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IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE
di LORENZO SCUPOLI

 

Poiché sempre piacquero e piacciono tuttora a vostra Maestà i sacrifici e le offerte di noi mortali quando da puro cuore vengono offerti a gloria vostra, io presento questo trattatello del Combattimento spirituale dedicandolo alla divina vostra Maestà. Né mi tiro indietro perché questo trattato è piccolo: infatti ben si sa che voi solo siete quell'alto Signore che si diletta delle cose umili e disprezza le vanità e le pretese del mondo. E come potevo io senza biasimo e senza danno dedicarlo ad altra persona che alla vostra Maestà, Re del cielo e della terra? Quanto insegna questo trattatello tutto è dottrina vostra, avendoci voi insegnato che, non confidando più in noi stessi, confidiamo in voi, combattiamo e preghiamo.
Inoltre se ogni combattimento ha bisogno di un capo esperto che guidi la battaglia e animi i soldati, i quali tanto più generosamente combattono quanto più militano sotto un invincibile capitano, non ne avrà forse bisogno questo Combattimento spirituale? Voi dunque eleggemmo, Gesù Cristo (noi tutti che già siamo risoluti a combattere e a vincere qualunque nemico), per nostro Capitano: voi che avete vinto il mondo, il principe delle tenebre, e con le piaghe e la morte della vostra sacratissima carne avete vinto la carne di tutti quelli che hanno combattuto e combatteranno generosamente.
Quando io, Signore, ordinavo questo Combattimento, avevo sempre nella mente quel detto: “Non siamo nemmeno capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi” (2Cor 3,5). Se senza di voi e senza il vostro aiuto non possiamo avere pensieri che siano buoni, come potremo da soli combattere contro tanti potentissimi nemici ed evitare tante innumerevoli e nascoste insidie?
Vostro è, Signore, da tutte le parti questo Combattimento, perché, come ho detto, vostra è la dottrina e vostri sono tutti i soldati spirituali, tra i quali siamo noi Chierici Regolatori Teatini: perciò, tutti chini ai piedi della vostra altissima Maestà, vi preghiamo di accettare questo Combattimento muovendoci e animandoci sempre con la vostra grazia attuale a combattere molto più generosamente: perché noi non dubitiamo affatto che, combattendo voi in noi, vinceremo a gloria vostra e della vostra santissima Madre Maria Vergine.

 

Voi oggi siete prossimi
a dar battaglia ai vostri nemici;
il vostro cuore non venga meno;
non temete, non vi smarrite
e non vi spaventate dinanzi a loro,
perché il Signore vostro Dio cammina con voi
per combattere per voi
contro i vostri nemici e per salvarvi

(Dt 20,3-4)

 

 

CAPITOLO I
In che consista la perfezione cristiana.
Per acquistarla bisogna combattere.
Quattro cose necessarie per questa battaglia

Volendo tu, figliuola in Cristo amatissima, conseguire l'altezza della perfezione e, accostandoti al tuo Dio, diventare uno stesso spirito con lui (cfr. 1Cor 6,17), dal momento che questa è la maggiore e la più nobile impresa che si possa dire o immaginare, devi prima conoscere in che cosa consista la vera e perfetta vita spirituale.
Molti infatti, senza troppo riflettere, l'hanno posta nel rigore della vita, nella macerazione della carne, nei cilizi, nei flagelli, nelle lunghe veglie, nei digiuni e in altre simili asprezze e fatiche corporali.
Altri, e particolarmente le donne, credono di aver fatto molto cammino se dicono molte preghiere vocali; se partecipano a parecchie messe e a lunghe salmodie; se frequentemente vanno in chiesa e si ritemprano al banchetto eucaristico.
Molti altri (tra cui talvolta se ne ritrova qualcuno che, vestito dell'abito religioso, vive nei chiostri) si sono persuasi che la perfezione dipenda del tutto dal frequentare il coro, dal silenzio, dalla solitudine e dalla regolata disciplina: e così chi in queste e chi in altre simili azioni ritiene che sia fondata la perfezione.
Il che però non è così! Siccome dette azioni sono ora mezzo per acquistare spirito e ora frutto di spirito, così non si può dire che in esse solo consistano la perfezione cristiana e il vero spirito.
Sono senza dubbio mezzo potentissimo per acquistare spirito per quelli che bene e discretamente le usano, per prendere vigore e forza contro la propria malizia e fragilità; per armarsi contro gli assalti e gli inganni dei nostri comuni nemici; per provvedersi di quegli aiuti spirituali che sono necessari a tutti i servi di Dio e massimamente ai principianti.
Sono poi frutto di spirito nelle persone veramente spirituali, le quali castigano il corpo perché ha offeso il suo Creatore e per tenerlo sottomesso e umile nel suo servizio; tacciono e vivono solitarie per fuggire qualunque minima offesa del Signore e per conversare nei cieli (cfr. Fíl 3,20 Volgata); attendono al culto divino e alle opere di pietà; pregano e meditano la vita e la passione di nostro Signore non per curiosità e gusti sensibili, ma per conoscere ancora di più la propria malizia e la bontà misericordiosa di Dio, onde infiammarsi sempre più nell'amore divino e nell'odio di se stesse, seguendo con la loro abnegazione e la croce in spalla il Figliuolo di Dio; frequentano i santissimi sacramenti a gloria di sua divina Maestà, per congiungersi più strettamente con Dio e per prendere nuova forza contro i nemici.
Ma ad altri poi che pongono nelle suddette opere esteriori tutto il loro fondamento, possono, non per difetto delle cose in sé (che sono tutte santissime) ma per difetto di chi le usa, porgere talvolta occasione di rovina più che i peccati fatti apertamente. Mentre sono intenti solo in esse, abbandonano il cuore in mano alle inclinazioni e al demonio occulto, il quale, vedendo che questi già sono fuori del retto sentiero, li lascia non solamente continuare con diletto nei suddetti esercizi ma anche spaziare secondo il loro vano pensiero per le delizie del paradiso, dove si persuadono di essere sollevati tra i cori angelici e di sentire Dio dentro di sé. Questi si trovano talora tutti assorti in certe meditazioni piene di alti, curiosi e dilettevoli punti e, quasi dimentichi del mondo e delle creature, par loro di essere rapiti al terzo cielo.
Ma in quanti errori si trovino questi avviluppati e quanto siano lontani da quella perfezione che noi andiamo cercando, facilmente si può comprendere dalla vita e dai loro costumi: infatti questi vogliono in ogni cosa grande e piccola essere preferiti agli altri e avvantaggiati su di loro, sono radicati nella propria opinione e ostinati in ogni loro voglia. Ciechi nei propri, sono invece solleciti e diligenti osservatori e mormoratori dei detti e dei fatti altrui. Se tu li tocchi anche un poco in una certa loro vana reputazione, in cui essi si tengono e si compiacciono di essere tenuti dagli altri, e li levi da quelle devozioni che usano passivamente, si alterano tutti e s'inquietano moltissimo. E se Dio, per ridurli alla vera conoscenza di se stessi e sulla strada della perfezione, manda loro travagli e infermità o permette persecuzioni (che non vengono mai senza sua volontà, così volendo o permettendo, e che sono la pietra di paragone della lealtà dei suoi servi), allora scoprono il loro falso fondo e l'interno corrotto e guasto a causa della superbia. Infatti in ogni avvenimento, triste o lieto che sia, non vogliono rassegnarsi e umiliarsi sotto la mano divina acquietandosi nei sempre giusti benché segreti giudizi di Dio (cfr. Rm 11,33); né sull'esempio del suo Figliuolo, il quale umiliò se stesso e volle patire (cfr. Fil 2,8), si sottomettono a tutte le creature considerando come cari amici i persecutori, che effettivamente sono strumenti della divina bontà e cooperano alla loro mortificazione, perfezione e salvezza.
Perciò è cosa certa che questi tali sono posti in grave pericolo: avendo l'occhio interno ottenebrato e mirando con quello se medesimi e le azioni esterne che sono buone, si attribuiscono molti gradi di perfezione e così insuperbiti giudicano gli altri: ma per loro non c'è chi li converta, fuorché uno straordinario aiuto di Dio. Per tale motivo assai più agevolmente si converte e si riduce al bene il peccatore pubblico, anziché quello occulto e coperto con il manto delle virtù apparenti.
Tu vedi dunque assai chiaramente, figliuola, che la vita spirituale non consiste nelle suddette cose, come ti ho dichiarato.
Devi sapere che essa non consiste in altro che nella conoscenza della bontà e della grandezza di Dio, e della nostra nullità e inclinazione a ogni male; nell'amore suo e nell'odio di noi stessi; nella sottomissione non solo a lui, ma a ogni creatura per amor suo; nella rinuncia a ogni nostro volere e nella totale rassegnazione al suo divino beneplacito: inoltre essa consiste nel volere e nel fare tutto questo semplicemente per la gloria di Dio, per il solo desiderio di piacere a lui, e perché così egli vuole e merita di essere amato e servito.
Questa è la legge d'amore impressa dalla mano dello stesso Signore nei cuori dei suoi servi fedeli. Questo è il rinnegamento di noi stessi, che da noi ricerca (cfr. Lc 9,23). Questo è il giogo soave e il peso suo leggero (cfr. Mt 11, 30). Questa è l'obbedienza, alla quale con l'esempio e con la parola il nostro Redentore e Maestro ci chiama.
E perché, aspirando tu all'altezza di tanta perfezione, devi fare continua violenza a te stessa per espugnare generosamente e annullare tutte le voglie, grandi o piccole che siano, necessariamente conviene che con ogni prontezza d'animo ti prepari a questa battaglia: infatti la corona non si dà se non a quelli che combattono valorosamente.
Siccome tale battaglia è più di ogni altra difficile (poiché combattendo contro di noi, siamo insieme combattuti da noi stessi), così la vittoria ottenuta sarà più gloriosa di ogni altra e più cara a Dio.
Se tu attenderai a calpestare e a dar morte a tutti i tuoi disordinati appetiti, desideri e voglie ancorché minime, renderai maggior piacere e servizio a Dio che se, tenendo alcune di quelle volontariamente vive, ti flagellassi fino al sangue e digiunassi più degli antichi eremiti e anacoreti o convertissi al bene migliaia di anime.
Sebbene il Signore in sé gradisca più la conversione delle anime che la mortificazione di una voglietta, nondimeno tu non devi volere né operare altro se non quello che il medesimo Signore da te rigorosamente ricerca e vuole. Ed egli senza alcun dubbio si compiace di più che tu ti affatichi e attenda a mortificare le tue passioni che se tu, lasciandone anche una avvedutamente e volontariamente viva in te, lo servissi in qualunque cosa sia pure grande e di maggior importanza.
Ora che tu vedi, figliuola, in che consiste la perfezione cristiana e che per acquistarla devi intraprendere una continua e asprissima guerra contro te stessa, c'è bisogno che ti provveda di quattro cose, come di armi sicurissime e necessarissime, per riportare la palma e restare vincitrice in questa spirituale battaglia. Queste sono: la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, l'esercizio e l'orazione. Di tutte tratteremo con l'aiuto divino e con facile brevità.

CAPITOLO II
La diffidenza di noi stessi

La diffidenza di te stessa, figliuola, ti è talmente necessaria in questo combattimento che senza questa devi tenere per certo che non solamente non potrai conseguire la vittoria desiderata, ma neppure superare una ben piccola tua passioncella. E ciò ti s'imprima bene nella mente, perché noi siamo purtroppo facili e inclinati dalla natura corrotta verso una falsa stima di noi stessi: essendo veramente non altro che un bel nulla, ci convinciamo tuttavia di valere qualche cosa; e senza alcun fondamento, vanamente presumiamo delle nostre forze. Questo è difetto assai difficile a conoscersi e dispiace molto agli occhi di Dio, che ama e vuole in noi una leale cognizione di questa certissima verità che ogni grazia e virtù derivano in noi da lui solo, fonte di ogni bene; e che da noi non può venire nessuna cosa, neppure un buon pensiero che gli sia gradito (cfr. 2Cor 3,5).
E benché questa tanto importante diffidenza sia ben anche opera della sua divina mano che suole darla ai suoi cari amici ora con sante ispirazioni, ora con aspri flagelli e con violente e quasi insuperabili tentazioni, e con altri mezzi non intesi da noi medesimi, tuttavia, volendo egli che anche da parte nostra si faccia quello che tocca a noi, ti propongo quattro modi con i quali, aiutata principalmente dal supremo favore, tu possa conseguire tale diffidenza.
Il primo è che tu consideri e conosca la tua viltà e nullità e che da te non puoi fare alcun bene per il quale meriti di entrare nel regno dei cieli.
Il secondo è che con ferventi e umili preghiere la domandi spesso al Signore, poiché è dono suo. E per ottenerla prima ti devi mirare non solo priva di essa, ma del tutto impotente ad acquistarla da te. Così presentandoti più volte davanti alla divina Maestà con una fede certa che per sua bontà sia per concedertela, e aspettandola con perseveranza per tutto quel tempo disposto dalla sua provvidenza, non vi è dubbio che l'otterrai.
Il terzo modo è che ti abitui a temere te stessa, il tuo giudizio, la forte inclinazione al peccato, gli innumerevoli nemici ai quali non hai forza di fare una minima resistenza; la loro esperienza nel combattere, gli stratagemmi, le loro trasfigurazioni in angeli di luce; le innumerevoli arti e i tranelli, che nella via stessa della virtù nascostamente ci tendono.
Il quarto modo è che quando ti avviene di cadere in qualche difetto, allora tu penetri più dentro e più vivamente nella considerazione della tua somma debolezza: infatti per questo fine Dio ha permesso la tua caduta, affinché, avvisata dall'ispirazione con più chiaro lume di prima, conoscendoti bene impari a disprezzare te stessa come cosa purtroppo vile e per tale tu voglia anche dagli altri essere tenuta e parimenti disprezzata. Sappi che senza questa volontà non vi può essere virtuosa diffidenza, la quale ha il suo fondamento nell'umiltà vera e nella cognizione sperimentale.
Chiara è questa cosa: a ognuno che vuol congiungersi con la luce suprema e con la verità increata è necessaria la conoscenza di se stesso, che la divina clemenza dà ordinariamente ai superbi e ai presuntuosi attraverso le cadute: essa li lascia giustamente incorrere in qualche mancanza dalla quale si persuadono di potersi difendere, affinché, venendosi così a conoscere, apprendano a diffidare in tutto di se medesimi.
Il Signore, però, non è solito servirsi di questo mezzo così miserabile se non quando gli altri più benigni, che abbiamo detto sopra, non hanno portato quel giovamento inteso dalla sua divina bontà. Essa permette che l'uomo cada più o meno tanto quanto maggiore o minore è la sua superbia e la propria reputazione; in maniera che dove non si ritrovasse la pur minima presunzione, come fu in Maria Vergine, similmente non vi sarebbe nemmeno la pur minima caduta. Dunque quando cadi, corri subito col pensiero all'umile conoscenza di te stessa e con preghiera insistente (cfr. Lc 11,5-13) domanda al Signore che ti doni il vero lume per conoscerti e la totale diffidenza di te stessa, se non vorrai cadere di nuovo e talvolta in più grave rovina.

