A Chieri, Giovanni Bosco passò dieci anni, fondamentali per la sua vita.
Arrivò sedicenne, ancora in cerca della sua strada.
Partì a 26 anni, a pochi giorni dalla sua ordinazione sacerdotale.
SCUOLE PUBBLICHE
scuole pubbliche di Chieri che Giovanni Bosco frequentò dal 1831 al 1835.
Erano collocate nell'interno di via Vittorio Emanuele 45. Venivano
chiamate «Collegi». Giovanni le frequentò dal 1831 al 1835. Ebbe la fortuna di incontrare bravi professori, e con il loro aiuto fece tre classi in un anno.
Scrisse: «La prima persona che conobbi fu don Eustachio Valimberti, un prete che ricordo con riconoscenza. Mi invitava a servirgli la Messa, e
approfittava di quei momenti per darmi ottimi consigli sul modo di comportarmi e di tenermi lontano dai pericoli della città. Mi presentò egli stesso ai vari
professori».
CAFFÈ PIANTA
IN CASA VERGNANO
il Caffè Pianta Sottoscala
dove dormiva don Bosco
È situato in via Palazzo di Città 3. Dopo un anno passato presso la
vedova Matta, il signor Pianta offrì a Giovanni il posto di barista. Doveva pulire il locale e passare le ore serali nel salone del biliardo. In compenso gli
veniva offerto un giaciglio nel sottoscala, uno stretto vano sopra un piccolo forno dove si cuocevano le paste dolci, e al quale si saliva per una scaletta. Per poco che si fosse allungato nel lettuccio, i suoi piedi uscivano non solo
dall'incomodo pagliericcio, ma anche dall'apertura del vano. Scrive: «Avere la propria residenza in un pubblico ristorante può essere pericoloso per un giovanotto. Riuscii ad evitare ogni occasione di male
perché i padroni erano bravi cristiani, e perché avevo ottimi amici».
CHIESA DI SANT'ANTONIO
La facciata e l'interno della bella chiesa di S. Antonio dove si radunavano i membri della Società dell'Allegria.
A Chieri, Giovanni Bosco fonda la Società dell'Allegria. Fa la prima
esperienza di animatore di un gruppo giovanile. Ecco come egli stesso racconta quest'esperienza: «Formammo una specie di gruppo, e lo battezzammo
Società dell'Allegria. Il nome fu indovinato, perché ognuno aveva l'impegno di organizzare giochi, tenere conversazioni, leggere libri che contribuissero all'allegria di tutti. Era vietato tutto ciò che produceva malinconia,
specialmente la disobbedienza alla legge del Signore. Chi bestemmiava,
pronunciava il nome di Dio senza rispetto, faceva discorsi cattivi, doveva andarsene dalla Società. Mi trovai così alla testa di un gran numero di giovani. Di
comune accordo fissammo un regolamento semplicissimo: 1. Nessuna azione, nessun discorso che non sia degno di un cristiano. 2. Esattezza nei doveri scolastici e religiosi». Questa Società si riuniva ogni domenica presso la chiesa di
Sant'Antonio, gestita dai Padri Gesuiti «che ci facevano stupende lezioni di
catechismo. Raccontavano fatti cd esempi che ricordo ancor oggi» (Memorie, 40).
DUOMO - SANTA MARIA DELLA SCALA
Duomo
di Chieri
Tra le belle chiese della città, questa fu la più frequentata da Giovanni Bosco ogni giorno, mattino e sera. Pregando e riflettendo davanti all'altare Madonna delle Grazie, nella cappella raccolta, decise del suo avvenire.
Nel marzo 1834, a 19 anni, si avviava al termine dell'anno di umanità. Scrisse: «Anche per me era giunto il tempo di pensare
seriamente a cosa avrei fatto nella vita. Riflettei a lungo. Alla fine decisi di entrare tra i
Francescani». Informato della decisione, il parroco di Castelnuovo, don
Dassano, avvertì mamma
Margherita con queste parole molto esplicite: «Cercate di distoglierlo da questa idea. Voi non siete ricca e siete avanti negli anni. Se
vostro figlio va in convento, come potrà aiutarvi nella vostra vecchiaia?». Mamma Margherita si mise addosso uno scialle nero, scese a Chieri e parlò a Giovanni: di parroco è venuto a dirmi che vuoi
entrare in convento. Sentimi bene. Io voglio che tu ci pensi e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia
nessuno. La cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io ti dico: in
queste cose tua madre non c'entra. Dio è prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono
vissuta povera, e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio subito dire: se ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco, non metterò mai più piede in casa tua. Ricordalo bene». Quell'anziana contadina aveva un tono forte nella voce, una energia grande. Giovanni
Bosco quelle parole non le avrebbe dimenticate mai.
