questa terra (cfr. Mt.
10, 42). E quale ricompensa maggiore possono desiderare dei genitori cristiani che una continua assistenza della grazia di Dio sui loro figli? Quanto più difficile e incerto si presenta l'avvenire spirituale dei figli, e più gravi i compiti educativi, e maggiore il timore di lavorare invano, tanto più deve crescere nei genitori cristiani la coscienza che il loro primo dovere verso figli è quello di « capitalizzare » per essi un tesoro di grazia che li
accompagni per tutta la vita. Si può ricordare qui, estendendola ad ogni aspetto della vita spirituale, la massima di S. Pietro
Crisologo: « Ille vere clitat filios qui relinquit filiis plenissimam charitatem ». I genitori che vogliono trasmettere ai figli la fede, la purezza, il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, ecc. devono essi stessi coltivare per i primi, come tesoro da offrire a Dio per i figli, lo spirito di fede, la purezza coniugale, la fedeltà al proprio dovere, lo spirito di sacrificio: certi che ogni seme deposto nel cuore di Dio a questo scopo renderà il cento per uno, ma senza pensare di mercanteggiare con Dio il rapporto tra quanto dànno e quanto ricevono. La speranza cristiana richiede ad essi che si affidino completamente a Dio, donandogli quanto più possono, per poter ricevere tutto quanto
legittimamente desiderano per i figli. L'ultimo avverbio sottolinea un ultimo aspetto della speranza, che vale non soltanto per rapporto ai figli, ma pure allo sposo ed a tutte le persone e cose che stanno più a cuore: la speranza cristiana è un desiderio che si accorda con i desideri di Dio, ed è tanto più veramente cristiana quanto più coincide con i desideri di Dio. Come la fede « fa vedere » la famiglia con gli occhi di Dio, così la speranza cristiana « fa desiderare » per la famiglia ed i suoi componenti ciò che per essi desidera Dio. Si comprendono subito sia la differenza tra questa speranza cristiana e la speranza naturale, sia i problemi spirituali che pone la trasformazione della seconda nella prima. Ogni genitore coltiva naturalmente i disegni più rosei sui propri figli: desideri umani, umanissimi e comprensibili, ma molto spesso «
terreni ». Ogni sposo ed ogni sposa desidera qualcosa dall'altro e per l'altro: solitamente ciò che piace di più: i desideri umani, anche quando sono grandi, sono tanto meschini .. I desideri di Dio sono invece commisurati alla Sua grandezza, alla Sua intelligenza, al Suo amore; ed è a far nostri i Suoi desideri immensi che Egli ci educa con tanti mezzi: con le promesse, con i doni, con le sofferenze, con i distacchi dolorosi; dapprima facendo gustare qualcuno dei Suoi doni, poi sottraendolo per far sentire che Lui
solo costituisce il Bene vero e indefettibile. Così anche nella vita
familiare l'azione educatrice di Dio è diretta a far desiderare ai genitori i beni
essenziali, cioè i beni soprannaturali, per sé e per i figli: la vita eterna, la grazia e l'amicizia di Dio, la fede e lo spirito cristiano, la possibilità e la
capacità di attuare il compito che Dio assegna a ciascuno e ne costituisce
il valore proprio nel grande disegno di Dio. Tutto questo, che costituisce il disegno ed il desiderio di Dio, non esclude affatto, include anzi, lo sviluppo delle qualità e attitudini personali; soltanto stabilisce una gerarchia che mette ogni cosa, ogni valore al suo giusto posto: i valori soprannaturali sopra quelli naturali; tra questi quelli morali sopra quelli intellettuali, e tutti questi sopra quelli puramente materiali. Comprendere i doni e i limiti di ogni persona della famiglia, per
comprendere la sua « vocazione naturale »: accettare i figli e lo sposo come Dio li ha fatti e li vuole, e non come noi li sogneremmo; desiderare per essi
- questo sì, senza limiti! - la vita soprannaturale più ricca e più conforme all'ideale cristiano: tutto ciò significa coltivare una speranza familiare cristiana. Ed ognuno comprende quanto sia virtuosa, quanto amore del bene vero essa richieda, quanta vittoria sui desideri troppo umani. Come si diceva, la speranza cristiana è la virtù dei forti: lo è
particolarmente per i cristiani sposati.