CAPITOLO III
La confidenza in Dio

Benché in questa battaglia, come abbiamo detto, sia tanto necessaria la diffidenza di sé, tuttavia, se l'avremo sola, o ci daremo alla fuga o resteremo vinti e superati dai nemici; e perciò oltre a questa ti occorre ancora la totale confidenza in Dio, da lui solo sperando e aspettando qualunque bene, aiuto e vittoria. Perché siccome da noi, che siamo niente, non ci è lecito prometterci altro che cadute, onde dobbiamo diffidare del tutto di noi medesimi, così grazie a nostro Signore conseguiremo sicuramente ogni gran vittoria purché, per ottenere il suo aiuto, armiamo il nostro cuore di una viva confidenza in lui. E questa parimenti in quattro modi si può conseguire.
Primo: col domandarla a Dio.
Secondo: col considerare e vedere con l'occhio della fede l'onnipotenza e la sapienza infinita di Dio, al quale niente è impossibile (cfr. Lc 1,37) né difficile; e che essendo la sua bontà senza misura, con indicibile amore sta pronto e preparato a dare di ora in ora e di momento in momento tutto quello che ci occorre per la vita spirituale e la totale vittoria su noi stessi, se ci gettiamo con confidenza nelle sue braccia. E come sarà possibile che il nostro Pastore divino, il quale trentatré anni ha corso dietro alla pecorella smarrita con grida tanto forti da diventarne rauco e per via tanto faticosa e spinosa da spargervi tutto il sangue e lasciarvi la vita, ora che questa pecorella va dietro a lui con l'obbedienza ai suoi comandamenti oppure con il desiderio benché alle volte fiacco di obbedirgli, chiamandolo e pregandolo, come sarà possibile che egli non volga ad essa quei suoi occhi vivificanti, non l'oda e non se la metta sulle divine spalle facendone festa con tutti i suoi vicini e con gli angeli del cielo? Che se nostro Signore non lascia di cercare con grande diligenza e amore e di trovare nella dramma evangelica il cieco e muto peccatore, come sarà possibile che abbandoni colui che come smarrita pecorella grida e chiama a suo Pastore? E chi crederà mai che Dio, il quale batte di continuo al cuore dell'uomo per il desiderio di entrarvi e cenarvi comunicandogli i suoi doni, faccia egli davvero il sordo e non vi voglia entrare qualora l'uomo apra il cuore e lo inviti (cfr. Ap 3,20)?
Il terzo modo per acquistare questa santa confidenza è il ricorrere con la memoria alla verità della sacra Scrittura, la quale in tanti luoghi ci mostra chiaramente che non restò mai confuso colui che confidò in Dio.
Il quarto modo, che servirà per conseguire insieme la diffidenza di te stessa e la confidenza in Dio, è questo: quando ti capita qualcosa da fare e di intraprendere qualche battaglia e vincere te stessa, prima che ti proponga o ti risolva di volerla fare rivolgiti con il pensiero alla tua debolezza e, diffidando completamente, volgiti poi alla potenza, alla sapienza e alla bontà divina. E in queste confidando, delibera di operare e di combattere generosamente; ma come nel suo luogo dirò, combatti e opera poi con queste armi in pugno e con l'orazione. E se non osserverai quest'ordine, anche se ti parrà di fare ogni cosa nella confidenza in Dio, ti troverai in gran parte ingannata: infatti è tanto sottile e tanto propria all'uomo la presunzione di se medesimo, che subdolamente quasi sempre vive nella diffidenza che ci pare di avere di noi stessi e nella confidenza che stimiamo di avere in Dio.
Perché tu fugga quanto più sia possibile la presunzione e operi con la diffidenza di te stessa e con la confidenza in Dio, fa in maniera che la considerazione della tua debolezza preceda la considerazione dell'onnipotenza di Dio e ambedue precedano le nostre opere.

CAPITOLO IV
Come possa conoscersi se l'uomo opera con la diffidenza di sé e con la confidenza in Dio

Alle volte pare assai al servo presuntuoso d'aver ottenuto la diffidenza di sé e la confidenza in Dio, ma non sarà così. E di ciò ti darà chiarezza l'effetto che produrrà in te la caduta.
Se tu dunque, quando cadi, t'inquieti, ti rattristi e ti senti chiamare a un certo che di disperazione di poter andare più innanzi e di far bene, è segno certo che tu confidavi in te e non in Dio. E se molta sarà la tristezza e la disperazione, molto tu confidavi in te e poco in Dio: infatti colui che in gran parte diffida di se stesso e confida in Dio, quando cade non si meraviglia, non si rattrista né si rammarica conoscendo che ciò gli capita per sua debolezza e poca confidenza in Dio. Anzi più diffida di sé, assai più umilmente confida in Dio; e avendo in odio sopra ogni cosa il difetto e le passioni disordinate, causa della caduta, con un dolore grande, quieto e pacifico per l'offesa di Dio, segue poi l'impresa e perseguita i suoi nemici fino alla morte con maggior animo e risoluzione.
Queste cose vorrei che fossero ben considerate da certe persone che si dicono spirituali. Quando esse sono incorse in qualche difetto, non possono né vogliono darsi pace; e alle volte, più per liberarsi dall'ansietà e dall'inquietudine dovute all'amor proprio che per altro, non vedono l'ora di andare a trovare il padre spirituale, dal quale dovrebbero andare principalmente per lavarsi dalla macchia del peccato e prendere forza contro di esso con il santissimo sacramento dell'eucaristia.

CAPITOLO V
Un errore di molti, dai quali la pusillanimità è tenuta per virtù

In questo ancora si ingannano molti, i quali attribuiscono a virtù la pusillanimità e l'inquietudine che seguono dopo il peccato, perché sono accompagnate da qualche dispiacere: ma essi non sanno che nascono da occulta superbia e presunzione fondate sulla confidenza in se stessi e nelle proprie forze nelle quali, perché si stimavano qualche cosa, avevano eccessivamente confidato. Costoro, scorgendo dalla prova della caduta di sbagliare, si turbano e si meravigliano come di cosa strana e diventano pusillanimi, vedendo caduto per terra quel sostegno in cui vanamente avevano riposto la loro confidenza.
Questo non accade all'umile, il quale, confidando nel suo solo Dio e in niente presumendo di sé, quando incorre in qualsiasi colpa, pur sentendone dolore, non se ne inquieta o se ne meraviglia: egli sa che tutto ciò gli avviene per sua miseria e propria debolezza da lui molto ben conosciute con lume di verità.

CAPITOLO VI
Altri avvisi, perché acquistiamo la diffidenza di noi stessi e la confidenza in Dio

Poiché tutta la forza di vincere i nostri nemici nasce principalmente dalla diffidenza di noi stessi e dalla confidenza in Dio, di nuovo ti provvedo di avvisi perché tu le consegua con il divino aiuto.
Devi sapere dunque e tenere per cosa certa che né tutti i doni, o naturali o acquisiti che siano, né tutte le grazie gratis date, né la conoscenza di tutta la Scrittura, né l'aver lungamente servito Dio e fatto in questo l'abitudine ci faranno compiere la sua volontà, se in qualunque opera buona e accetta agli occhi suoi che dobbiamo fare, e in qualunque tentazione che dobbiamo vincere, e in qualunque pericolo che dobbiamo fuggire, e in qualunque croce che dobbiamo portare secondo la sua volontà, se, dico, non è aiutato ed elevato il cuor nostro dal particolare aiuto di Dio, e anzi Dio stesso non ci tenda anche la mano per fare tutto questo. Dunque dobbiamo in tutta la nostra vita, in tutti i giorni, in tutte le ore e in tutti i momenti aver presente questa verità: che così per nessuna via o progetto potremo mai confidare in noi stessi.
Per quanto poi riguarda la confidenza in Dio, sappi che per lui non c'è niente di più facile che vincere i pochi come i molti nemici, i vecchi ed esperti come i fiacchi e inesperti. Perciò, sebbene un'anima sia carica di peccati, abbia tutti i difetti del mondo, anzi sia difettosa quanto mai si possa immaginare; benché abbia tentato quanto si voglia, usato qualunque mezzo e fatto qualunque esercizio per lasciare il peccato e operare il bene; benché non abbia mai potuto acquistare un minimo di bene, anzi sia precipitata più pesantemente nel male: con tutto ciò non deve mancare di confidare in Dio né deve mai lasciare le armi e gli esercizi spirituali, ma combattere sempre generosamente in quanto bisogna sapere che in questa battaglia spirituale non perde chi non smette di combattere e di confidare in Dio, il cui aiuto non manca mai ai suoi soldati anche se a volte permette che siano feriti. Si combatta pure, perché qui è tutto! La medicina per le ferite è pronta ed efficace per i soldati, che con confidenza cercano Dio e il suo aiuto; e quando meno ci pensano, i nemici si troveranno morti.

CAPITOLO VII
L'esercizio.
E in primo luogo l'esercizio dell'intelletto, che va guardato dall'ignoranza e dalla curiosità

Se la diffidenza di noi e la confidenza in Dio tanto necessarie in questa battaglia saranno sole, non solamente non avremo vittoria su noi stessi, ma precipiteremo in molti mali. Perciò, oltre a queste, ci è necessario l'esercizio, che è la terza cosa proposta sopra. Questo esercizio si deve fare principalmente con l'intelletto e con la volontà. Quanto all'intelletto deve essere da noi guardato da due cose che sogliono combatterlo.
L'una è l'ignoranza, che lo oscura e gli impedisce la conoscenza del vero, che è il suo oggetto proprio. Perciò con l'esercizio lo si deve rendere lucido e chiaro, perché possa vedere e discernere bene quanto ci è necessario per purificare l'anima dalle passioni disordinate e ornarla delle sante virtù. Questo lume in due modi si può ottenere.
Il primo e più importante è l'orazione, pregando lo Spirito Santo che si degni infonderlo nei nostri cuori. Questo lo farà sempre, se in verità cercheremo Dio solo; se cercheremo di fare la sua santa volontà e se sottoporremo ogni cosa insieme al nostro giudizio alla decisione del padre spirituale.
L'altro modo è un continuo esercizio di profonda e leale considerazione delle cose per vedere come siano, se buone o cattive: e ciò secondo come insegna lo Spirito Santo e non come appaiono all'esterno, si rappresentano ai sensi e giudica il mondo.
Questa considerazione, fatta come si conviene, ci fa chiaramente conoscere che si debbono avere per nulla, per vanità e bugia tutte quelle cose che il cieco e corrotto mondo ama e desidera, e che con vari modi e mezzi si va procurando; che gli onori e i piaceri terreni non sono altro che vanità e afflizione di spirito; che le ingiurie e le infamie, che il mondo ci dà, portano vera gloria e le tribolazioni quiete; che perdonare i nemici e fare loro del bene è magnanimità e una delle maggiori somiglianze con Dio; che vale più il disprezzo del mondo che l'esserne padrone; che l'obbedire volentieri per amore di Dio alle più vili creature è cosa più magnanima e generosa del comandare ai grandi prìncipi; che l'umile conoscenza di noi stessi si deve apprezzare più dell'altezza di tutte le scienze; che il vincere e mortificare i propri appetiti, per piccoli che siano, merita maggior lode che l'espugnare molte città (cfr. Pro 16,32), superare potenti eserciti con le armi in mano, fare miracoli e risuscitare i morti.

CAPITOLO VIII
Le cause per cui non discerniamo rettamente le cose.
Il metodo che si deve usare per conoscerle bene

La causa per cui non discerniamo rettamente tutte le cose suddette insieme a molte altre è che al primo loro apparire vi attacchiamo o l'amore o l'odio. Da questi oscurato, l'intelletto non le giudica con rettitudine per quelle che sono.
Tu, perché in te non trovi luogo questo inganno, sii accorta nel tenere sempre quanto più puoi la tua volontà purificata e libera dall'affetto disordinato a qualunque cosa. E quando ti viene posto innanzi qualunque oggetto, osservalo bene con l'intelletto e consideralo con maturità prima che da odio, se si tratta di cosa contraria alle nostre naturali inclinazioni, o da amore, se ti apporta diletto, tu sia mossa a volerlo oppure a rifiutarlo. Perché allora l'intelletto, non essendo ingombrato da passione, è libero e chiaro; può conoscere il vero e penetrare dentro al male, che è nascosto sotto il falso piacere, e al bene coperto dall'apparenza del male.
Ma se la volontà si è prima inclinata ad amare la cosa o l'ha presa in aborrimento, l'intelletto non la può ben conoscere, perché quell'affetto, che si è interposto, lo offusca in modo da fargliela stimare diversamente da quella che è, e per tale rappresentandola alla volontà, essa si muove più ardentemente di prima ad amarla oppure a odiarla contro ogni ordine e legge di ragione. Da tale affetto viene a essere oscurato maggiormente l'intelletto e, così oscurato, fa di nuovo sembrare alla volontà la cosa più che mai amabile o odiosa. Perciò, se non si osserva la regola che ho detto (il che in tutto questo esercizio è di somma importanza), queste due potenze tanto nobili ed eccellenti, intelletto e volontà, vengono miseramente a camminare sempre, come in un vortice, di tenebre in più folte tenebre e di errore in errore maggiore.
Guardati dunque, figliuola, con ogni vigilanza da ogni non bene ordinato affetto a qualsiasi cosa, che prima non sia da te ben esaminata e riconosciuta per quella che è veramente con il lume dell'intelletto, e principalmente con quello della grazia e dell'orazione e con il giudizio del tuo padre spirituale. Il che intendo che tu debba osservare, talora più che nelle altre cose, in alcune opere esteriori che sono buone e sante, perché in queste, per essere tali, vi è più che in quelle pericolo di inganno e di indiscrezione da parte nostra. Onde per qualche circostanza di tempo, di luogo e di misura, o per rispetto dell'obbedienza, alcune volte ti potrebbero recare non piccolo danno, come di molti si sa che nei lodevoli e santissimi esercizi hanno corso pericolo.

CAPITOLO IX
Un'altra cosa da cui si deve guardare l'intelletto perché possa discernere bene

L'altra cosa da cui dobbiamo difendere l'intelletto è la curiosità perché, riempiendolo noi di pensieri nocivi, vani e impertinenti, lo rendiamo inabile e incapace di apprendere ciò che più appartiene alla nostra vera mortificazione e perfezione. Per cui tu devi essere come morta in tutto a ogni investigazione delle cose terrene non necessarie, sebbene lecite.
Restringi sempre il tuo intelletto quanto puoi e ama di farlo stolto. Le novità e le vicissitudini del mondo, piccole e grandi, per te siano appunto come se non fossero; e se ti sono offerte, opponiti loro e scacciale lontano da te. Nel desiderio di intendere le cose celestiali fa' in modo da essere sobria e umile, non volendo sapere altro che Cristo crocifisso (cfr. 1Cor 2,2; Gal 6,14; 1Cor 1,23), la vita e la morte sua e quanto da te domanda. Allontana da te tutto il resto e farai cosa molto gradita a Dio, il quale considera suoi cari e diletti coloro che desiderano da lui e cercano quelle cose che bastano per amare la sua divina bontà e per fare la sua volontà. Ogni altra domanda e ricerca è amor proprio, superbia e inganno del demonio.
Se tu seguirai queste norme potrai sfuggire a molte insidie perché, vedendo l'astuto serpente che in quelli che attendono alla vita spirituale la volontà è gagliarda e forte, tenta di abbattere il loro intelletto per farsi così padrone di questo e di quella. Onde è solito molte volte dar loro sentimenti alti, vivi e stravaganti; e li concede massimamente alle persone acute e di grande ingegno e che sono facili a montare in superbia perché, occupate nel diletto e nella meditazione di quei punti nei quali falsamente si persuadono di godere Dio, si dimentichino di purificare il cuore e di attendere alla conoscenza di se stessi e alla vera mortificazione. Irretiti così nel laccio della superbia, si fanno un idolo del proprio intelletto. Da questo ne segue che a poco a poco, senza accorgersene, si convincono di non avere bisogno del consiglio e ammaestramento altrui, essendo già abituati a ricorrere in ogni evenienza all'idolo del proprio giudizio.
Questa è cosa di grave pericolo e molto difficile a curarsi, perché è più pericolosa la superbia dell'intelletto che della volontà: essendo la superbia della volontà manifesta al proprio intelletto, facilmente un giorno potrà curarla obbedendo a chi deve. Ma chi ha ferma opinione che il suo parere sia migliore di quello di altri, da chi e come potrà essere sanato? Come si sottoporrà al giudizio di altri, che non ritiene tanto buono quanto il suo proprio? Se l'occhio dell'anima, che è l'intelletto, con cui si doveva conoscere e purificare la piaga della superba volontà è infermo, cieco e pieno della stessa superbia, chi lo potrà curare? E se la luce diventa tenebre e la regola fallisce, che ne sarà del resto?
Perciò tu opponiti per tempo a così pericolosa superbia, prima che ti penetri nelle midolla delle ossa. Rintuzza l'acutezza del tuo intelletto: sottoponi facilmente il tuo parere a quello altrui; diventa pazza per amore di Dio e sarai più saggia di Salomone.