La statua della Madonna delle Grazie nella bella cappella barocca.
Dopo averci ancora «pensato bene e con calma», decise di fare in questa Cappella insieme all'amico Luigi Comollo una novena alla Madonna, perché gli indicasse la sua strada. «L'ultimo giorno della novena — scrisse — nel duomo ascoltammo una Messa e ne servimmo un'altra all'altare della
Madonna delle Grazie». Quello stesso giorno lo zio di Comollo. un bravo sacerdote, così
consigliò Giovanni: «Non entrare in convento. Vesti l'abito dei chierici e entra in Seminario. Continua a pregare e a riflettere, e Dio ti farà capire sempre meglio cosa vuole da te». Giovanni consultò anche don
Cafasso. Consigliato da entrambi, decise di entrare in Seminario.
SEMINARIO ARCIVESCOVILE
Il Seminario di Chieri dove Giovanni Bosco trascorse cinque anni e mezzo e si formò alla vita
sacerdotale
Il 30 ottobre 1835 Giovanni Bosco entrò in questo Seminario. Vi avrebbe trascorso cinque anni e mezzo. Negli studi intensi che affrontò, nella
preghiera e riflessione che utilizzò per trasformarsi in un cristiano vero, egli acquistò la «mentalità del sacerdote». Divenne sua convinzione fondamentale che avrebbe speso la vita non per procurarsi un'esistenza comoda e
tranquilla, ma per ESSERE GESÙ TRA LA GENTE, SPECIALMENTE TRA I GIOVANI. Come Gesù avrebbe consumato i suoi giorni per portare alla gente la Parola di Dio, per invitarla a pensare meno alla terra e più al Cielo, per guarire dal peccato, dall'egoismo, dalla prepotenza, dalla sensualità: i grandi mali che crescono nel cuore e portano alla rovina. Avrebbe faticato non per coltivare campi, ma per portare a tutti il perdono di Dio. Ora il Seminario è sede di una scuola media statale. Sul muro interno si può ancora vedere la meridiana su cui Giovanni Bosco lesse: Afflictis
lentae, celeres gaudentibus horae (Per chi è triste le ore sono lente, sono veloci per chi è allegro). Nel corridoio al primo piano si può leggere la lapide che
ricorda l'apparizione di Luigi Comollo a Giovanni e a tutti i chierici di una camerata. I resti mortali di questo giovane amico di don Bosco sono stati
recentemente rinvenuti sotto il pavimento della chiesa di S. Filippo.
CHIESA DI SAN FILIPPO NERI
la chiesa di S. Filippo
Neri
Prima di essere Seminario, questo edificio era stato convento dei Padri Filippini, e la chiesa annessa e dedicata a san Filippo Neri, Don Bosco scrive nelle sue Memorie: «La santa Comunione si poteva ricevere soltanto alla
domenica e nelle altre feste. Se qualcuno voleva nutrirsi dell'Eucaristia durante la settimana, doveva compiere una disubbidienza. Mentre gli altri
scendevano per la colazione, entrava furtivamente nella chiesa di san Filippo.
Ricevuta la Comunione, poteva raggiungere gli altri mentre entravano a scuola o
nella sala di studio. Questa manovra era proibita dal regolamento. Ma i
superiori, che vedevano benissimo ciò che capitava, non dicevano niente.
Tacitamente approvavano. Usando questo strano sistema. ho potuto fare la
Comunione moltissime volte. E posso dire che essa fu il più efficace nutrimento della mia vocazione».
VIALE DI PORTA TORINESE
Il viale di Porta Torinese. celebre per le sfide e le gare di corsa di Giovanni Bosco.
Campione della Società dell'Allegria e degli studenti chieresi, su questo viale Giovanni Bosco affrontò in quattro gare successive un atleta
professionista. Aveva vent'anni, e sostenne le notissime sfide nella corsa di resistenza, nel salto attraverso il torrente. di destrezza con la bacchetta magica, e di
arrampicata su un albero del viale. Vinse tutte e quattro le gare. Ricorda nelle sue Memorie: «I miei amici si abbracciavano di gioia,
io ero orgoglioso di aver vinto non contro ragazzi come me, ma contro un campione
professionista. Quell'atleta però era triste: nelle scommesse aveva perso 240 lire (più o meno un milione di oggi). Abbiamo avuto compassione di lui. Gli abbiamo restituito il denaro a una condizione: che venisse a pagarci un pranzo
all'albergo del Muletto. Accettò immediatamente. Quello fu veramente un
giovedì di grande allegria».
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