La Carità
« Dio è carità: e chi sta nella carità sta in Dio e Dio in lui »
(1 Giov. 4. 16): è un principio generale, che vale anche per gli sposi cristiani. Non richiameremo tutta la dottrina della carità; ci limiteremo a sottolineare alcuni aspetti fondamentali ed alcuni problemi dello sviluppo interiore della carità soprannaturale nelle persone sposate. Nella parte dedicata alla grazia sacramentale del matrimonio sono stati illustrati gli stretti rapporti tra il Sacramento ed una forma caratteristica della carità soprannaturale, la carità coniugale: la capacità di amare
soprannaturalmente il proprio sposo come Gesù Cristo ama la Chiesa è il dono del Sacramento; l'impegno a tradurre nella realtà della vita quotidiana
questo dono è il dovere fondamentale del cristiano sposato; ed il risultato raggiunto costituirà il primo elemento di giudizio del valore cristiano della sua vita. Questa carità coniugale costituisce un aspetto ma non il solo, e neppure il principale, della carità soprannaturale anche per la persona sposata: anch'essa deve amare Dio « con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente », perché « questo è il grande e il primo
comandamento » (Att. 22, 37-38). Proprio per essa vale la parola di Gesù: « Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, la moglie ed i i fratelli e le sorelle ed anche la sua stessa vita, non può essere mio
discepolo» (Le. 14, 26). Sono, evidentemente, espressioni da intendere bene, perché non esiste alcuna contraddizione essenziale tra l'amore coniugale e l'amore di
Dio, ma sono espressioni che sottolineano la differenza tra i due, il primato dell'amore di Dio, la sua maggiore ampiezza ed universalità, e indicano chiaramente l'esistenza di qualche problema da risolvere perché una vera e piena carità si sviluppi nella vita spirituale degli sposi e di una famiglia cristiana ". Avere carità soprannaturale significa amare con l'amore stesso di Dio: amare ciò che Dio ama, come Dio ama, in forza di un amore che non viene da noi ma da Dio stesso, che lo diffonde nel cuore dei Suoi figli per mezzo dello Spirito Santo
ch'Eglí dona loro: « La carità è da Dio. E chi ama è nato da Dio e conosce Dio ... perché Dio è carità »
(Giov. 4, 7-8). Appaiono subito i vari problemi spirituali da risolvere per lo sviluppo della carità: quali rapporti esistono tra l'amore naturale dello sposo e
dei figli e la carità verso Dio? quali influenze e modificazioni subisce il primo per opera della seconda? Quali rapporti esistono tra la carità coniugale, la carità paterna e le altre forme di carità cristiana, pur necessarie e doverose anche per le persone sposate? L'amore naturale, coniugale e paterno, nasce « dalla carne e dal sangue »: il che non significa che sia cattivo, significa soltanto che la sua sorgente ,è un legame naturale: un legame naturale nel quale entrano molti fattori, spirituali e fisici, razionali ed affettivi; tende ai fini propri della natura, che sono il bene naturale degli individui e della comunità; è influenzato e dominato da tutte le componenti naturali che accentuano o rallentano i rapporti tra gli uomini: non esclude Dio dalla propria visuale, ma vi tende come ad un obiettivo finale, attraverso gli obiettivi intermedi che sono le creature, lo sposo ed i figli. E per gli uomini dopo il peccato
originale questi obiettivi intermedi sono piuttosto uno schermo e un diaframma che uno stimolo all'amore di Dio. La carità invece ha Dio come proprio obiettivo immediato ed essenziale: non il Dio dei filosofi, ma il « Dio Padre del nostro Signor Gesù Cristo » (1-
Pt.1,3), perché non è altro che l'effetto della presenza nel cristiano dello Spirito di Cristo. Ed ama di
conseguenza tutto ciò che piace a Dio, tutto ciò che Lo riguarda: esattamente come un grande amore abbraccia e trascolora tutto ciò che .riguarda la persona amata. La carità, quindi, attraverso ogni realtà, ogni persona, ama Dio e tende a Dio come al suo fine supremo: ama Dio nello sposo, ama Dio nei figli, ama Dio in ognuno dei compiti e degli aspetti della vita coniugale e familiare: ama tutto per Dio, ama tutto al modo di Dio. Non si