CAPITOLO X
L'esercizio della volontà é il fine al quale si devono indirizzare tutte le azioni interiori ed esteriori

Oltre all'esercizio che tu devi fare intorno all'intelletto, ti è necessario regolare talmente la tua volontà che, non lasciandola nei suoi desideri, si renda in tutto conforme al beneplacito divino. E avverti bene che non ti deve bastare soltanto il volere e il procurare le cose che a Dio sono più gradite, ma devi anche volerle e compierle come mossa da lui e solamente allo scopo di piacergli. In questo abbiamo pure, più che nel suddetto, contrasto grande con la natura: essa è talmente inclinata verso se stessa che in tutte le cose, anche nelle buone e nelle spirituali (talora più che nelle altre) cerca il proprio comodo e diletto. In questi si va trattenendo e di quelle, come di cibo per niente sospetto, si va avidamente pascendo.
Infatti quando ci sono offerte, subito le adocchiamo e le vogliamo, non come mossi dalla volontà di Dio né allo scopo di piacere solamente a lui, ma per quel bene e diletto che derivano dal volere le cose volute da Dio. Questo inganno è tanto più occulto, quanto la cosa voluta è per se stessa migliore. Onde persino nel desiderare lo stesso Dio vi sogliono essere degli inganni dell'amor proprio, perché si mira spesso più al nostro interesse e al bene che ne aspettiamo che alla volontà di Dio, il quale per sua sola gloria si compiace e vuole da noi essere amato, desiderato e obbedito.
Per guardarti da quest'insidia, che ti impedirebbe il cammino della perfezione, e per abituarti a volere e a fare tutto come mossa da Dio e con pura intenzione di onorare e di compiacere lui solo (il quale vuole essere unico principio e fine di ogni nostra azione e di ogni nostro pensiero), seguirai questa via. Quando ti si offre qualcosa voluta da Dio, non inclinare la volontà a volerla se prima non innalzi la mente a Dio per vedere che è volontà sua che tu la voglia e perché egli così vuole, e per piacere solamente a lui. Così mossa e attirata da questa volontà, la tua si pieghi poi a volere quella cosa come voluta da Dio e per suo solo beneplacito e onore. Parimenti volendo tu rifiutare le cose non volute da Dio, non rifiutarle se prima non fissi lo sguardo dell'intelletto nella sua divina volontà, la quale vuole che tu le rifiuti per piacergli.
Ma devi sapere che le frodi della sottile natura sono poco conosciute: essa, cercando sempre occultamente se medesima, molte volte fa sembrare che in noi vi siano il detto motivo e il fine di piacere a Dio, e non è così. Onde spesso avviene che quello che si vuole o non si vuole per nostro interesse, pare a noi di volerlo o non volerlo per piacere o non piacere a Dio. Per fuggire da questo inganno il rimedio proprio e intrinseco sarebbe la purezza del cuore, la quale consiste nello spogliarsi dell'uomo vecchio e nel vestirsi del nuovo (cfr. Col 3,9-10; Ef 4,22-23): a tal fine si indirizza tutto questo Combattimento.
Tuttavia per predisporti come si deve, poiché sei piena di te stessa, dal principio delle tue azioni sta' attenta a spogliarti quanto puoi di ogni mistura dove tu possa stimare che vi sia del tuo, e non volere né fare né rifiutare cosa alcuna, se prima non ti senti muovere e tirare dal puro e semplice volere di Dio. Se in tutte le azioni, e particolarmente in quelle interiori dell'anima e in quelle esteriori che passano presto, non potrai così sempre in atto sentire questo motivo, contentati di averlo virtualmente in ciascuna, tenendo sempre vera intenzione di piacere in tutto al tuo solo Dio.
Ma nelle azioni che continuano qualche spazio di tempo, non solamente nel principio è bene che tu ecciti in te questo motivo, ma devi stare attenta a rinnovarlo spesso e a tenerlo desto fino all'ultimo: altrimenti vi sarebbe pericolo di incappare in un altro tranello pure dell'amor nostro naturale. Essendo questo incline e propenso più verso se stesso che verso Dio, molte volte con intervallo di tempo suole farci inavvertitamente cambiare gli oggetti e mutare le intenzioni.
Il servo di Dio, che in ciò non è ben attento, spesso comincia a fare qualche cosa per il solo motivo di piacere al suo Signore; ma poi a poco a poco, quasi senza accorgersene, si va talmente compiacendo in quella con il proprio senso che, scordatosi della divina volontà, si rivolge e si attacca a tal punto al gusto sensibile e all'utile e all'onore che gliene possono venire, che se Dio mette impedimento a quell'azione con qualche infermità o avversità o per mezzo di qualche creatura, egli ne rimane tutto turbato e inquieto e alle volte cade nella mormorazione e di questo e di quello, per non dire talora dello stesso Dio. Segno assai chiaro che l'intenzione sua non era in tutto di Dio, ma nasceva da radice e da fondo guasto e corrotto. Perché chiunque si muove come spinto da Dio e per piacere a lui solo non vuole più l'una che l'altra cosa; ma vuole solamente averla se a Dio piacerà che l'abbia e nel modo e tempo che gli sarà gradito; e avendola o non avendola ne resta ugualmente pacifico e contento, poiché in ogni modo ottiene il suo intento e consegue il fine che altro non era se non il beneplacito di Dio.
Perciò sta' ben raccolta in te stessa e attenta a indirizzare sempre le tue azioni a questo perfetto fine. E se talora (cosi ricercando la disposizione dell'anima tua) tu ti muovessi a operare il bene allo scopo di fuggire le pene dell'inferno o per la speranza del paradiso, ancora in questo ti puoi proporre per ultimo fine il gradimento e la volontà di Dio: egli si compiace che tu non vada all'inferno, ma che entri nel suo regno.
Non c'è chi possa pienamente conoscere quanta forza ed efficacia abbia questo motivo, poiché una cosa, sia pur bassa o minima quanto si voglia, fatta allo scopo di piacere a Dio solo e per sua gloria, per così dire vale infinitamente più di molte altre di grandissimo pregio e valore che siano fatte senza questo motivo. Pertanto gli è più gradito un solo denaro dato a un poverello per questo solo motivo di far piacere a sua divina Maestà che se con altra intenzione, anche di godere i beni del cielo (che è fine non solo buono ma sommamente desiderabile), qualcuno si privasse di tutti i suoi averi, per copiosi che fossero.
Questo esercizio di fare tutto allo scopo di piacere puramente a Dio sembrerà da principio arduo; ma esso diventerà agevole e facile con la consuetudine, con il desiderare molte volte lo stesso Dio e con l'aspirare a lui con vivi affetti del cuore come a perfettissimo e unico nostro bene, il quale per se stesso merita che tutte le creature lo cerchino, lo servano e lo amino sopra qualunque altra cosa.
Quanto più profondamente e più spesso sarà fatta la considerazione dell'infinito merito di Dio, tanto più ferventi e frequenti saranno gli atti suddetti della volontà; e così con maggior facilità e più presto acquisteremo l'abitudine di fare ogni azione in segno di rispetto e di amore per quel Signore che solo ne è degno.
Infine ti avviso che per conseguire questo divino obiettivo, oltre a quanto ti ho detto, occorre che tu lo domandi a Dio con preghiera insistente e che consideri spesso gli innumerevoli benefici cheDio ci ha fatti e tuttora ci fa per puro amore e senza suo interesse.

CAPITOLO XI
Alcune considerazioni che inducono la volontà a volere in ogni cosa il beneplacito di Dio

Inoltre per indurre con maggior facilità la tua volontà a volere in tutte le cose il beneplacito di Dio e il suo onore, ricordati spesso che egli ti ha prima in vari modi onorata e amata. Nella creazione, creandoti dal nulla a sua somiglianza e mettendo tutte le altre creature a tuo servizio (cfr. Gen 1,26-28). Nella redenzione, mandando non un angelo ma il suo unigenito Figliuolo a redimerti, non con prezzo corruttibile di oro e di argento ma con il suo sangue prezioso (cfr. Pt 1, 18-19) e con la sua penosa e ignominiosa morte. Che poi ogni ora, anzi ogni momento ti guardi dai nemici, combatta per te con la sua grazia, tenga continuamente preparato per tua difesa e per tuo cibo il suo diletto Figliuolo nel sacramento dell'altare non è segno di incalcolabile stima e amore che l'immenso Dio ti porta? Sicché nessuno può capire quanta considerazione così gran Signore abbia di noi poverelli, della nostra bassezza e miseria, e viceversa quello che noi siamo tenuti a fare per così alta Maestà, che tali e tante cose ha operate per noi. Se i signori della terra, quando sono onorati da persone anche povere e umili, si sentono obbligati a rendere loro onore, cosa dovrà fare la nostra viltà con il supremo re dell'universo da cui si vede così altamente apprezzata e amata?
Oltre a quanto ho detto, abbi sempre sopra ogni cosa viva memoria che la divina Maestà per se stessa merita infinitamente di essere onorata e servita, semplicemente perché tale è il suo desiderio.

CAPITOLO XII
Molte volontà esistono nell'uomo. La guerra che si fanno tra loro

Benché si possa dire che in questo combattimento in noi esistano due volontà - l'una della ragione, detta perciò ragionevole e superiore, l'altra del senso, chiamata inferiore e sensuale, la quale con i nomi di appetito, carne, senso e passione si suole significare -, tuttavia, poiché siamo uomini per la ragione, anche se diciamo che con il solo senso vogliamo qualche cosa, non si intende che veramente la vogliamo, fintanto che non ci incliniamo a volerla con la volontà superiore. Per cui tutta la nostra battaglia spirituale consiste principalmente nel fatto che la volontà ragionevole, essendo come interposta fra la volontà divina che la sovrasta e la volontà inferiore che è quella del senso, è continuamente combattuta dall'una e dall'altra, mentre ciascuna di queste tenta di tirarla a sé e rendersela soggetta e obbediente. Ma gran pena e fatica, specialmente all'inizio, provano quelli che sono prigionieri delle cattive abitudini quando decidono di migliorare la loro vita corrotta e, liberandosi del mondo e della carne, di darsi all'amore e al servizio di Gesù Cristo.
Questo perché i colpi, che la volontà superiore sostiene dalla volontà divina e da quella sensuale che le stanno sempre intorno battagliandola, sono possenti e forti e si fanno ben sentire non senza grave pena. Il che non avviene a quelli che sono già abituati alle virtù o ai vizi e sulla loro via intendono continuare, perché i virtuosi facilmente consentono alla volontà divina e i viziosi si piegano senza contrasto a quella del senso.
Ma nessuno presuma di poter conseguire le vere virtù cristiane né di servire Dio come si conviene, se non vuole farsi violenza davvero e sopportare la pena che si sente nel lasciare non solo i piaceri maggiori ma anche i piccoli, ai quali prima era attaccato con affetto terreno. E la conseguenza di ciò è che pochissimi raggiungono lo scopo della perfezione: dopo aver con fatica superato i vizi maggiori, non vogliono poi farsi violenza continuando a soffrire le punture e il travaglio che si provano nel resistere a quasi infinite vogliette proprie e passioncelle di minor conto, le quali, prevalendo ogni ora in essi, vengono ad acquistare dominio e signoria sopra i loro cuori.
Fra questi se ne trovano alcuni che, se non rubano i beni altrui, si affezionano in modo eccessivo a quelli che giustamente possiedono; se non si procurano onori con mezzi illeciti, non li aborriscono però come dovrebbero né smettono di desiderarli e alcune volte di cercarli per vie diverse; se osservano i digiuni di obbligo, non mortificano per questo la gola nel mangiare superfluamente e nel desiderare cibi delicati; vivendo nella continenza, non si staccano da certe amicizie di loro gusto, che portano grande impedimento all'unione con Dio e alla vita spirituale; essendo inoltre esse molto pericolose in qualsiasi persona sia pur santa e più in chi meno le teme, sono da fuggirsi da ciascuno quanto più si possa. Da tali cose ancora ne consegue che le altre loro opere buone sono fatte con tiepidezza di spirito e sono accompagnate da molti interessi e imperfezioni occulte, da una certa stima di se stessi e dal desiderio di esserne lodati e apprezzati dal mondo.
Costoro non solo non fanno progresso nella via della salvezza, ma, tornando indietro, corrono il rischio di ricadere nei primi mali in quanto non amano la vera virtù e si mostrano poco grati al Signore, che li tolse dalla tirannia del demonio; inoltre sono ignoranti e ciechi per vedere il pericolo in cui si trovano, mentre si persuadono di essere come in stato sicuro. E qui si scopre un inganno tanto più dannoso quanto meno avvertito: cioè molti che attendono alla vita spirituale, amando se stessi più di quanto dovrebbero (sebbene in verità non sanno amarsi), per lo più praticano quegli esercizi che più si confanno al loro gusto e lasciano gli altri che toccano sul vivo la propria naturale inclinazione e i loro sensuali appetiti, contro i quali ogni ragione vorrebbe che si rivolgesse tutto lo sforzo.
Perciò, figlia mia diletta, ti avviso ed esorto a innamorarti della difficoltà e della pena che comporta il vincere se stessi: qui è tutto! E tanto più certa e sollecita sarà la vittoria quanto più fortemente ti innamorerai della difficoltà, che mostra ai principianti la virtù e la guerra; e se tu amerai la difficoltà e il penoso combattere più delle vittorie e delle virtù, più presto acquisterai ogni cosa.

CAPITOLO XIII
Il modo di combattere contro gli impulsi del senso e gli atti che la volontà deve fare per acquistare le abitudini alle virtù

