Capita ancora di poter raccontare di sacerdoti esemplari.
Una storia esemplare è quella di don Angelo Viganò, salesiano morto a Bologna il 21 novembre, a pochi mesi dalla conclusione dell’Anno sacerdotale.
La sua storia è strettamente intrecciata a quella della sua famiglia che ha donato alla Chiesa tre sacerdoti salesiani e una suora canossiana. Don Egidio Viganò, quinto di dieci figli, è stato rettor maggiore della congregazione salesiana dal 1977 al 1995; don Francesco, vivente, eminente figura di superiore, caratterizzato da una spiccata imprenditorialità a servizio dell’educazione dei giovani. E poi la sorella Dina, divenuta direttrice nelle comunità canossiane, morta in fama di santità, offrendo la sua vita per i fratelli sacerdoti. E, infine, don Angelo, nato a Sondrio il 31 marzo 1923, con una spiccata sensibilità a leggere i segni dei tempi. Si pensi alla prontezza con la quale nel 1986, consapevole dell’importanza del volontariato missionario e dell’associazionismo sociale, fonderà a Torino il Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis), organismo di cooperazione allo sviluppo che si ispira ai principi cristiani e al carisma di don Bosco, affiancando autonomamente, come organismo laico, l’impegno sociale dei salesiani nel mondo. Da un anno il Vis ha ricevuto dal consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite lo status di organismo consultivo nell’area dei diritti umani con la possibilità di partecipare alle sessioni del consiglio dei diritti umani delle stesse Nazioni Unite.
La famiglia di don Angelo era umile e povera, ma laboriosa e ricca di fede, unita e felice. Ce l’ha descritta lui stesso in quell’apprezzato e diffuso libro Storia di umile gente. Il papà Francesco venne a mancare presto e la mamma Enrichetta, donna saggia e forte, si assunse con coraggio la guida della famiglia. Insieme ai suoi fratelli Egidio e Francesco, Angelo cresce all’oratorio salesiano di Sondrio. Qui, come anche gli altri due fratelli, matura la vocazione alla vita salesiana.
Ordinato prete a Treviglio il 18 maggio 1950. Conseguì quindi la laurea in lettere e filosofia all’università Cattolica di Milano qualificandosi come giornalista. Dal 1950 al 1960, iniziando il suo ministero come giovane prete salesiano, sarà insegnante, catechista e consigliere a Chiari, Treviglio e Parma. Tutto egli ha vissuto per il Signore Gesù e per il suo Vangelo, senza risparmio: né fatiche né prove, né ostacoli né difficoltà lo hanno distolto dal suo impegno educativo e dalla missione evangelizzatrice; è stato disponibile a sopportare ogni cosa, come insegnava don Bosco, anche “il freddo e il caldo, la fame e la sete, le fatiche e il disprezzo, ogni volta che si tratti della salvezza della gioventù”. Per questo a don Angelo, capace e intelligente, vengono affidate responsabilità crescenti. Dal 1960 al 1966 è direttore a Milano “Sant’Ambrogio”. Erano i tempi in cui all’oratorio di Milano c’era il servo di Dio Attilio Giordani.
Dal 1966 al 1975, per nove anni, è direttore al Centro catechistico salesiano di Torino Leumann. È notevole l’apporto che egli ha saputo dare a questo Centro per una sempre più solida ed efficace organizzazione, come pure per una sempre più qualificata e molteplice azione. Sono gli anni del rinnovamento conciliare della catechesi in Italia, a cui partecipa con fervore per la redazione del cosiddetto Documento di base. S’impegna per la formazione di operatori pastorali e catechisti, anche con la costituzione del biennio di esperti in pastorale catechistica e le settimane catechistiche. È membro del consiglio dell’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana. Sono pure gli anni della pubblicazione da parte della Ldc del Catechismo olandese. La Ldc, sotto la sua guida, appoggia il movimento biblico con la pubblicazione dell’Enciclopedia biblica, del Messaggio della Salvezza, della traduzione interconfessionale della Bibbia. La Ldc contribuisce pure al rinnovamento liturgico; sviluppa la sezione audiovisivi. Forse sono gli anni migliori di questo Centro, attraverso il cui fervore di iniziative manifesta l’amore appassionato di don Angelo per la catechesi e per la Chiesa. A Torino in quel tempo egli è pure vicario episcopale per la vita consacrata. Ritornerà alla Ldc come direttore dal 1991 al 1997.
Dal 1975 al 1981 è ispettore dell’ispettoria lombardo-emiliana a Milano e dal 1985 al 1991 dell’ispettoria centrale a Torino. Nei suoi anni come ispettore egli soprattutto cura le vocazioni. E impegnato a sviluppare il progetto voluto dal fratello Egidio per l’Africa, di cui prende a cuore gli inizi in Etiopia e Kenya. Sua attenzione è inserire le comunità salesiane e l’ispettoria nella Chiesa locale. Per sei anni è anche presidente della Conferenza dei superiori maggiori italiani.
Nulla poteva fermarlo: l’amore di Cristo e il coraggio intrepido di don Bosco lo spingevano a una azione sempre nuova e concreta. Ma nell’estate del 1980 viene la prova: giunge improvviso un tumore all’intestino con gravi metastasi al fegato. Dopo un intervento chirurgico senza risultati, i medici di Niguarda dicono che non c’è più nulla da fare. Incomincia una preghiera fervente e assidua di tutta la Famiglia salesiana, che invoca l’intercessione dei servi di Dio monsignor Luigi Versiglia e don Callisto Caravario, oggi annoverati tra i santi martiri cinesi. Inaspettatamente, durante un secondo intervento chirurgico, le cose sembra volgano al meglio. Segue un anno di terapie e di cure. Visse gli anni seguenti come un dono gratuito di Dio, consapevole di avere ricevuto una grazia.
Nel settembre 1997 viene inviato a Bologna come direttore dell’associazione Opera salesiana del Sacro Cuore e della “Rivista del Sacro Cuore”. Qui può esercitare finalmente a tempo pieno la sua azione di giornalista e pubblicista; è interessato alla catechesi e all’evangelizzazione attraverso la stampa e internet. La spiritualità del Cuore di Cristo lo conquista; egli propone l’umiltà e la mitezza del Cuore di Gesù, ma anche il suo ardore e fuoco di amore per la salvezza delle anime. Nella primavera del 2009 viene portato nella infermeria ispettoriale di Arese (Milano), dove ha vissuto la sua precarietà di salute e i suoi ultimi giorni.
Da questa molteplice azione emerge la ricchezza e la profondità di un alto profilo spirituale e pastorale. Credeva in tutto ciò che gli veniva affidato come se fosse la cosa più importante; per questo non si risparmiava. Era animato da una forte spiritualità, dall’amore al Signore Gesù, a Maria Ausiliatrice, a don Bosco, alla Chiesa e alla congregazione. Amava i giovani e la comunità religiosa. La sua vita è stata concretezza di servizio e disponibilità incondizionata; nei vari progetti e iniziative sapeva coinvolgere ed entusiasmare.