pensi però che per questo le persone dello sposo e dei figli divengano semplici « occasioni » dell'amore di Dio e perdano ogni loro valore e significato proprio: chi ama con amore di carità ama davvero anche le proprie persone care, le ama con un amore perfettamente umano, ricco di tutte le sfumature di affetto proprie dell'amore umano spiritualmente più elevato: non per nulla il modello supremo della carità verso il prossimo è il cuore di Cristo! Soltanto non si limita ad amarle con tutto il cuore per quello che esse sono in se stesse ed appaiono agli occhi umani, ma le ama in Dio, ed ama Dio in esse, con l'occhio ed i desideri di Dio stesso: ama non soltanto ciò che sono, ma pure ciò che sono chiamate a diventare
dall'amore soprannaturale di Dio. In una parola, la carità fa amare nelle
persone care la loro vocazione soprannaturale, il meglio di loro: e le fa amare con quella profondità d'amore, quella finezza, quel sommo rispetto della personalità, quella costanza, quella generosità che sono le note essenziali dell'amore di Dio, e che ci appaiono umanamente rappresentate a nostro modello e conforto dall'amore umano del cuore di Cristo. Da questi brevi accenni ai rapporti tra amore naturale e carità
soprannaturale appare subito il problema spirituale essenziale che ne deriva: un problema molto simile a quello dei rapporti tra ragione e fede, tra pegno umano e speranza cristiana; un problema che rientra nel problema generale dei rapporti tra la natura e la grazia, tra la natura decaduta e la grazia di Cristo. L'amore naturale per divenire carità soprannaturale ha bisogno di essere « sanato », cioè liberato e purificato dalle scorie che
talvolta lo inquinano, ed « elevato », cioè trasformato in un amore rispondente alle caratteristiche dell'amore di Dio. È un fatto che l'amore umano, tanto l'amore coniugale che quello paterno, non è sempre un amore puro: non dico soltanto un amore casto, ma puro da scoria, sotto ogni aspetto. Vi si mescola spesso un elemento d'egoismo più o meno consapevole, una ricerca della propria gioia pur nella ricerca del bene dell'altro o degli altri, che fa cadere in mille debolezze: induce a tacere quando la coscienza dice che si dovrebbe parlare, o vice-versa; induce a tollerare e magari a commettere mille piccole ingiustizie per non disgustare, per fare piacere, per non vedere soffrire; è fertile di compromessi e di
pseudogiustifícazioni. Ogni uomo ed ogni donna che ama sa che la risposta di Adamo è sempre pronta nell'animo a coprire la propria inconfessata debolezza: « la donna che mi desti a compagna, mi ha dato da gustare il frutto e ne ho mangiato » (Gen. 3, 12). La prima funzione della carità soprannaturale è di purificare l'amore da tutto questo: tenendo costantemente orientata la volontà verso Dio, essa non ammette mai, per nessun motivo, il minimo atto contrario al volere di Dio per compiacere o per fare il bene delle persone amate, perché sa che nessun bene potrebbe giovare contro o all'infuori del volere di Dio. È facile pensare le difficoltà che si presentano, e talvolta le dolorose rinunce interiori: di fronte ad una richiesta evidentemente non buona la lotta tra l'affetto, il desiderio di una intesa totale, e la fedeltà a Dio: di fronte ad un bisogno dei figli o ad un proprio sogno a loro riguardo il dovere di non ricorrere a nessun mezzo ingiusto per procurarsi i mezzi economici necessari. E si può anche comprendere che soltanto a poco a poco l'amore a Dio riesca a imbrigliare le forze affettive naturali, a
purificarle da quanto di egoistico e di miope contengono, a sottometterle
al proprio dominio perché non ostacolino, ma divengano strumento di
crescita del regno di Dio nelle anime. La purificazione totale dell'amore
naturale, particolarmente dell'amore paterno e materno, è un'impresa
che richiede l'impegno di tutta la vita; sarà sempre una cosa difficile, e
non sarà mai, forse, totalmente attuata fino alla morte, perché sempre la
natura fatica a sottomettersi alla grazia, specialmente nei nostri sentimenti
più profondi. Non ha sentito questa difficoltà Gesù stesso, alla fine della
Sua vita, quando ha chiesto al Padre, se possibile, di liberarlo dal calice (Mt.