Ogniqualvolta la tua volontà ragionevole è combattuta da quella del senso da una parte e da quella divina dall'altra, mentre ciascuna cerca di riportare vittoria, è necessario che ti eserciti in più modi perché in te prevalga in tutto la volontà divina.
Primo: quando sei assalita e battagliata dagli impulsi del senso, devi opporre un'accanita resistenza perché la volontà superiore non acconsenta a quelli.
Secondariamente: allorché essi sono cessati, eccitali di nuovo in te per reprimerli con maggior impeto e forza. Dopo richiamali alla terza battaglia, nella quale ti abituerai a scacciarli da te con sdegno e ripugnanza. Questi due incitamenti a battaglia si devono fare in ogni nostro appetito disordinato fuorché negli stimoli carnali, dei quali tratteremo a suo tempo.
Infine devi fare atti contrari a ogni tua viziosa passione. Con il seguente esempio ti si farà il tutto più chiaro.
Tu sei forse combattuta dagli stimoli dell'impazienza: se rientrando in te stessa starai ben attenta, sentirai che essi continuamente battono alla porta della volontà superiore perché si inchini e acconsenta a loro. E tu come primo esercizio, opponendoti a ciascun impulso, fa' ripetutamente quanto puoi perché la tua volontà non vi dia il consenso. Né cessa mai da questa battaglia finché non ti avveda che il nemico, quasi stanco e come morto, si dia per vinto.
Ma vedi, figliuola, la malizia del demonio. Quando egli si accorge che noi ci opponiamo fortemente agli stimoli di qualche passione non solo resta a eccitarli in noi ma, quando sono eccitati, tenta per il momento di acquietarli. E questo lo fa perché con l'esercizio non acquistiamo l'abitudine alla virtù contraria a quella passione e inoltre per farci cadere nei lacci della vanagloria e della superbia, facendoci poi astutamente convincere che noi da generosi soldati abbiamo subito calpestato i nostri nemici.
Perciò tu passerai alla seconda battaglia, richiamandoti alla memoria ed eccitando in te quei pensieri che ti cagionavano l'impazienza, in modo da sentirti da essi commossa nella parte sensitiva e da reprimere allora ripetutamente e con sforzo maggiore di prima i suoi impulsi. E sebbene noi respingiamo i nostri nemici sapendo di far bene e di piacere a Dio, tuttavia se non li abbiamo del tutto in odio corriamo pericolo di essere un'altra volta da essi superati: per questo tu devi farti loro incontro con il terzo assalto e scacciarli lontano da te facendo atti non solo di ripugnanza ma anche di indignazione, fino a tanto che si rendano odiosi e abominevoli.
Infine, per ornare e perfezionare l'anima tua con le abitudini alle virtù, devi produrre atti interiori che siano direttamente contrari alle tue disordinate passioni. Ad esempio volendo tu acquistare perfettamente l'abitudine alla pazienza, se uno disprezzandoti ti porge l'occasione di essere impaziente, non basta esercitarti nelle tre maniere di combattere di cui ti ho detto, ma devi volere e amare per giunta il disprezzo ricevuto, desiderando di essere di nuovo nello stesso modo e dalla stessa persona oltraggiata, aspettando e proponendoti di sostenere anche cose più gravi. La causa per cui tali atti contrari sono necessari per perfezionarci nelle virtù è questa: gli altri atti, pur essendo molti e forti, non sono sufficienti a estirpare le radici che producono il vizio.
Pertanto (per continuare nello stesso esempio), benché noi, quando siamo disprezzati, non consentiamo ai moti dell'impazienza anzi combattiamo contro di essi con i tre modi indicati sopra, nondimeno se non ci abitueremo con molti e frequenti atti ad amare il disprezzo e a rallegrarcene, non ci potremo mai liberare dal vizio dell'impazienza il quale, per la nostra inclinazione alla reputazione propria, si fonda nell'aborrimento del disprezzo. E finché resta viva, la radice viziosa va sempre germogliando in maniera da rendere languida la virtù, anzi talora da soffocarla in tutto e da tenerci inoltre in continuo pericolo di ricadere in ogni occasione che ci si presenti. Dalle quali cose ne segue che senza i detti atti contrari non possiamo mai acquistare la vera abitudine alle virtù.
Si avverta per giunta che questi atti devono essere tanto frequenti e in tale numero da potere del tutto distruggere l'abitudine viziosa, la quale, siccome per molti atti viziosi ha preso possesso nel nostro cuore, così con molti atti contrari la si deve svellere da quello per introdurvi l'abitudine virtuosa. Anzi dico di più: per fare l'abitudine virtuosa si richiedono atti buoni più degli atti cattivi necessari per fare l'abitudine viziosa; infatti quelli non sono aiutati, come invece sono aiutati questi, dalla natura, corrotta dal peccato.
Oltre a quello che fin qui si è detto, aggiungo che se la virtù che allora eserciti così richiede, devi anche fare atti esteriori conformi agli interiori, come (per stare nel detto esempio) usare parole di mansuetudine e di amore e servendo, se puoi, chi ti è stato noioso e contrario in qualunque modo. E quantunque questi atti tanto interiori quanto esteriori fossero o ti paressero accompagnati da tanta debolezza di spirito da sembrarti di farli contro ogni tua voglia, non per questo li devi in alcun modo tralasciare: per quanto deboli essi siano, ti tengono ferma e salda nella battaglia e ti agevolano la strada alla vittoria.
Sta' ben attenta e raccolta in te stessa per combattere non solo contro le voglie grandi ed efficaci, ma ancora contro le piccole e deboli di ciascuna passione, perché queste aprono la strada alle grandi, onde poi si generano in noi le abitudini viziose. E dalla poca cura che alcuni hanno avuto di sradicare dai loro cuori queste vogliette, dopo aver superato le maggiori della medesima passione, è avvenuto loro che quando meno vi pensavano sono stati assaliti e vinti dagli stessi nemici più gagliardamente e rovinosamente di prima. Ti ricordo inoltre di attendere a mortificare e rompere alle volte le tue voglie anche di cose lecite non necessarie, perché da questo seguiranno per te molti beni e ti renderai sempre più disposta e pronta a vincerti nelle altre; ti farai forte ed esperta nella battaglia delle tentazioni, fuggirai varie insidie del demonio e farai cosa graditissima al Signore.
Figliuola, ti parlo chiaramente: se nel modo che ti ho detto andrai continuando in questi leali e santi esercizi per riformare e vincere te stessa, ti assicuro che in poco tempo avanzerai molto e diventerai spirituale davvero e non solamente di nome. Ma in altra maniera e con altri esercizi, benché fossero, come tu credi, eccellenti e tanto dilettevoli al tuo gusto da sembrarti di stare in essi tutta unita e in dolci colloqui con il Signore, non persuaderti di acquistare mai virtù e spirito vero. Il quale (come ti ho detto nel primo capitolo) non consiste né nasce dagli esercizi piacevoli e conformi alla nostra natura, ma da quelli che la mettono in croce con tutti i suoi atti: onde, rinnovato l'uomo per mezzo delle abitudini alle virtù evangeliche, lo congiungono al suo Crocifisso e Creatore.
Non v'è chi dubiti che siccome le abitudini viziose vengono a farsi con molti e frequenti atti della volontà superiore mentre cede agli appetiti del senso, così viceversa le abitudini alle virtù evangeliche si acquistano facendo spesso e spessissime volte atti conformi alla volontà divina, da cui siamo chiamati ora a questa, ora a quell'altra virtù. E siccome la nostra volontà non può mai essere viziosa e terrena per quanto sia battagliata dalla parte inferiore e dal vizio finché a quella non cede e s'inchina, così non sarà mai virtuosa e congiunta con Dio, benché molto vivamente sia chiamata e combattuta dalle ispirazioni e dalla grazia divina, finché quando ce n'è bisogno non si conforma ad essa con gli atti interni e con quelli esterni.

CAPITOLO XIV
Quello che si deve fare quando la volontà superiore pare vinta e soffocata in tutto da quella inferiore e dai nemici

Se talora ti sembrasse che la volontà superiore non può nulla contro quella inferiore e contro i suoi nemici per il fatto che non senti in te un volere efficace contro di loro, sta' pur salda e non lasciare la battaglia: infatti devi considerarti sempre vittoriosa, finché non ti accorgi apertamente di aver ceduto. Siccome la nostra volontà superiore non ha bisogno delle voglie inferiori per produrre i suoi atti, così, se essa stessa non vuole, non può essere mai costretta a darsi loro per vinta, benché la contrastino molto aspramente. Perciò Dio ha dotato la nostra volontà di libertà e di forza tale che se tutti i sensi con tutti i demoni e il mondo insieme si armassero e congiurassero contro di essa, combattendola e premendola con tutto il loro sforzo, nondimeno essa può, a dispetto loro, liberissimamente volere o non volere tutto ciò che vuole o non vuole, e quante volte e per quanto tempo e in quel modo e per quel fine che più le piace.
E se questi nemici a volte ti assalissero e ti stringessero con tanta violenza che la tua volontà quasi soffocata non avesse per così dire fiato per produrre nessun atto di voghe contrarie, non ti perdere d'animo né gettare le armi a terra, ma serviti in questo caso della lingua e difenditi dicendo: “Non cedo a te, non ti voglio”; proprio come colui che, avendo il nemico addosso che lo tiene oppresso, non potendo con la punta lo percuote con il pomo della spada. E siccome questi tenta di fare un salto indietro per poterlo ferire di punta, così tu ritirati nella conoscenza di te stessa, che niente sei e niente puoi; e con la fiducia in Dio, che tutto può, dà un colpo alla passione nemica dicendo: “Aiutami, Signore; aiutami, Dio mio; aiutami Gesù, Maria, perché non ceda ad essa”.
Potrai ancora, quando il nemico ti dà tempo, aiutare la debolezza della volontà ricorrendo all'intelletto e considerando diversi punti: per tale considerazione la volontà viene poi a prendere fiato e forza contro i nemici. Per esempio: in qualche persecuzione o in qualche altro travaglio tu sei talmente assalita dall'impazienza, che la tua volontà quasi non può oppure non vuole sopportarli; la conforterai dunque discorrendo con l'intelletto intorno ai seguenti oppure intorno ad altri punti.
Primo: considera se tu meriti quel male che patisci, perché gliene hai dato l'occasione; e meritandolo, ogni dovere di giustizia vuole che tu sopporti pazientemente quella ferita che ti sei data con le tue mani.
Secondo: e non avendone tu colpa alcuna, rivolgi il pensiero agli altri tuoi errori di cui Dio non ti ha ancora dato il castigo e che tu non hai puniti come si deve. E vedendo che la misericordia di Dio ti cambia la pena di essi, che sarebbe eterna oppure temporale ma del purgatorio, con una piccola pena presente, devi riceverla non solamente volentieri ma con rendimento di grazie.
Terzo: e quando a te paresse d'aver fatto molta penitenza e d'aver poco offeso la divina Maestà (cose, però, di cui non devi mai persuaderti), devi pensare che nel regno dei cieli non si entra che per la porta stretta delle tribolazioni (cfr. Mt 7,13-14).
Quarto: quantunque tu vi potessi entrare per altra via, per legge d'amore non dovresti nemmeno pensarlo, essendovi il Figluiolo di Dio entrato con tutti gli amici e con tutte le sue membra per mezzo delle spine e delle croci.
Quinto: ma quello a cui tu devi mirare principalmente in questa e in ogni altra occasione è la volontà del tuo Dio il quale, per l'amore che ti porta, si compiacerà indicibilmente di ogni atto di virtù e di mortificazione che ti vedrà fare da sua fedele e generosa guerriera, per corrispondere a lui con amore. E tieni per certo che quanto più in sé sarà irrazionale il travaglio e più indegno per la sua provenienza e perciò a te più molesto e grave da tollerare, tanto al Signore darai più gusto approvando e amando, anche nelle cose in se stesse disordinate e per te più amare, la sua divina volontà e disposizione in cui ogni avvenimento, sia pure sregolato, ha la sua regola e il suo ordine perfettissimo.

CAPITOLO XV
Alcuni avvisi intorno al modo di combattere e specialmente contro chi e con quale virtù si deve fare

Hai già visto, figliuola, il modo con cui devi combattere per vincere te stessa e ornarti delle virtù. Inoltre sappi ora che per riportare vittoria sui tuoi nemici con maggior rapidità e facilità ti conviene combattere, anzi è necessario che tu combatta ogni giorno particolarmente contro l'amor proprio, abituandoti a ricevere come cari amici i disprezzi e le molestie che il mondo potesse darti. E dal non avvertire questa battaglia e dal farne poco conto è avvenuto e avviene, come ho accennato sopra, che le vittorie sono difficoltose, rare, imperfette e instabili.
Ti avviso per giunta che il tuo deve essere un combattere con fortezza d'animo, che facilmente acquisterai se la domanderai a Dio e se, considerando la rabbia, l'odio perenne e il grande numero delle squadre e degli eserciti nemici, considererai viceversa che infinitamente maggiori sono la bontà di Dio e l'amore con cui ti ama e che molti più sono gli angeli del cielo e le orazioni dei santi che combattono a nostro favore. E da questa considerazione è proceduto che tante e tante fragili donne hanno superato e vinto tutta la potenza e la sapienza del mondo, tutti gli assalti della carne e tutta la rabbia dell'inferno.
Perciò non devi mai spaventarti, benché a volte ti paia che la battaglia dei nemici infierisca di più e possa durare per tutta la tua vita e quasi ti minacci cadute certe da diverse parti: infatti devi sapere, oltre a quanto ho detto, che ogni forza e conoscenza dei nostri nemici sono nelle mani del nostro divin Capitano, in onore del quale si combatte. Stimandolo indicibilmente e chiamandoci egli stesso rigorosamente alla battaglia, non solo non permetterà mai che ti sia fatta violenza, ma, combattendo egli per te, ti darà la vittoria su di loro quando a lui piacerà e con maggior tuo vantaggio, anche se egli tardasse fino all'ultimo giorno della tua vita.
Questo solamente tocca a te: che tu combatta generosamente e che, nonostante tu sia più volte ferita, non lasci mai le armi né ti dia alla fuga. Infine, perché tu combatta valorosamente, devi sapere che questa battaglia non si può evitare e chi non vi combatte necessariamente vi resta coinvolto e muore. Oltre a ciò abbiamo a che fare con nemici ripieni di tali qualità e di odio, che non se ne può in nessun modo sperare né pace né tregua.

CAPITOLO XVI
In qual modo la mattina di buon'ora debba scendere in campo il soldato di Cristo

Appena sveglia, la prima cosa che dovranno osservare i tuoi occhi interiori è il vederti dentro uno steccato chiuso con questa legge: chi non vi combatte, vi resta morto per sempre.
In questo steccato immaginerai di vedere innanzi a te da una parte quel nemico e quella tua cattiva inclinazione, già individuati per espugnarli e che invece sono armati per ferirti e darti la morte; e dal lato destro il tuo vittorioso Capitano Cristo Gesù con la sua santissima madre Maria Vergine insieme al suo carissimo sposo Giuseppe, con molte squadre di angeli e santi e particolarmente con san Michele arcangelo; dal lato sinistro, poi, crederai di vedere il demonio infernale con i suoi per eccitare la suddetta tua passione, istigandoti a cedere ad essa.
In tale steccato ti sembrerà di sentire una voce forse del tuo angelo custode, che cosi ti dice: “Tu oggi devi combattere contro questo e contro altri tuoi nemici. Non s'impaurisca il tuo cuore né si perda d'animo, non ceda ad essi per timore o per altro rispetto a cosa alcuna, perché nostro Signore e tuo Capitano è qui con te con tutte queste gloriose squadre: egli combatterà contro tutti i tuoi nemici, non permettendo che prevalgano su di te in forze e capacità (cfr. Dt 20,3-4). Sta' salda, fatti violenza e sopporta la pena che talora sentirai nel farti violenza. Grida spesso dall'intimo del cuore e chiama il tuo Signore, Maria Vergine e tutti i santi, perché senza dubbio ne riporterai vittoria. Se tu sei fiacca, impedita dalle tue cattive abitudini, e se i tuoi nemici sono molti e forti, moltissimi sono gli aiuti di chi ti ha creata e redenta; oltremodo e senza paragone alcuno più forte è il tuo Dio e ha più voglia lui di salvarti che non il nemico di perderti. Combatti pure e non ti rincresca talora la sofferenza, perché dalla fatica, dalla violenza contro le tue cattive inclinazioni e dalla pena che si sente per le cattive abitudini nascono la vittoria e il grande tesoro con cui si compra il regno dei cieli e l'anima si unisce per sempre con Dio”.
Nel nome del Signore comincerai a combattere con le armi della diffidenza di te stessa e della confidenza in Dio, con l'orazione e con l'esercizio chiamando a battaglia quel nemico e quella tua inclinazione che, secondo l'ordine suddetto, ti sei risoluta di vincere ora con la resistenza, ora con l'odio e ora con gli atti della virtù contraria ferendoli più e più volte a morte per far piacere al tuo Signore, che con tutta la chiesa trionfante sta a vedere il tuo combattimento. Di nuovo ti dico che non ti deve rincrescere di combattere, se consideri l'obbligo che tutti abbiamo di servire e di piacere a Dio e la necessità di combattere, non potendo fuggire da questa battaglia senza ferite e senza morirne. Ti dico di più: quando tu come ribelle volessi fuggire da Dio e darti al mondo e alle delizie della carne, a tuo dispetto ti è necessario combattere con tante e tante contrarietà, che spesse volte suderai in volto e il cuore sarà penetrato da angosce mortali.
A questo punto considera che sorta di pazzia sarebbe il sostenere quella fatica e quella pena che comportano maggior fatica e pena insieme alla morte senza fine, se tu fuggissi quella che, finendo invece presto, ci unisce alla vita eterna e infinitamente beata dove godremo per sempre il nostro Dio.

CAPITOLO XVII
L'ordine da osservare nel combattere contro le nostre passioni viziose

E molto importante sapere l'ordine da osservare per combattere come si deve e non a caso e con superficialità, come fanno molti non senza loro danno. L'ordine con cui si deve combattere contro i nemici e le tue cattive inclinazioni è che tu, entrando nel tuo cuore i veda con diligente esame da qual sorta di pensieri e di affetti esso è circondato e da quale passione è più posseduto e tiranneggiato; e contro quella principalmente tu prenda le armi e ingaggi la battaglia.
E se avviene che tu sia assalita da altri nemici, devi sempre combattere contro quello che attualmente e più da vicino ti fa guerra, ritornando però poi all'impresa principale.

