LE
13 MOSSE DELL'ARTE DI EDUCARE
9.
GUARDARE IL FIGLIO
Da
mesi veniamo proponendo le principali mosse dell'arte di
educare.
Siamo partiti dal "seminare", siamo passati
all'"aspettare", al "parlare",
all'"amare"... ed eccoci al "guardare":
guardare il figlio.
Una mossa che, in prima battuta, può sembrare di poco conto! In
realtà gli occhi hanno un potere eccezionale!
L'arte del
guardare il figlio
Il contatto visivo è una delle più potenti vie di educazione
(o diseducazione).
Gli occhi parlano più forte della voce: sono il canale
attraverso il quale trasmettiamo i nostri pensieri, le nostre
emozioni.
Gli occhi possono trasmettere rabbia, tristezza, sdegno,
disprezzo, freddezza, oppure calore, tenerezza, accoglienza,
gioia, speranza, conforto, amore (lo sanno bene i fidanzati che
talora sembrano mangiarsi con gli occhi!).
Guardare il figlio è come dirgli: "Tu esisti per me,
tu sei entrato nei miei pensieri, nei miei affetti".
Nei campi di concentramento tedeschi era severamente proibito ai
prigionieri di guardare negli occhi i loro carcerieri. Lo
sguardo avrebbe potuto intenerirli!
Insomma, una cosa è certa: se guardassimo i figli almeno come
guardiamo il bagno e l'automobile, avremmo ragazzi meno tristi,
meno infelici, meno delusi della vita.
"Se guardassimo...": è una parola!
Si tratta di guardare con arte, cestinando gli sguardi
sbagliati, per scegliere esclusivamente, gli sguardi
buoni. Sguardo sbagliato è, ad esempio, lo sguardo
poliziesco che tacchina in continuazione il figlio senza
mai lasciarlo libero di respirare, di muoversi, di uscire, di
scendere in cortile per giocare... Sguardo sbagliato è lo sguardo
minaccioso dei genitori che mirano di più a farsi ubbidire
che a convincere. Terzo sguardo sbagliato è lo sguardo
indifferente. Questo è il peggiore in assoluto!
L'indifferenza è la bestia nera di tutti i figli del mondo! La
pericolosità dello sguardo indifferente sta nel fatto che può
azzerare quella grande forza cosmica che è la voglia di vivere!
Lo sguardo indifferente manda a dire al figlio: "Tu sei
nessuno". Messaggio che taglia le radici alla vita! A
ben pensarci, non è forse vero che ha senso essere al mondo
solo se si è per qualcuno? Davvero: gli sguardi sbagliati sono
l'inverno; gli sguardi buoni sono la primavera. Sguardo buono è
lo sguardo generoso che vede nel figlio ciò che
nessuno vede. Sguardo buono è sguardo sempre nuovo:
vede che il figlio cambia e quindi si adatta alla sua crescita
(vi è un abisso tra il bambino e l'adolescente: trattare il
figlio da perenne bambino è uno sbaglio da cartellino rosso!).
Sguardo buono è lo sguardo ottimista, incoraggiante,
luminoso: lo sguardo che dà valore al figlio e tifa per lui.
Aveva tutte le ragioni il filosofo francese Louis Lavelle
(1883-1951) a sostenere che "il maggior bene che
possiamo fare agli altri non è comunicare loro la nostra
ricchezza, bensì rivelargli la loro". Fortunati i
figli che hanno genitori con gli occhi simili (per quanto è
possibile!) a quelli del 'facchino di Dio' don Orione
(1872-1940) che, come ricorda il professor Enrico Medi
(1911-1974) "ti bruciavano l'anima e ti entravano
dentro come la luce esce dagli angeli". I genitori con
tale sguardo hanno la patente pedagogica a punti pieni!
IL
LADRO. L'ARTISTA. L'AVARO. IL SAGGIO
Una volta un ladro, un artista, un avaro e un saggio che
viaggiavano insieme, scoprirono una grotta tra le rocce.
Il ladro disse: "Che splendido nascondiglio!".
L'artista: "Che posto splendido per dipingere
murali!".
L'avaro: "Che splendido forziere per un tesoro!".
L'uomo saggio disse semplicemente: "Che bella
grotta!".
Il
grande psicanalista austriaco Bruno Bettelheim
(1903-1990) ammoniva:
"Non
puntate ad avere il bambino che piacerebbe a voi.
Abbiate
rispetto per ciò che il bambino è!".
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10.
SAPER DIRE "NO"!
Nella
serie delle mosse fondamentali dell'arte di educare non può
mancare la mossa del saper dire 'no'! Ne siamo così convinti
che ogni figlio dovrebbe dire ai genitori: "Se mi volete
bene, non ditemi sempre 'sì'!".
QUATTRO
MOTIVI
I 'no' ci vogliono almeno per quattro motivi.
Intanto perché
danno sicurezza.
Avvertono il figlio che vi sono dei limiti, dei paletti: cose
che si possono fare, altre che sono proibite. Ora, tutto ciò
tranquillizza: toglie dall'insicurezza del non saper come agire,
cosa fare.
I 'no' irrobustiscono
l'io.
Senza nessuna esperienza dei 'no', al primo scoglio il ragazzo
rischia il naufragio. È questa una delle ragioni fondamentali
della necessità del 'no'. Non è forse vero che abbiamo figli
sempre più friabili, ragazzi con la grinta della mozzarella? È
tempo di smetterla d'essere troppo arrendevoli!
I 'no' avvertono
che vi è un'autorità.
Una cosa è assodata: il rapporto educativo deve essere
asimmetrico.
In fondo è il figlio stesso a volerlo: a lui serve una persona
autorevole, non un amico o un camerata. Il 'no' detto con arte
è una delle più chiare espressioni dell'autorevolezza.