26,39)? È questa la situazione spirituale nella quale si possono talvolta
venire a trovare degli sposi e dei genitori in lotta tra i più profondi
sentimenti naturali del proprio cuore ed il volere di Dio: e la preghiera di Gesù
può essere la loro preghiera; come l'angelo che ha confortato Lui,
conforterà pure loro. Non sempre la carità cresce nella gioia e nella riconoscenza a Dio per i grandi doni naturali dell'amore e della famiglia: i passi più decisivi li compie nel dolore e nella rinuncia. « Chi ama il figlio o la
figlia più di me, non è degno di me » (Mt. 10,38); e lo stesso principio
vale per lo sposo e la sposa.
Una carità fedele e costante, che non ammette mai, per nessun
motivo, nessun gesto e nessun atto contrario al volere di Dio, neppure per
compiacere alle persone più care, trasforma evidentemente la psicologia
interiore: la purifica, la eleva, la affina: non fa soltanto amare il vero bene delle persone care, ciò che le avvicina a Dio; ma educa ad amare come Dio, « con i sentimenti di Cristo». In concreto sviluppa nell'animo quei caratteri della carità che S. Paolo descrive nella prima lettera ai Corinti, e che costituiscono
il riflesso psicologico della carità soprannaturale. « La carità è longanime, benigna; la carità non ha invidia; non agisce invano; non si gonfia; non
è ambiziosa; non è egoista, non s'irrita, non pensa il male; non si compiace
dell'ingiustizia, ma gode della verità; soffre ogni cosa, ogni cosa crede,
tutto spera, tutto sopporta » (I Cor. 13, 4-7). V'è un'altra trasformazione
dell'amore, operata dalla carità: è la sua trasformazione in mezzo di
redenzione e di salvezza. La carità soprannaturale cristiana non è l'amore
di Dio proprio degli angeli o dí Adamo avanti il peccato: è una partecipazione
all'amore redentore di Cristo, è un frutto della presenza nell'anima del Suo
Spirito. È un amore redentivo, che sollecita al dono di tutto se stesso per
la salvezza e il bene soprannaturale del prossimo, sull'esempio di Cristo che
ha dato la sua vita per la redenzione di tutti gli uomini (cfr. Mt. 20, 21).