CAPITOLO XVIII
Il modo di resistere agli impulsi improvvisi delle passioni

Non essendo ancora assuefatta a parare i colpi improvvisi delle ingiurie o di altra cosa contraria, per farvi l'abitudine impara a prevederli e a volerli poi più e più volte, aspettandoli con animo preparato. Il modo di prevederli è che, considerata la condizione delle tue passioni, consideri anche le persone con le quali tratterai e i luoghi che frequenterai: da questo facilmente potrai congetturare quello che ti potrebbe avvenire. E sopravvenendoti qualsiasi altra avversità non pensata, oltre l'aiuto a te recato dal tenere l'animo preparato alle altre che hai previsto, potrai maggiormente servirti di quest'altro modo.
Non appena tu cominci a sentire i primi colpi dell'ingiuria o altra cosa penosa, sta' desta, fatti forza ed eleva la mente a Dio, considerando la sua ineffabile bontà e l'amore verso di te con cui ti manda quell'avversità, affinché, sopportandola per suo amore, ti purifichi di più, ti accosti e ti unisca a lui. E veduto quanto egli si compiace che tu la sopporti, rivolgiti a te stessa riprendendoti e dicendo fra te: “Ah! Perché non vuoi sostenere questa croce, che non questi o quegli ma il tuo Padre celeste ti manda?”. Poi rivolta alla croce, abbracciala con la maggior pazienza e allegrezza possibili, dicendo: “O croce, fabbricata dalla provvidenza divina prima che io fossi! O croce, addolcita dal dolce amore del mio Crocifisso! Inchiodarmi ormai in te perché possa darmi a chi, morendo in te, mi ha redenta”.
E se nel principio, prevalendo in te la passione non potessi elevarti in Dio ma restassi ferita, cerca con tutto ciò di farlo quanto prima come se ferita non fossi. Ma per efficace rimedio contro questi impulsi improvvisi, toglierai ben presto la causa da cui procedono. Ad esempio: se per l'affetto che hai a qualche cosa, vedi che quando in essa vieni molestata sei solita cadere nell'improvviso turbamento dell'animo, il modo di provvedere a ciò per tempo è che tu ti abitui a toglierne l'affetto. Se invece H turbamento procede non dalla cosa ma dalla persona della quale, perché non ti sta a cuore, ogni piccola azione ti infastidisce e ti turba, H rimedio è che tu ti sforzi d'inclinare la volontà ad amarla e ad averla cara: infatti oltre a essere creatura, come te formata dalla mano sovrana e come te redenta dallo stesso sangue divino, se la sopporterai, quella persona ti porge anche l'occasione di renderti simile al tuo Signore amoroso e benigno con tutti.

CAPITOLO XIX
Il modo di combattere contro il vizio della carne

Contro questo vizio devi combattere in un modo particolare e diverso dagli altri. Perciò, perché tu sappia combattere ordinatamente, devi osservare tre tempi: prima di essere tentati, quando siamo tentati e dopo che la tentazione è passata.
Prima della tentazione la battaglia sarà contro le cause che sogliono cagionare questa tentazione. Anzitutto devi combattere non affrontando il vizio, ma fuggendo con tutte le tue forze qualsiasi occasione e persona da cui te ne possa venire un minimo pericolo. E bisognando talora trattarci fallo molto presto con un volto modesto e grave, e le parole devono avere sapore di asprezza piuttosto che di amorevolezza e di eccessiva affabilità.
Non ti fidare del fatto che tu non senta né abbia in tanti e tanti anni di esperienza sentito stimoli carnali, perché questo maledetto vizio quello che non ha fatto in molti anni lo fa in un'ora e spesso ordisce le sue trame occultamente; e tanto più nuoce e ferisce incurabilmente, quanto più si mostra innocuo e meno dà sospetto di sé.
E molte volte vi è più da temere (come spesso l'esperienza ha mostrato e mostra tuttora) dove l'abitudine è protratta sotto pretesto di cose lecite, come di parentela o di debito ufficio oppure di virtù che sia nella persona amata: infatti con il troppo e imprudente praticare si va mescolando il velenoso diletto del senso che, stillando inavvertitamente a poco a poco e penetrando fino nell'essenza dell'anima, va offuscando sempre più la ragione in modo che si cominciano a stimare come niente le cose pericolose, gli sguardi amorevoli, le parole dolci dell'una e dell'altra parte e i gusti della conversazione; e così, passandosi dall'una all'altra parte, si viene poi a cadere in rovina o in qualche tentazione dolorosa e difficile da superare.
Di nuovo ti dico di fuggire, perché tu sei paglia; e non ti fidare del fatto che sei bagnata e ben piena d'acqua di buona e forte volontà, risoluta e pronta piuttosto alla morte che all'offesa divina: con la pratica frequente a poco a poco il fuoco con il suo calore, asciugando l'acqua della buona volontà, quando neppure vi si pensa le si attaccherà in modo che non porterà rispetto né a parentela né ad amici; non temerà Dio, non stimerà l'onore, né la vita, né tutte le pene dell'inferno. Perciò fuggi, fuggi se davvero non vuoi essere colta all'improvviso, presa e uccisa.
Secondo. Fuggi l'ozio e sta' vigilante e desta con i pensieri e con le opere convenienti al tuo stato.
Terzo. Non fare mai resistenza, ma obbedisci facilmente ai tuoi superiori, eseguendo con prontezza le cose imposte, e più volentieri quelle che ti umiliano e sono più contro la tua volontà e la tua naturale inclinazione.
Quarto. Non fare mai giudizio temerario verso il prossimo e principalmente a proposito di questo vizio; e se manifestamente fosse caduto, abbine compassione e non ti sdegnare contro di esso; non schernirlo, ma ricavane frutto di umiltà e di conoscenza di te stessa, sapendo di essere polvere e niente; accostati a Dio con l'orazione e fuggi più che mai le occasioni, dove sia anche solo ombra di pericolo. Che se tu sarai facile a giudicare gli altri e a disprezzarli, Dio tuo malgrado ti correggerà permettendo che tu cada nello stesso difetto, affinché così ti avveda della tua superbia e, umiliata, ponga rimedio ad ambedue questi vizi. E non cadendo né mutando pensiero, sappi pure che vi è grandemente da dubitare del tuo stato.
Quinto e ultimo. Avverti bene che, ritrovandoti con qualche dono e gusto di delizie spirituali, tu non prenda un certo vano compiacimento di te stessa persuadendoti di essere qualche cosa e che i tuoi nemici non ti faranno più guerra, poiché ti pare di guardarli con nausea, orrore e odio; e se in ciò sarai incauta, cadrai facilmente.
Nel tempo della tentazione, considera se procede da causa intrinseca o estrinseca. La causa estrinseca intendo io che sia la curiosità degli occhi, delle orecchie, l'eccessiva pulizia delle vesti, le familiarità e i colloqui che incitano a questo vizio. In questi casi il rimedio è l'onestà, la modestia, non volendo né vedere né sentire cose che incitano a questo vizio, e la fuga come sopra ho detto. La causa intrinseca procede o dalla vitalità del corpo o dai pensieri della mente, che ci vengano dalle nostre cattive abitudini oppure per suggestione del demonio. La sensualità del corpo si deve mortificare con digiuni, discipline, cilizi, veglie e altre simili asprezze secondo come insegnano la discrezione e l'obbedienza. Quanto ai pensieri, da qualsiasi parte vengano, i rimedi sono questi: l'essere occupati in diversi esercizi convenienti al proprio stato, nell'orazione e nella meditazione.
L'orazione sia di questo tipo: quando tu cominci anche un poco ad accorgerti non solo di tali pensieri ma dei loro primi accenni, ritirati subito con la mente nel Crocifisso dicendo: “Gesù mio, Gesù mio dolce, aiutami presto, perché io non sia presa da questo nemico”. E abbracciando alle volte la croce da cui pende il tuo Signore, bacia più volte le piaghe dei suoi sacri piedi dicendo affettuosamente: “Piaghe belle, piaghe caste, piaghe sante, ferite ormai questo misero e impuro cuore, liberandomi dal pericolo di offendervi”.
Nel tempo in cui abbondano le tentazioni dei piaceri carnali, non vorrei che la meditazione fosse intorno a certi punti proposti da molti libri per rimedio a questa tentazione, come il considerare la viltà di questo vizio, l'insaziabilità, le molestie, le amarezze che ne seguono, i pericoli e la perdita dei beni, della vita, dell'onore e cose simili. Perché questo non è sempre sicuro mezzo per vincere la tentazione, anzi può apportare danno: infatti se l'intelletto per una via scaccia questi pensieri, per l'altra ci porge occasione e pericolo di dilettarcene e di acconsentire al piacere; per cui il rimedio vero è il fuggire in tutto non solo da essi, ma anche da ogni cosa che ce li rappresenti benché sia loro contraria. Perciò la tua meditazione, orientata a questo fine, verta sulla vita e sulla passione del Signore crocifisso. E se meditando ti si facessero innanzi contro tua voglia gli stessi pensieri e più del solito ti molestassero, come facilmente ti avverrà, non per questo ti sgomenterai né lascerai la meditazione né ti rivolgerai ad essi per far loro resistenza; ma seguiterai la tua meditazione quanto più intensamente ti sia possibile, non curandoti di tali pensieri, come se non fossero tuoi; infatti non vi è modo migliore di questo per opporsi loro, benché ti facessero continua guerra.
Concluderai poi la meditazione con questa o con una domanda simile: “Liberatemi, Creatore e Redentore mio, dai miei nemici in onore della vostra passione e della vostra bontà ineffabile”, non rivolgendo la mente al vizio, perché il solo ricordo di esso non è senza pericolo. E con simile tentazione non stare mai a disputare se tu abbia acconsentito o no perché questo, sotto specie di bene, è inganno del demonio per inquietarti e renderti sfiduciata e pusillanime; oppure perché, tenendoti occupata in tali discorsi, spera di farti cadere in qualche piacere. Perciò in questa tentazione, quando il consenso non è chiaro, ti basti confessare il tutto con brevità al tuo padre spirituale, restandone poi tranquilla con il suo parere senza pensarci più. E fa' in modo di scoprire a lui fedelmente ogni tuo pensiero, e non te ne trattenga mai alcun rispetto o vergogna. Che se con tutti i nostri nemici abbiamo bisogno della virtù dell'umiltà per vincerli, in questo più che in altro dobbiamo umiliarci, essendo questo vizio quasi sempre castigo di superbia.
Passato il tempo della tentazione, quello che devi fare è che, pur sembrandoti di essere libera e del tutto sicura, tu stia con la mente lontana affatto da quegli oggetti che ti cagionavano la tentazione, benché per fine di virtù o di altro bene ti sentissi muovere a fare altrimenti: infatti questa è frode della natura viziosa e tranello del nostro sagace avversario, che si trasforma in angelo di luce per indurci nelle tenebre.

CAPITOLO XX
Il modo di combattere contro la negligenza

Perché tu non cada nella misera schiavitù della negligenza, cosa che non solo impedirebbe il cammino della perfezione ma ti darebbe in mano ai nemici, devi fuggire ogni curiosità e attaccamento terreno e qualunque occupazione non conveniente al tuo stato. Poi ti devi sforzare per corrispondere presto a ogni buona ispirazione e a qualunque ordine dei tuoi superiori, facendo ogni cosa quando e come a loro piacerà.
Non ritardare neppure per un brevissimo momento, perché quel solo primo indugietto porta appresso il secondo e questo il terzo e gli altri ai quali il senso si piega e cede più facilmente che ai primi, essendo già allettato e preso dal piacere che ne ha gustato: per cui o si incomincia l'azione troppo tardi o come noiosa alle volte la si lascia del tutto. E così a poco a poco si va facendo l'abitudine alla negligenza ed essa poi cresce talmente che, nel momento stesso in cui da quella siamo tenuti legati, ci proponiamo di voler essere un'altra volta molto solleciti e diligenti poiché ci accorgiamo, con rossore di noi stessi, d'essere stati fino a tal punto negligentissimi.
Questa negligenza scorre dappertutto e con il suo veleno non solo infetta la volontà facendole aborrire l'opera, ma accieca anche l'intelletto perché non veda quanto vani e mal fondati siano i proponimenti di eseguire per l'avvenire presto e diligentemente quello che, dovendosi effettuare allora, volontariamente si lascia del tutto oppure si rimanda ad altro tempo. Né basta eseguire presto l'opera dovuta, ma bisogna farla nel tempo proprio richiesto dalla qualità e dall'essere di quell'opera e con tutta quella diligenza ad essa conveniente, perché abbia ogni possibile perfezione. Infatti non è diligenza, ma finissima negligenza fare l'azione prima del tempo e sbrigarsela presto e senza farla bene, perché poi quietamente ci diamo al riposo accidioso, al quale era fisso il nostro pensiero mentre con rapidità si compiva l'azione. Tutto questo gran male avviene perché non si considera il valore della buona opera fatta a suo tempo e con l'animo risoluto ad andare incontro alla fatica e alla difficoltà, che il vizio della negligenza porta ai principianti.
Tu dunque devi spesso considerare che una sola elevazione di mente a Dio e una sola genuflessione fatta in suo onore vale più di tutti i tesori del mondo; e che ogniqualvolta facciamo violenza a noi stessi e alle passioni viziose, gli angeli portano all'anima nostra dal regno del cielo una corona di gloriosa vittoria. Che al contrario a poco a poco Dio va togliendo ai negligenti le grazie loro concesse, e ai diligenti le aumenta facendoli poi entrare nel suo proprio gaudio. Se tu nei primi inizi non sei tanto forte da andare generosamente incontro alla fatica e alla difficoltà, le devi nascondere in modo che sembrino più piccole di quanto dai negligenti siano giudicate.
Ammettiamo pure che il tuo esercizio richieda molti e molti atti e una fatica diuturna per acquistare una virtù, e che i nemici da espugnare ti paiano molti e forti. Tuttavia comincia tu a produrre atti, quasi che ne abbia pochi da fare e che per pochi giorni debba faticare; e combatti contro un nemico come se non ve ne fossero altri da combattere, però con una confidenza grande che tu con l'aiuto di Dio sei più forte di loro. Così facendo, la negligenza comincerà a debilitarsi e a disporsi poi in modo che vi entri di mano in mano la virtù contraria.
Lo stesso dico dell'orazione. Talvolta il tuo esercizio richiede un'ora di orazione e questo sembra duro alla tua negligenza: immergiti in essa quasi volessi pregare per lo spazio di un ottavo d'ora, perché facilmente passerai all'altro e da questo a quello che rimane. E se in ciò talora nel secondo o negli altri ottavi sentissi ripugnanza e difficoltà troppo violente, tralascia l'esercizio per non infastidirti; riprendi però di li a poco di nuovo l'esercizio tralasciato.
Tale metodo devi osservare anche nelle opere esteriori quando ti accade di dover fare più cose per le quali, parendo esse alla tua negligenza molte e difficoltose, tu vieni a disturbarti tutta. Con tutto ciò comincia coraggiosamente e tranquillamente da una, come se non avessi altro da fare; così facendo diligentemente, riuscirai a compierle tutte con molta minor fatica di quello che ti sembrava nella tua negligenza. Se tu non farai nel modo suddetto e non andrai incontro alla fatica e alla difficoltà che ti si mostrano, il vizio della negligenza prevarrà talmente su di te che la fatica e la difficoltà, che comporta inizialmente l'esercizio delle virtù, ti terranno ansiosa e insofferente non solo quando saranno presenti ma anche quando saranno assenti: infatti temerai sempre di essere tormentata e assalita dai nemici e di vederti qualcuno alle spalle che ti imponga qualche cosa; per cui nella stessa tranquillità vivresti inquieta.
Sappi, figliuola, che questo vizio della negligenza con il suo nascosto veleno a poco a poco non solo fa marcire le prime e piccole radici che dovevano produrre le abitudini virtuose, ma anche quelle delle abitudini già acquisite. Come fa il tarlo dentro il legno, così esso va rodendo e consumando insensibilmente l'essenza della vita spirituale; e a ognuno, ma particolarmente agli spirituali, il demonio tende insidie e tranelli con questo mezzo.
Vigila, dunque, pregando e operando bene, e non aspettare a tessere il panno per la veste nuziale allorquando dovrai esserne ornata per incontrare lo sposo (cfr. Mt 2 5,6. 10). E ricordati ogni giorno che chi ti dà la mattina non ti promette la sera, e, se ti è data la sera, non ti viene promessa la mattina. Perciò spendi tutti i momenti della giornata secondo il volere di Dio proprio come se non ti fosse concesso altro tempo, tanto più che di ogni momento dovrai rendere minutissimo conto.
Concludo avvertendoti di reputare come perduta quella giornata in cui, pur avendo fatto molte faccende, non avrai ottenuto parecchie vittorie contro le cattive inclinazioni e contro la tua volontà, né avrai ringraziato il tuo Signore dei suoi benefici e particolarmente della sua penosa passione sofferta per te, nonché del paterno dolce castigo quando ti avrà fatta degna del tesoro inestimabile di alcune tribolazioni.