Finalmente i
'no' rendono più simpatico il figlio.
Un ragazzo al quale è sempre permesso di fare quello che gli
pare e piace, sarà incapace di adattarsi agli altri, potrà
diventare un incivile, un rompiscatole, un piantagrane.
Insomma è evidente l'importanza del 'no'. Importanza che ci
impegna a sfruttarlo al meglio.
LO
STILE DEL 'NO'
Perché il 'no' sia utile, deve essere detto con stile, deve,
cioè avere alcune caratteristiche.
Non urlato.
Se gridato, il 'no' potrebbe essere interpretato come dipendente
dal nostro umore del momento e non già come una decisione presa
per impedire qualcosa che, comunque, non si deve compiere,
indipendentemente dal nostro 'raptus'.
Dosato.
Quando i 'no' sono troppo frequenti perdono efficacia, come le
leggi. Perché in Italia le leggi si infrangono così di
frequente? Una ragione è anche questa: perché sono troppe.
Mentre in Francia ed in Germania sono sui settemila, da noi
superano le centocinquantamila! Oltre a ciò, è bene che il
'no' sia dosato perché il censurare troppo i figli rischia di
frustrare la loro creatività e di renderli più insicuri.
Giustificato.
Il figlio deve sapere che le nostre proibizioni hanno una
ragione. Giustificando i 'no' lo illuminiamo, lo orientiamo, lo
facciamo crescere. È chiaro che la motivazione deve rispettare
la maturazione raggiunta dal figlio. Al piccolo di tre anni
diremo: "Non prendere il coltello: taglia!".
Al ragazzo adolescente tentato dall'alcol spiegheremo che dove
entra il bere esce il sapere; diremo che solo chi è poco saggio
si lascia imbottigliare dal vino!
QUALI
'NO'?
È impossibile, in ogni caso, fare l'elenco completo dei 'no' da
dire ai figli. Ci limitiamo ai quattro che ci sembrano i più
urgenti.
No alle mode.
Dove è scritto che tutti i ragazzi debbano avere lo stesso
zainetto, che a Natale tutti debbano ricevere montagne di
regali? Ha tutte le ragioni lo psichiatra Fulvio Scaparro ad
essere così deciso: "Mamme e papà, imparate dai
salmoni che vanno contro corrente! Liberatevi dai copioni!".
No al servizio.
Perché la mamma deve continuare ad insaponare il figlio, ad
allacciargli le scarpe ed il papà a sbucciargli la mela?
Qualche anno fa il sociologo Francesco Alberoni ha lanciato un
messaggio: "Basta con i vizi ai figli! Se la cavino da
soli!". Tutti gli hanno battuto le mani. E se fossimo
d'accordo anche noi?
No al cuore di
panna e all'indulgenza plenaria.
Concedere tutto al figlio è tradirlo: non si può vivere in
pantofole! Concedere tutto al figlio è preparare un infelice:
"Il passero ubriaco trova amare anche le ciliegie",
recita il proverbio.
No alle continue
richieste.
"Me lo comperi?". "Voglio questo!".
"Dammi quello"...
Ad un certo punto
bisogna dire 'No!'. "Ne hai abbastanza!".
"È inutile insistere!". "Sarebbe
troppo". "Questo non è per nulla necessario!"...
Parole sapienti. Parole benefiche. Parole che forgiano un uomo
capace di stare in piedi anche quando la vita mostra i denti.
CHIARO
E TONDO!
Ormai, dopo tanta pedagogia permissiva, tutti ammettono che i
'no' sono preziosi.
Qualora sparissero, non succederebbero che dei guai.
"I 'no' aiutano a crescere" ci manda a dire
la psicologa Maria Luigia Pace.
"Un bambino abituato a delle regole è sicuramente un
bambino, un ragazzo, un adolescente più capace di far fronte
alle difficoltà", ci assicura lo psichiatra Giovanni
Bollea.
Al contrario, un bambino abbandonato a se stesso diventa "un
rompiscatole, un adulto instabile, nevrotico, infantile"
(Silvano Sanchioni, assistente sociale); "un bambino
non abituato, fin dall'inizio della vita, a limitarsi, può
diventare un piccolo despota" (Renata Rizzitelli,
psicologa).
Che cosa vogliamo di più per convincerci che i 'no' sono un
pilastro della crescita, come, d'altronde, i 'sì' di cui
parleremo?
CITAZIONI
D'AUTORE
•
"Un genitore deve saper dire no ad un figlio,
se gli vuole bene, altrimenti con 'fai come ti pare' si
rischia di togliergli i necessari anticorpi,
psicologici. Le regole, i no sono come i paracarri ai
lati della strada, sono punti di riferimento. Non
debbono cambiare di posizione, non possono decidere di
esserci o non esserci. Che patetici quei genitori che
fanno gli amici dei figli. Un padre deve essere padre,
altrettanto una madre; è già così difficile fare i
genitori, ci mettiamo a fare anche gli amici, per
confondere loro ancor più le idee?" (Paolo
Crepet, psichiatra).
•
"Sono contento di non essere stato viziato.
Considero una sventura avere dei privilegi
nell'infanzia. La mia infanzia è stata dura, non ho
conosciuto il benessere, e trovo che nascere in una
situazione di sana povertà sia il miglior bagaglio che
si possa dare ad un bambino" (Carlo Rubbia,
premio Nobel per la Fisica, 1984).
•
"A furia di spianare la strada al bambino si
rischia di esporlo a dei contraccolpi emotivi il cui
esito è sempre più spesso la depressione"
(Massimo Gramellini, scrittore).
|
Dal
Bollettino Salesiano (mesi di Gennaio e Febbraio 2014) - COME DON
BOSCO - articoli di Pino Pellegrino
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