Ciò vale in modo particolare per gli sposi, e per i genitori rispetto ai figli. Quando ci si sposa ancora non ci si conosce totalmente, e soprattutto
raramente si pensa che la persona prescelta è anch'essa un « figlio d'Adamo » o « una figlia di Eva »: eppure, per quanto cammino spirituale abbia fatto il fidanzato o la fidanzata, resta pur sempre, e resterà fino alla fine, un « figlio di Adamo » ed una « figlia di Eva »: una persona debole e imperfetta, una persona forse spesso inferiore ai suoi compiti, alle sue responsabilità, magari un povero peccatore, come chi l'ha sposata. Succede spesso, anzi, che il
matrimonio manifesti difetti e debolezze prima insospettate: gli egoismi più profondi e più tenaci si manifestano appunto quando più facile è il terreno per il loro sviluppo. Eppure è proprio questa persona concreta, con i suoi limiti e le sue debolezze, magari con le sue colpe o con le ripugnanze istintive che può suscitare, che viene affidata all'amore di chi la sposa; e non sono dei figli di sogno, ma i figli reali che Dio manda, quelli che i genitori devono amare e per i quali devono sacrificarsi. Amare e donarsi per essi come se fossero lo sposo ed i figli ideali, e questo sino alla fine: ecco la legge della carità cristiana. Il distacco tra l'ideale e la realtà mette a dura prova l'amore naturale, perché questo, anche quando è perfetto, include una reciprocità ed ha un bisogno costante di corrispondenza come dell'alimento indispensabile per poter durare: solo Dio è capace di amare per il primo ed in modo assolutamente gratuito
(1- Giov. 4, 19), perché non ha bisogno di nulla: l'amore umano è invece un amore di risposta a un dono ricevuto o sperato. Per questo avviene che quando il bene ricevuto nel matrimonio e nella famiglia è inferiore al desiderio ed alla speranza, e soprattutto se appare inferiore al sacrificio che richiede, l'amore umano è posto a dura prova: è tentato di ritirarsi o di ridursi al puro adempimento dei doveri, ma dal quale esula il vero amore. La carità invece, che è una partecipazione
all'amore « gratuito » di Dio e di Cristo, proprio allora manifesta di essere un « amore nuovo » (cfr. Giov. 13, 34): quanto maggiore è la debolezza e la colpa della persona amata, tanto più s'impegna ad amare e a donare tutto se stesso per poter « salvare ». Ne nasce un'attenzione più vigilante, un aiuto più pronto, l'oblio di sé, il sacrificio continuo, l'accettazione di ogni
sofferenza, sempre sostenuti da un solo pensiero: la « salvezza » dello sposo o del figlio, e dalla certezza che ogni proprio sacrificio offerto a Dio si
ripercuote in un principio di salvezza per essi. Chi ama cristianamente sa di dover « completare » mediante la propria sofferenza « quello che manca delle sofferenze di Cristo, a pro del Suo corpo che è la Chiesa » (Col.
1,24). Ora chi è più unito con un altro membro di Cristo, così da costituire solo « corpo » con lui, che la sposa con lo sposo e viceversa, ed i
genitori con i figli? Per questo ad essi incombe più che mai il compito di
cooperare con il proprio sacrificio alla « salvezza » soprannaturale dei propri
cari. La carità coniugale e l'amore paterno donati dal Sacramento del
matrimonio sono essenzialmente una partecipazione all'amore redentore di
Cristo.
Queste verità, che sembrano tanto difficili da credere ad un razionalisno superficiale, non sono affatto inaudite alle anime cristiane: molte le vivono senza troppo meravigliarsene, oggetto di ammirazione per i credenti,
di commiserazione per i non credenti. Altre le conquistano
riflessamente, illuminate dalla grazia dello Spirito Santo. Ricordo una espressione udita durante una riunione di famiglie dedicata a studiare le responsabilità
spirituali vicendevoli degli sposi: « A me sembra, diceva una sposa, che il nostro rapporto vicendevole nel caso della colpa di uno, sia come quello di Gesù verso di noi: come Lui, senza aver commesso peccato, ha voluto assumersi liberamente davanti a Dio la responsabilità dei nostri peccati ed offrirsi ad espiarli per la nostra salvezza; così ognuno di noi, quando l'altro sbaglia, deve assumersi davanti al Signore la responsabilità del peccato
dell'altro, ed offrirsi a espiarlo per poterlo salvare ». Forse chi diceva così non pensava di esprimere esattamente un pensiero dell'Apostolo della carità, S. Giovanni: « Da questo abbiamo conosciuto la carità di Dio, perché Egli ha dato la Sua vita per noi: e così noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli »
(1 Giov. 3, 16). A queste altezze conduce, e queste altezze richiede ai cristiani sposati il « comandamento nuovo »: « Come io ho amato voi, così voi pure amatevi a vicenda » (Giov. 13, 34).
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