CAPITOLO XXI
Il modo di regolare i sensi esteriori e come da quelli si possa passare alla contemplazione della divinità

Grande avvertenza e continuo esercizio si richiedono nel reggere e nel regolare bene i nostri sensi esteriori, perché l'appetito, che è come capitano della nostra natura corrotta, è eccessivamente incline a cercare i piaceri e le consolazioni. Non potendo per sé solo farne acquisto, si serve dei sensi quasi fossero soldati suoi e strumenti naturali per prendere i loro oggetti di cui stampa nell'anima le idee, estraendole e tirandole a sé. Da questo scaturisce il piacere il quale, per l'affinità esistente tra l'anima e la carne, si diffonde per tutta quella parte dei sentimenti che sono capaci di tale diletto: onde tanto l'anima quanto il corpo subiscono un comune contagio, che corrompe il tutto.
Tu vedi il danno: attendi al rimedio. Sta' ben attenta a non lasciar andare liberamente i tuoi sensi dove vogliono e non servirti di loro, qualora ti muova a farlo il solo piacere e non qualche buon fine o utilità o necessità. Se non avvedendotene essi fossero andati troppo avanti, li devi riportare indietro o regolare in modo che, dove prima si facevano miseramente prigionieri di vane consolazioni, ottengano da ciascun oggetto nobile preda e la portino dentro l'anima onde essa, raccolta in se stessa, spieghi le ali delle potenze verso il cielo alla contemplazione di Dio. Il che potrai fare in questo modo.
Quando a uno qualsiasi dei tuoi sensi esteriori si rappresenta qualche oggetto, con il pensiero separa dalla cosa creata lo spirito che è in quella e pensa che essa da sé non ha niente di tutto ciò che soggiace ai tuoi sensi, ma che tutto è opera di Dio che con il suo spirito invisibilmente le dà quell'essere, quella bontà o quella bellezza e ogni altro bene che in essa di trova. E quivi rallegrati che il tuo solo Signore sia causa e principio di tante e così varie perfezioni di cose e che in se stesso le contenga tutte eminentemente, non essendo esse che un minimo grado delle sue perfezioni.
Quando ti accorgerai di essere occupata nel mirare cose che hanno un nobile essere, con il pensiero ridurrai al suo niente la creatura fissando l'occhio della mente nel sommo Creatore ivi presente che le ha dato quell'essere e, in lui solamente prendendo diletto, dirai: “O essenza divina sommamente desiderabile! Quanto godo che tu sola sia principio infinito di ogni essere creato!”. Similmente scorgendo alberi, erbe e cose simili, vedrai con l'intelletto che quella vita che hanno, non l'hanno da sé, ma dallo spirito che non vedi e che solo le vivifica; e potrai dire così: “Ecco qui la vera vita da cui, in cui e per cui vivono e crescono tutte le cose. O vivo gaudio di questo cuore!”. Così dalla vista degli animali bruti ti leverai con la mente a Dio che dà loro il senso e il moto, dicendo: “O primo motore che, muovendo il tutto, sei immobile in te stesso, quanto mi rallegro della tua stabilità e fermezza!”.
E sentendoti allettare dalla bellezza delle creature, separa quello che vedi dallo spirito che non vedi e considera che tutto ciò che di bello appare fuori è solo dello spirito invisibile, da cui è cagionata quella bellezza esterna, e di' tutta lieta: “Ecco i rivoli del fonte increato; ecco le piccole gocce del mare infinito di ogni bene. Oh! come gioisco nell'intimo del cuore pensando all'eterna immensa bellezza, che è origine e causa d'ogni bellezza creata!”. E scorgendo in altri bontà, sapienza, giustizia e altre virtù, dirai al tuo Dio dopo aver fatto la detta separazione: “O ricchissimo tesoro di virtù! Quanto mi compiaccio che unicamente da te e per te derivi ogni bene e che tutto, a confronto delle tue divine perfezioni, sia come niente! Ti ringrazio, Signore, di questo e d'ogni altro bene fatto al mio prossimo: ricordati, Signore, della mia povertà e del grande bisogno che ho della virtù della N. ” [N. sta per “nome”. Lo Scupoli invita a chiedere a Dio nella preghiera quella virtù giudicata volta per volta più urgente e necessaria al singolo lettore].
Accingendoti poi a fare qualche cosa, pensa che Dio è causa prima di quell'azione e tu non sei altro che vivo strumento di lui, al quale, innalzando il pensiero, dirai a questo modo: “Supremo Signore di tutto, quanta è la gioia che provo in me stessa di non poter fare nulla senza di te (cfr. Gv 15,5); anzi godo che tu sia il primo e principale artefice di tutte le cose!”. Gustando cibo o bevanda, considera che è Dio a dar loro quel sapore e, dilettandoti in lui solo, potrai dire: “Rallegrati, anima mia: come fuori del tuo Dio non v'è nessuna vera gioia, così in lui solo ti puoi unicamente dilettare in ogni cosa” (cfr. Fil 4,4).
Se ti compiacerai nell'odorare qualche cosa gradita al senso, non fermandoti in quel compiacimento, passa con il pensiero al Signore da cui ha la sua origine quell'odore, e sentendo di ciò interna consolazione dirai: “Fa', Signore, che come io gioisco che da te proceda ogni soavità, così l'anima mia, spogliata e nuda di ogni piacere terreno, ascenda in alto e renda gradito odore alle tue divine narici”.
Quando odi qualche armonia di suoni e canti, rivolta con la mente al tuo Dio dirai: “Quanto godo, Signore e Dio mio, delle tue infinite perfezioni che tutte insieme non solo in te stesso sprigionano sovraceleste armonia, ma fanno anche meraviglioso concerto unitamente negli angeli, nei cieli e in tutte le creature!”.

CAPITOLO XXII
Le cose medesime ci servono per regolare i nostri sensi, passando alla meditazione dei Verbo incarnato nei misteri della sua vita e della sua passione

Sopra ti ho mostrato come dalle cose sensibili noi possiamo elevare la mente alla contemplazione della divinità. Ora apprendi un modo di trarre spunto dalle stesse per meditare sul Verbo incarnato, considerando i sacratissimi misteri della sua vita e della sua passione.
Tutte le cose dell'universo possono servire a questo scopo, se consideri in esse, come sopra dicevo, il sommo Dio come sola prima causa che ha dato loro tutto quell'essere, quella bellezza e quella superiorità che hanno; e da questo passa poi a considerare quanto grande e immensa sia la sua bontà: pur essendo unico principio e Signore di tutto il creato, ha voluto discendere a tanta bassezza da farsi uomo, patire e morire per l'uomo, permettendo che gli stessi uomini si armassero contro di lui per crocifiggerlo.
Molte cose poi particolarmente ci portano davanti agli occhi della mente questi santi misteri, come armi, funi, flagelli, colonne, spine, canne, chiodi, martelli e altre che furono strumenti della sua passione.
Le abitazioni povere ci ricorderanno la stalla e il presepio del Signore. Quando piove ci verrà in mente quella sanguinosa divina pioggia che nell'orto, stillando dal suo sacratissimo corpo, irrigò la terra; le pietre che mireremo ci rappresenteranno quelle che si spezzarono nel momento della sua morte; la terra ci raffigurerà quel movimento che fece allora e il sole quelle tenebre che l'oscurarono (cfr. Mt 27,51; Mc 15,38; Lc 23,44); e vedendo le acque, ci ricorderemo di quella che uscì dal suo sacratissimo costato (cfr. Gv 19,34). Il che dico allo stesso modo di altre cose simili.
Gustando il vino o altra bevanda, ricordati dell'aceto e del fiele del tuo Signore (cfr. Gv 19,29). Se la soavità degli odori ti alletta, ricorri con la mente al fetore dei corpi morti da lui sentito sul monte Calvario; quando ti vesti, ricordati che il Verbo eterno si vestì di carne umana per vestire te della sua divinità; quando ti spogli, pensa al tuo Cristo denudato per essere flagellato e confitto in croce per te; udendo rumori e grida di gente, ricordati di quelle abominevoli voci: “Crucifige, crucifige; tolle, tolle” (cfr. Gv 19,6), che rimbombarono nelle sue divine orecchie. Ogni volta che batte l'orologio, ti sovvenga di quell'affannoso battito di cuore che al tuo Gesù piacque sentire, quando nell'orto cominciò a temere della sua vicina passione e morte; ovvero ti paia di sentire quelle dure percosse con le quali fu inchiodato sulla croce.
In qualunque occasione in cui ti si presentino mestizia e dolori tuoi o altrui, pensa che sono come niente rispetto alle indicibili angosce che trafissero e afflissero il corpo e l'anima del tuo Signore.

CAPITOLO XXIII
Altri modi per regolare i nostri sensi secondo le diverse occasioni che ci si presentano

Abbiamo visto come si debba innalzare l'intelletto dalle cose sensibili alla divinità e ai misteri del Verbo incarnato. Qui aggiungerò altri modi per ricavarne diverse meditazioni, perché, come sono differenti tra loro i gusti delle anime, così abbiano molti e diversi cibi. Inoltre ciò potrà servire non solo alle persone semplici, ma anche a quelle che sono d'ingegno elevato e più avanti nella via dello spirito, il quale in chicchessia non è sempre egualmente disposto e pronto alle più alte speculazioni.
Tu devi dubitare di confonderti in questa varietà di cose, se ti atterrai alla regola della discrezione e al consiglio altrui, il quale intendo tu debba seguire con umiltà e confidenza non solamente in questo, ma in ogni altro avvertimento che ti venga da me.
Nel mirare tante cose gradevoli alla vista e preziose sulla terra, considerale tutte vilissime e come sterco rispetto alle celesti ricchezze, alle quali aspira con ogni affetto disprezzando tutto il mondo. Rivolgendo lo sguardo verso il sole, pensa che più di quello è lucida e bella l'anima tua se sta in grazia del tuo Creatore; altrimenti pensala più oscura e abominevole delle tenebre infernali. Alzando gli occhi del corpo al cielo che ti copre, penetra con quelli dell'anima più sopra nel cielo empireo e li soffermati con il pensiero come nel luogo per te preparato per eterna felicissima dimora, se in terra vivrai innocentemente. Sentendo il canto degli uccelli o altri canti, eleva la mente a quelli del paradiso dove risuona un continuo alleluia e prega il Signore che ti faccia degna di lodarlo in perpetuo insieme con quegli spiriti celesti.
Quando ti accorgi di prendere diletto delle bellezze della creatura, guarda attentamente con l'intelletto che ivi nascosto giace il serpente infernale tutto intento e pronto a ucciderti o almeno a ferirti. Contro di lui così potrai dire: “Ah, maledetto serpente, come sei insidiosamente preparato per divorarmi!”. Poi rivolta a Dio, dirai: “Benedetto sii tu, Dio mio, che mi hai scoperto il nemico e mi hai liberato dalle sue rabbiose fauci”. E dall'attrattiva fuggi subito nelle piaghe del Crocifisso, occupando la mente in esse e considerando quanto soffrì il Signore nella sua sacratissima carne per liberarti dal peccato e renderti odiosi i piaceri della carne. Ti ricordo un altro modo per fuggire questa pericolosa attrattiva, ed è che tu ti addentri bene nel pensare quale sarà dopo la morte quell'oggetto che piace fino a tal punto.
Mentre cammini, ricordati che per ogni passo che muovi ti vai avvicinando alla morte. Così vedendo volare gli uccelli e scorrere le acque, pensa che con maggior velocità la tua vita se ne va volando verso il suo fine. Quando si levano venti impetuosi o quando folgora e tuona, ti sovvenga del tremendo giorno del giudizio; e posta in ginocchio, adora Dio pregandolo che ti conceda grazia e tempo di prepararti bene, per comparire allora davanti alla sua altissima Maestà.
Nella varietà dei casi che possono capitare a una persona, così ti eserciterai: ad esempio, quando sei oppressa da qualche dolore o malinconia, o patisci caldo, freddo o altro, solleva la mente a quell'eterna volontà alla quale per il tuo bene è piaciuto che in tal misura e tempo tu senta quell'incomodo. Perciò tu, lieta per l'amore che ti mostra il tuo Dio e per l'opportunità di servirlo in tutto quello che più gli piace, dirai nel tuo cuore: “Ecco in me il compimento del divino volere, che ab aeterno amorosamente ha disposto che io al presente sostenga questo travaglio. Ne sia lodato sempre il mio benignissimo Signore”. E quando nella tua mente si crea un pensiero di cosa buona, subito rivolgiti a Dio, riconoscilo come proveniente da lui e rendigliene grazie.
Quando leggi, ti sembri di vedere il Signore sotto quelle parole e ricevile come se venissero dalla sua bocca divina. Contemplando la santa croce, considera che essa è lo stendardo del tuo esercito: se da esso ti allontani, cadrai nelle mani dei crudeli nemici; se lo segui, giungerai in cielo carica di gloriosi bottini.
Nel vedere la cara immagine di Maria Vergine, rivolgi il cuore a lei che regna in paradiso; ringraziala per essere stata sempre pronta alla volontà del tuo Dio; per aver partorito, allattato e nutrito il Redentore del mondo, e perché nel nostro conflitto spirituale non ci priva mai del suo favore e del suo aiuto.
Le immagini dei santi ti rappresentino tanti campioni che, avendo compiuto valorosamente il loro assalto, ti hanno aperto la strada. Camminando per tale strada, anche tu insieme a loro sarai coronata di perpetua gloria. Quando vedrai le chiese, fra le altre devote considerazioni potrai pensare che l'anima tua è tempio di Dio e perciò, come sua stanza, la devi conservare pura e monda.
Sentendo in qualunque tempo i tre segni della salutazione angelica (cfr. Lc 1,28), potrai fare le seguenti brevi meditazioni conformi a quelle sacre parole che sogliono dirsi prima di ciascuna di queste orazioncelle celesti.
Al primo segno ringrazia Dio di quell'ambasciata che dal cielo mandò in terra e che fu il principio della nostra salvezza. Al secondo rallegrati con Maria Vergine per le sue grandezze, alle quali fu elevata per la sua singolare profondissima umiltà. Al terzo segno, insieme alla beatissima madre e all'angelo Gabriele, adora il divino Fanciullo appena concepito. E non ti dimenticare di inchinare così un poco il capo per riverenza in ciascun segno e alquanto di più nell'ultimo.
Queste meditazioni, divise secondo i tre segni, servono per tutti i tempi.
Le seguenti sono fatte per la sera, la mattina e il mezzogiorno e vertono sulla passione del Signore. Infatti noi abbiamo il dovere di ricordarci spesso dei dolori che a causa di quella sostenne nostra Signora; e se non lo facciamo, ci mostreremo ingrati.
La sera richiama alla tua memoria le angosce della Vergine pura per il sudore di sangue, per la cattura nell'orto e per i dolori occulti del suo benedetto Figliuolo in tutta quella notte. La mattina compassionala nelle sue afflizioni per la presentazione di Gesù a Pilato e a Erode, per la sentenza della sua morte e per aver dovuto portare la croce. A mezzogiorno penetra con il pensiero nella spada di dolore che trafisse il cuore della sconsolata Madre per la crocifissione e morte del Signore e per la crudelissima lanciata nel suo sacratissimo costato.
Queste meditazioni dei dolori della Vergine potrai farle dalla sera del giovedì fino al mezzogiorno del sabato e le altre negli altri giorni. Mi rimetto però alla tua particolare devozione e all'opportunità che le cose esteriori ci porgeranno. E per concluderti in breve il modo con cui devi regolare i sensi, ti dico: sii desta sicché in ogni cosa e in ogni avvenimento tu sia mossa e attirata non dall'amore o dalla ripugnanza per loro, ma dalla sola volontà di Dio; e abbracciando e aborrendo soltanto quelli che Dio vuole che tu abbracci e aborrisca.
Fa' attenzione che io non ti ho dato i suddetti modi di reggere i sensi perché tu ti occupi in questi, dovendo stare quasi sempre raccolta nella tua mente con il tuo Signore, il quale vuole che con frequenti atti attenda a vincere i tuoi nemici e le passioni viziose sia resistendo loro sia facendo gli atti delle virtù contrarie. Invece te li ho insegnati affinché sappia regolarti quando ce n'è bisogno. Infatti devi sapere che si fa poco frutto quando si intraprendono molti esercizi i quali, benché in se stessi siano buonissimi, ben spesso però sono confusione mentale, amor proprio, instabilità e tranelli del demonio.

CAPITOLO XXIV
Il modo di regolare la lingua

La lingua dell'uomo ha grande bisogno di essere ben regolata e tenuta a freno (cfr. Gc 1,26), perché ognuno è grandemente inclinato a lasciarla correre e discorrere di quelle cose che più dilettano i nostri sensi. Il molto parlare ha radice per lo più in una certa superbia con la quale, persuadendoci noi di sapere molto e compiacendoci nei nostri concetti ci sforziamo ripetutamente di imprimerli negli animi degli altri per atteggiarci a maestri su di loro quasi che abbiano bisogno d'imparare da noi.
Non si possono esprimere con poche parole i mali che nascono dalle molte parole. La loquacità è madre dell'accidia, argomento di ignoranza e di pazzia, porta della detrazione, ministra di bugie e raffreddamento del devoto fervore. Le molte parole danno forza alle passioni viziose e da questo, poi, la lingua è indotta a continuare tanto più facilmente nel parlare indiscreto. Non ti allargare in lunghi ragionamenti con chi ti ascolta mal volentieri, per non infastidirli; e fa' la stessa cosa con chi ti dà ascolto, per non eccedere i termini della modestia.
Fuggi il parlare con eloquenza e ad alta voce, perché l'una e l'altra cosa è assai odiosa ed è indizio di presunzione e di vanità. Di te, dei fatti tuoi e dei tuoi congiunti non parlare mai, se non per pura necessità e quanto più brevemente e ristrettamente potrai. Se ti pare che un altro parli di sé eccessivamente, sforzati di trarne buon concetto ma non imitarlo, sebbene le sue parole tendano alla propria umiliazione e all'accusa di se stesso. Del prossimo tuo e delle cose appartenenti a lui ragiona il meno possibile, fuorché per dirne bene dove lo richieda l'occasione. Parla volentieri di Dio, particolarmente del suo amore e della sua bontà; fallo, però, con timore di poter errare anche in questo e ti piaccia stare piuttosto attenta quando un altro ne ragiona, conservando le sue parole nell'intimo del tuo cuore. Delle altre solamente il suono della voce percuota le tue orecchie e la mente stia sollevata al Signore; se poi bisogna ascoltare colui che ragiona per intendere e rispondere, non lasciare per questo di dare qualche occhiata col pensiero al cielo dove abita il tuo Dio; però osserva la sua altezza e come egli sempre guarda la tua umiltà (cfr. Lc 1,48).
Le cose che ti cadono in cuore per dirle, siano da te considerate prima che passino alla lingua, perché di molte t'accorgerai che sarebbe bene che da te non fossero mandate fuori. Ma ti avverto inoltre; non poche ancora di quelle cose che allora penserai essere bene che tu dica, sarebbe molto meglio se le seppellissi con il silenzio. E questo lo conoscerai pensandovi, dopo che sarà passata l'opportunità di parlarne.
Il silenzio, figliuola mia, è una gran fortezza della battaglia spirituale e una certa speranza della vittoria. Il silenzio è amico di chi diffida di se stesso e confida in Dio; è custode della santa orazione e aiuto meraviglioso per l'esercizio delle virtù.
Per abituarti a tacere considera spesso i danni e i pericoli della loquacità e i grandi beni del silenzio; prendi amore per questa virtù e, per farti l'abitudine, taci per qualche tempo anche dove non sarebbe male parlare purché questo non sia a te o ad altri di pregiudizio. Perciò ti gioverà pure lo stare lontana dalle conversazioni, perché invece degli uomini avrai per compagnia gli angeli, i santi e lo stesso Dio. Finalmente ricordati del combattimento che hai per le mani, perché, vedendo quanto in questo hai da fare, ti verrà voglia di lasciare le eccessive parole.

CAPITOLO XXV
Per ben combattere contro i nemici, il soldato di Cristo deve fuggire con tutte le sue forze i turbamenti e le inquietudini del cuore

Siccome, avendo perduto la pace del cuore, dobbiamo fare tutto quello che è possibile per recuperarla, così devi sapere che non può succedere nessun avvenimento al mondo che ce la debba ragionevolmente togliere oppure turbare. Dobbiamo, sì rammaricarci dei nostri peccati, ma con un dolore pacifico nel modo in cui sopra in più di un luogo ho dimostrato; così, senza inquietudine d'animo, si compassioni con pio affetto di carità ogni altro peccatore e si piangano almeno interiormente le sue colpe.
Quanto agli altri avvenimenti gravi e faticosi come infermità, ferite, morti anche dei nostri più stretti parenti, pesti, guerre, incendi e simili mali, benché siano per lo più rifiutati dalle persone del mondo come molesti alla natura, pur tuttavia possiamo con la divina grazia non solo volerli, ma oltre a questo tenerli cari come giuste pene per gli scellerati e come occasioni di virtù per i buoni; per questi motivi se ne compiace anche il nostro Signore Dio e se noi asseconderemo la sua volontà, passeremo con l'animo quieto e tranquillo fra tutte le amarezze e le contrarietà di questa vita. E renditi pur certa che ogni nostra inquietudine dispiace ai suoi occhi divini, perché essa, qualunque ne sia l'origine, è sempre accompagnata da imperfezione e procede sempre da qualche cattiva radice d'amor proprio.
Perciò tieni sempre desta una guardia, la quale, appena scopre qualsiasi cosa che possa turbarti e inquietarti, ti avverta acciocché tu prenda le armi della difesa considerando che tutti quei mali e molti altri simili, benché appaiano così all'esterno, non sono però veri mali né possono toglierci i veri beni. Tieni presente che tutti li ordina o permette Dio per i suddetti retti fini o per altri a noi sconosciuti, ma senza dubbio giustissimi e santissimi. Così, rimanendo l'animo tranquillo e in pace in qualunque avvenimento benché dannoso, si può fare molto bene; altrimenti ogni nostro esercizio riesce poco o per niente fruttuoso.
C'è da dire inoltre che mentre il cuore è inquieto, è sempre esposto ai diversi colpi dei nemici; e per giunta non possiamo noi in tale stato scorgere bene il diritto sentiero e la via sicura della virtù.
Il nostro nemico, che aborrisce moltissimo questa pace come luogo dove abita lo spirito di Dio per operarvi cose grandi, spesse volte sotto amiche insegne tenta di levarcela servendosi di diversi desideri che hanno apparenza di bene, ma il loro inganno si può, tra gli altri segni, conoscere dal fatto che ci tolgono la quiete del cuore. Onde per riparare a tanto danno, quando la sentinella ti preavvisa d'alcun nuovo desiderio, non aprirgli la porta del cuore se prima non lo presenti a Dio libera da qualunque proprietà e volere e, confessando la tua cecità e ignoranza, non lo preghi insistentemente di farti vedere con la sua luce se viene da lui oppure dall'avversario. E ricorri ancora quando puoi al giudizio del tuo padre spirituale.
Anche se il desiderio fosse da Dio, prima di realizzarlo fa' in modo di mortificare al tua eccessiva vivacità, perché l'opera, preceduta da tale mortificazione, certamente gli sarà molto più gradita che se fosse fatta con l'avidità della natura; anzi alcune volte gli piacerà più la mortificazione che l'opera stessa. Così, scacciando da te i desideri non buoni e non effettuando quelli buoni se prima non avrai represso gli stimoli naturali, terrai in pace e al sicuro la rocca del tuo cuore. E per conservarlo in tutto pacifico occorre anche che tu lo difenda e lo custodisca da certi rimproveri e da rimorsi interiori contro te stessa: essi alcune volte sono dal demonio, sebbene, per il fatto che ti accusano di qualche mancanza, paiono essere da Dio. Dai loro frutti conoscerai da dove procedono.
Se ti abbassano, ti fanno diligente nell'operare bene e non ti tolgono la confidenza in Dio dal quale li devi ricevere con rendimento di grazie. Ma se ti confondono e ti fanno pusillanime, diffidente, pigra e lenta nel bene, tieni pure per cosa certa che vengono dall'avversario; tu, però, non dando loro ascolto, continua il tuo esercizio.
Siccome, oltre a quello che ti ho detto, più comunemente nasce nel nostro cuore l'inquietudine dovuta all'accadere di cose contrarie, per difenderti da questi colpi devi fare due cose.
L'una consiste nel considerare e nel vedere a chi sono contrari quegli avvenimenti: se allo spirito oppure all'amor proprio e alle proprie voglie. Se essi sono contrari alle proprie voglie e all'amore di te stessa, tuo capitale e principale nemico, non devi chiamarli contrari; anzi devi ritenerli per favori e soccorsi dell'altissimo Dio, per cui devono essere ricevuti con cuore allegro e con rendimenti di grazie. Ed essendo contrari allo spirito, non per questo si deve perdere la pace del cuore, come sarai edotta nel capitolo seguente.
L'altra cosa consiste nell'elevare la mente a Dio accettando tutto a occhi chiusi, senza voler sapere altro, dalla mano pietosa della divina provvidenza come cosa piena di diversi beni, che tu per il momento non conosci.

CAPITOLO XXVI
Quello che dobbiamo fare quando siamo feriti

Quando ti trovi ferita per esser caduta in qualche difetto per debolezza tua ovvero anche talora per volontà e malizia, non diventare pusillanime e non inquietarti per questo, ma rivolgendoti subito a Dio digli così: “Ecco, mio Signore, che io mi sono comportata da quella che sono: né da me ci si poteva aspettare altro che cadute”. E qui con un poco di sosta umiliati agli occhi tuoi, addolorati dell'offesa fatta al Signore e, senza confonderti, muoviti a sdegno contro le tue viziose passioni e principalmente contro quella che ti ha causato la caduta. Continua poi: “Né qui, Signore, mi sarei fermata, se tu per tua bontà non mi avessi trattenuta”. E qui rendigli grazie e amalo più che mai provando stupore di tanta clemenza poiché, da te offeso, ti porge la mano destra perché tu non cada di nuovo.
Infine dirai con grande confidenza nella sua infinita misericordia: “Fa' tu, Signore, da quello che sei; perdonami, non permettere che io viva mai separata e lontana da te né che più ti offenda”. Ciò fatto, non ti dare a pensare se Dio ti abbia o no perdonato: questo non è altro che superbia, inquietudine di mente, perdita di tempo e inganno del demonio sotto apparenza di diversi buoni pretesti. Perciò lasciandoti liberamente nelle mani pietose di Dio, continua il tuo esercizio come se non fossi caduta. E se molte volte al giorno tornassi a cadere e restassi ferita, fa' questo che ti ho detto con non minore fiducia la seconda, la terza e anche l'ultima volta più della prima; e disprezzando sempre più te stessa e odiando di più il peccato, sforzati di vivere più prudentemente.
Questo esercizio dispiace molto al demonio sia perché vede che è graditissimo a Dio sia perché ne viene a rimanere confuso, trovandosi superato da chi prima egli aveva vinto. E perciò con diversi fraudolenti modi si adopera perché noi lo tralasciamo, e molte volte l'ottiene per nostra trascuratezza e poca vigilanza su noi stessi. Per la qual cosa se tu in ciò troverai difficoltà, a maggior ragione ti devi fare violenza ripigliando questo esercizio più d'una volta anche in una sola caduta.
Se dopo il difetto ti sentissi inquieta, confusa e sfiduciata, la prima cosa che devi fare è recuperare nello stesso tempo la pace, la tranquillità del cuore e la confidenza; e fornita di queste armi, rivolgiti poi al Signore perché l'inquietudine che si prova per il peccato non ha per oggetto l'offesa di Dio, ma il proprio danno.
Il modo di recuperare questa pace è che tu per il momento dimentichi del tutto la caduta e ti metta a considerare l'ineffabile bontà di Dio; come egli oltre ogni dire è pronto e desidera perdonare qualunque peccato, benché grave, chiamando il peccatore in vari modi e per molte vie, perché ricorra a lui e si unisca a lui, per essere santificato in questa vita con la sua grazia e reso eternamente beato nell'altra con la gloria.
Siccome con queste o simili considerazioni avrai pacificato la mente, ti volgerai alla tua caduta facendo come di sopra ho detto. Poi nel tempo della confessione sacramentale, che ti esorto a fare frequentemente, riprendi tutte le tue cadute; e con nuovo dolore, con dispiacere dell'offesa di Dio e con il proponimento di non offenderlo più, scoprile sinceramente al tuo padre spirituale.

CAPITOLO XXVII
L'ordine seguito dal demonio nel combattere e nell'ingannare sia quelli che vogliono darsi alla virtù
sia quelli che già si trovano nella schiavitù del peccato

Devi sapere, figliuola, che il demonio non attende ad altro che alla nostra rovina e che non con tutti combatte allo stesso modo.
Per cominciare a descriverti alcuni dei suoi combattimenti, dei suoi metodi e dei suoi inganni, ti pongo innanzi diversi stati dell'uomo.
Alcuni si trovano nella schiavitù del peccato senza darsi nessun pensiero di liberarsene. Altri vogliono liberarsene, ma non cominciano l'impresa. Altri credono di camminare per la via della virtù, e invece se ne allontanano. Altri finalmente, dopo l'acquisto delle virtù, cadono con maggior rovina. E di tutti discorreremo distintamente.

CAPITOLO XXVIII
Il combattimento e gli inganni usati dal demonio con quelli che tiene nella schiavitù del peccato

Tenendo qualcuno nella schiavitù del peccato, il demonio non attende ad altro che ad accecarlo sempre più e a rimuoverlo da qualunque pensiero che possa indurlo alla cognizione della sua infelicissima vita. Né lo rimuove solamente dai pensieri e dalle ispirazioni che lo chiamano alla conversione con altri pensieri contrari, ma con pronte e sollecite occasioni lo fa cadere nello stesso peccato o in altri maggiori. Perciò diventando più folta e cieca la sua cecità, più viene a precipitarsi e ad abituarsi nel peccato; così da questa a maggior cecità e da questa a maggior colpa, quasi in un circolo vizioso scorre la sua misera vita fino alla morte, se Dio non vi provvede con la sua grazia.
Il rimedio a ciò, per quanto tocca a noi, è che colui il quale si ritrova in questo infelicissimo stato sia sollecito nel dare spazio al pensiero e alle ispirazioni che dalle tenebre lo chiamano alla luce, gridando con tutto il cuore al suo Creatore: “Signor mio, aiutami, aiutami presto e non mi lasciare più in queste tenebre di peccato”. Né lasci di replicare più volte e di gridare in questo o in un modo somigliante.
Se è possibile, corra subito subito da un padre spirituale chiedendo aiuto e consiglio per potersi liberare dal nemico. E non potendo andarvi subito, ricorra con ogni sollecitudine al Crocifisso, buttandosi innanzi ai suoi sacri piedi con la faccia a terra; come pure ricorra a Maria Vergine, chiedendo misericordia e aiuto. E sappi che in questa sollecitudine sta la vittoria, come nel seguente capitolo intenderai.

CAPITOLO XXIX
L'arte e gli inganni con cui il demonio tiene legati quelli che, conoscendo il loro male, vorrebbero liberarsene.
Perché i nostri propositi spesso non hanno il loro effetto

Quelli che già conoscono la vita corrotta che conducono e vorrebbero cambiarla, di solito vengono ingannati e vinti dal demonio con le seguenti armi: poi, poi; cras, cras come dice il corvo. Voglio prima risolvere questa faccenda e liberarmi di queste sciocchezze e poi dedicarmi con maggior calma alla vita spirituale.
Questo laccio ha preso e prende tuttora molti. La causa di ciò è la nostra negligenza e la nostra inettitudine, perché in un affare che riguarda la salvezza dell'anima e l'onore di Dio non si prende con prontezza quell'arma tanto possente: ora, ora! E perché poi? Oggi, oggi! E perché cras, dicendo a se stesso: “Ma quando mi si concedesse il poi e il cras, sarebbe via questa di salvezza e di vittoria il voler prima ricevere delle ferite e provocare nuovi disordini?”.
Sicché tu vedi, figliuola, che per fuggire sia da questo inganno sia da quello del capitolo precedente e per superare il nemico, il rimedio consiste nella pronta obbedienza ai pensieri e alle ispirazioni divine. Parlo di prontezza e non di propositi, perché questi spesso vengono meno e molti in essi sono rimasti ingannati per diverse ragioni.
La prima, accennata anche sopra, è che i nostri propositi non hanno per fondamento la diffidenza di noi stessi e la confidenza in Dio. Né questo ci lascia vedere la nostra grande superbia, da cui procedono questo inganno e questa cecità. La luce per conoscerli e l'aiuto per rimediarvi vengono dalla bontà di Dio, il quale permette che noi cadiamo e per mezzo della caduta ci chiama a passare dalla confidenza in noi stessi alla sola confidenza in lui, e dalla nostra superbia alla conoscenza di noi stessi. Pertanto, se vuoi che i tuoi propositi siano efficaci, c'è bisogno che siano forti; e allora saranno forti, quando nulla avranno di confidenza in noi stessi e tutti saranno umilmente fondati nella confidenza in Dio.
L'altra ragione è che quando noi ci accingiamo a formulare dei propositi, miriamo alla bellezza e al valore della virtù, la quale tira a sé la nostra volontà benché sia fiacca e debole; quindi parandosele poi innanzi la difficoltà che è indispensabile per l'acquisto della virtù, essa manca e si tira indietro essendo fiacca e inesperta. Però tu abituati a innamorarti molto più delle difficoltà che l'acquisto delle virtù comporta, anziché delle virtù stesse; e di queste difficoltà va sempre nutrendo la tua volontà ora con poco e ora con molto cibo, se vuoi veramente possedere le virtù. E sappi che tanto più presto e più profondamente vincerai te stessa e i nemici tuoi, quanto più generosamente abbraccerai le difficoltà e più ti saranno care.
La terza causa è che i nostri propositi a volte non tendono né alla virtù né alla volontà divina, ma al proprio interesse. Il che accade nei propositi che solitamente si fanno nel tempo delle delizie spirituali e delle tribolazioni che molto ci opprimono e per le quali non troviamo altro sollievo che proporre di volerci dare tutti a Dio e agli esercizi virtuosi.
Tu, per non cadere in questo, nel tempo delle delizie spirituali sii molto cauta e umile nei propositi, particolarmente nelle promesse e nei voti; e quando ti trovi tribolata, i tuoi propositi siano orientati a sopportare pazientemente la croce secondo come Dio vuole e ad esaltarla rifiutando ogni sollievo terreno e talora anche quello del cielo. Una sia la domanda e uno il tuo desiderio: che tu sia da Dio aiutata a sopportare ogni cosa avversa senza macchiare la virtù della pazienza e senza disgustare il tuo Signore.

CAPITOLO XXX
L'inganno di quelli che pensano di camminare verso la perfezione

Vinto già il nemico nel primo e nel secondo assalto e inganno di cui parlavo sopra, il maligno ricorre al terzo. Esso consiste nel far sì che noi, dimentichi dei nemici che attualmente ci combattono e ci danneggiano, ci teniamo occupati in desideri e propositi di alti gradi di perfezione. Ne consegue che siamo continuamente piagati né curiamo le piaghe; stimando poi tali propositi come se fossero già in atto, in vario modo ci insuperbiamo. Onde non volendo sopportare una coserella o una parolina in contrario, consumiamo poi il tempo in lunghe meditazioni sui propositi di soffrire grandi pene, talora anche quelle del purgatorio, per amor di Dio. Siccome in questo la parte inferiore non sente ripugnanza come se fosse cosa lontana, noi miseri ci convinciamo di aver raggiunto il grado di quelli che pazientemente sostengono di fatto cose grandi.
Tu dunque, per fuggire questo inganno, proponi e combatti con i nemici che da vicino e realmente ti fanno guerra; così chiarirai a te stessa se i tuoi propositi sono veri o falsi, forti o deboli, e camminerai verso la virtù e la perfezione per la via regale e già battuta da altri. Ma contro i nemici dai quali non sei solita essere tormentata, non consiglio di intraprendere la battaglia se non quando prevedi verosimilmente che da un momento all'altro potrebbero assalirti: per essere allora preparata e forte, ti conviene fare prima dei propositi.
Però non giudicare mai i tuoi propositi alla stregua di risultati già ottenuti, sebbene per qualche tempo con i dovuti modi ti fossi esercitata nelle virtù: in essi sii umile, temi te stessa e la tua debolezza e, confidando in Dio, con frequenti preghiere ricorri a lui perché ti fortifichi e ti guardi dai pericoli e in modo particolare da ogni minima presunzione e confidenza in te stessa.
In questo caso, sebbene non si possano superare alcuni piccoli difetti che talvolta il Signore ci lascia per farci umilmente conoscere e per salvaguardare qualche bene, ci è lecito nondimeno proporre di raggiungere un più alto grado di perfezione.

CAPITOLO XXXI
L'inganno e la battaglia che il demonio usa, perché noi lasciamo la via che conduce alla virtù

Il quarto inganno proposto sopra, con cui il maligno demonio ci assalta quando vede che noi camminiamo diritto verso la virtù, è costituito da diversi buoni desideri che va eccitando in noi, perché dall'esercizio delle virtù cadiamo nel vizio.
Una persona, trovandosi inferma, con paziente volontà va tuttavia sopportando l'infermità. Il sagace avversario, il quale conosce che così possa acquistare l'abitudine alla pazienza, le pone davanti molte opere buone che potrebbe fare in uno stato diverso e si sforza di convincerla che, se fosse sana, meglio servirebbe Dio giovando a sé e anche agli altri. E dopo che ha mosso in lei queste voglie, le va a poco a poco aumentando talmente da renderla inquieta per non poterle mandare a effetto come vorrebbe. E quanto in lei si vanno facendo maggiori e più gagliarde tanto cresce l'inquietudine, da cui poi pian piano il nemico la va abilmente conducendo a spazientirsi dell'infermità non come infermità, ma come impedimento di quelle opere che ansiosamente bramava di eseguire per maggior bene.
Quando poi l'ha spinta fino a questo punto, con la stessa prontezza le toglie dalla mente il fine del servizio divino e delle buone opere e le lascia il nudo desiderio di liberarsi dall'infermità. Non succedendo ciò secondo il suo volere, si turba in modo da diventare completamente impaziente. E così, dalla virtù che esercitava, viene a cadere nel suo vizio contrario senza avvedersene.
Il modo di guardarsi e di opporsi a questo inganno è che quando ti trovi in qualche stato tormentoso, tu sia ben attenta a non dare luogo ai desideri di ogni bene che, non potendo allora effettuare, verosimilmente ti turberebbero. E in ciò devi con ogni umiltà, pazienza e rassegnazione credere che i tuoi desideri non avrebbero quell'effetto di cui ti convincevi, essendo tu più vile e instabile di quanto ti stimi. Oppure pensa che Dio nei suoi occulti giudizi o a causa dei tuoi demeriti non vuole da te quel bene, ma piuttosto che ti abbassi e ti umili pazientemente sotto la dolce e potente sua mano (cfr. 1Pt 5,6).
Parimenti, essendo impedita dal padre spirituale o da altra causa in modo da non poter fare quando vuoi le tue devozioni e particolarmente la santa comunione, non ti lasciar turbare e agitare dal desiderio di esse; ma, spogliata d'ogni tua proprietà, rivestiti del beneplacito del tuo Signore dicendo a te stessa: “Se l'occhio della divina provvidenza non vedesse in me ingratitudini e difetti, io non sarei ora impedita di ricevere il santissimo sacramento; però vedendo io che il mio Signore con questo mi scopre la mia indegnità, ne sia egli sempre lodato e benedetto. In verità confido, Signor mio, nella tua somma bontà: fa' che io, assecondandoti e compiacendoti in tutto, ti apra il cuore disposto a ogni tuo volere perché tu, entrando in esso spiritualmente, lo consoli e lo fortifichi contro i nemici che cercano di allontanarlo da te. Così sia fatto tutto quello che è bene agli occhi tuoi. Creatore e Redentore mio, la tua volontà sia ora e sempre il mio cibo e il mio sostegno. Questa sola grazia ti chiedo, Amore caro: che l'anima mia, purificata e libera da qualunque cosa a te non gradita, stia sempre ornata di sante virtù e con esse stia preparata alla tua venuta e a quanto a te piacerà disporre di me”.
Se ti fiderai di questi insegnamenti, sappi con certezza che in qualsiasi desiderio di bene che non potrai realizzare, a causa della natura o del demonio, per turbarti e allontanarti dal cammino della virtù, o talora anche di Dio per provare la tua rassegnazione alla sua volontà, avrai sempre occasione di accontentare il tuo Signore nel modo che più piace a lui. E proprio in questo consiste la vera devozione e il servizio, che Dio vuole da noi.
Perché tu non perda la pazienza nei travagli, da qualunque parte provengano, ti avverto ancora che tu, usando i mezzi leciti solitamente adoperati dai servi di Dio, non li usi con il desiderio e lo scopo di esserne liberata, ma perché Dio vuole che si usino; né sappiamo noi se piace a sua divina Maestà di liberarci con questo mezzo. Se tu facessi altrimenti, cadresti in più mali: facilmente cadresti nell'impazienza, non succedendo la cosa secondo il tuo desiderio e la tua intenzione; oppure la tua pazienza sarebbe difettosa, non tutta accetta a Dio e di poco merito.
Finalmente ti avverto qui di un occulto inganno del nostro amor proprio, che in certe circostanze suole coprire e difendere i nostri difetti. Per esempio: essendo qualche infermo poco paziente per l'infermità, nasconde la sua impazienza sotto il velo di qualche zelo di bene apparente. Egli dice che il suo affanno non è veramente impazienza per il travaglio dovuto alla malattia, ma ragionevole dispiacere perché egli stesso gliene ha dato occasione oppure perché altri, per la servitù che gli fanno o per altre cause, ne provano fastidio e danno.
Allo stesso modo l'ambizioso, che si turba per la dignità non ottenuta, non attribuisce ciò alla sua propria superbia e vanità, ma ad altri motivi dei quali si sa molto bene che in altre occasioni, che a lui non danno noia, non tiene nessun conto. Come nemmeno l'infermo si preoccupa se quegli stessi, per i quali diceva di dolersi molto che tribolassero per lui, sostengano lo stesso travaglio e lo stesso danno per l'infermità di qualche altro.
Questo è segno assai chiaro che la radice del lamento di costoro non è da vedere in altri o in altro motivo, se non nella ripugnanza che hanno delle cose contrarie alle loro voglie. Tu però per non cadere in questo e in altri errori, sopporta sempre pazientemente qualunque travaglio e pena da qualsiasi causa essi provengano, come ti ho detto.

CAPITOLO XXXII
L'ultimo assalto e inganno proposti sopra, con cui il demonio tenta perché le virtù acquistate ci siano occasione di rovina

L'astuto e maligno serpente non manca di tentarci con i suoi inganni anche nelle virtù da noi acquistate perché ci siano occasione di rovina mentre, compiacendoci di quelle e di noi medesimi, ci innalziamo per cadere poi nel vizio della superbia e della vanagloria.
Per guardarti tu dunque da questo pericolo, combatti sempre sedendo nel campo piano e sicuro di una vera e profonda conoscenza del fatto che niente sei, niente sai, niente puoi e niente altro hai se non miserie e difetti né altro meriti che l'eterna dannazione. Fermata e stabilita entro i termini di questa verità, non te ne lasciar mai allontanare neanche un poco da qualsivoglia pensiero o cosa che ti avvenga, tenendo per certo che tutti siano tanti nemici tuoi, a causa dei quali rimarresti o morta o ferita se tu cadessi nelle loro mani.
Per esercitarti bene a correre nel suddetto campo della vera conoscenza della tua nullità, serviti di questa regola. Quante volte ti rifai alla considerazione di te stessa e delle tue opere, considerati sempre in rapporto a ciò che ti appartiene e non in rapporto a quello che appartiene a Dio e alla sua grazia; e poi stima te stessa tale quale ti ritrovi ad essere in rapporto a ciò che è tuo.
Se consideri il tempo precedente alla tua esistenza, vedrai che in tutto quell'abisso di eternità sei stata un puro niente, e che niente hai operato né potuto operare perché tu avessi l'essere. Poi in questo tempo in cui tu esisti per sola bontà di Dio, lasciando a lui quello che gli appartiene, cioè la cura continua con cui ogni momento ti conserva, che altro sei con quello che è tuo se non parimenti un niente? Infatti non v'è alcun dubbio che tu ritorneresti in un istante al tuo primo niente, da cui ti trasse la sua mano onnipotente, se egli ti lasciasse per un solo piccolissimo momento. E' cosa chiara, dunque, che in questa esistenza naturale, considerandoti in rapporto a quello che ti appartiene, non hai ragione di stimarti o di voler essere da altri stimata.
Per quanto poi riguarda il beneficio dovuto alla grazia e l'operare il bene, qual cosa buona e meritoria potrebbe mai fare da se stessa la tua natura priva dell'aiuto divino? Considerando d'altra parte i molti tuoi errori passati e anche il molto altro male che da te sarebbe proceduto se Dio non ti avesse trattenuta con la sua pietosa mano, troverai che le tue iniquità, per la moltiplicazione non solo dei giorni e degli anni ma anche degli atti e delle abitudini cattive (poiché un vizio chiama e tira con sé l'altro vizio), sarebbero giunte a un numero quasi infinito e tu saresti diventata un altro Lucifero infernale. Per cui non volendo tu essere ladra della bontà di Dio ma rimanere sempre con il tuo Signore, ti devi reputare peggiore di giorno in giorno.
Fa' bene attenzione che questo giudizio che fai di te stessa sia accompagnato dalla giustizia, perché altrimenti ti sarebbe di non piccolo danno. Che se quanto alla cognizione della tua malvagità superi qualcuno che per la sua cecità si considera qualche cosa, tu perdi però molto e ti rendi peggiore di lui nelle opere della volontà se vuoi essere dagli uomini reputata e trattata per quella che sai di non essere.
Se vuoi, dunque, che la conoscenza della tua malizia e della tua viltà tenga lontani i tuoi nemici e ti renda cara a Dio, fa' sì che non solo disprezzi te stessa come indegna di ogni bene e meritevole di tutti i mali, ma che dagli altri preferisca essere disprezzata aborrendo gli onori, godendo dei vituperi e disponendoti quando occorre a fare tutto quello che gli altri disprezzano. Per non lasciare questa santa pratica non devi stimare affatto il giudizio altrui, purché ciò sia fatto da te per il solo fine del tuo abbassamento e per esercitarti in esso; e non per una certa presunzione d'animo e per una non ben conosciuta superbia, per la quale talora sotto altri buoni pretesti si tiene poco o nessun conto della opinione altrui.
Se a volte ti capita, per qualche bene a te concesso da Dio, di essere amata e lodata da altri come buona, sta' ben raccolta dentro di te e non allontanarti per niente dalla suddetta verità e giustizia, ma rivolgiti prima a Dio dicendogli con il cuore: “Non sia mai, Signore, che io sia ladra dell'onore e delle tue grazie; a te la lode, l'onore e la gloria, a me la confusione”. Rivolgiti poi a colui che ti loda e parla così interiormente: “Come mai costui mi tiene per buona, mentre invece è buono solo il mio Dio (cfr. Mc 10, 18) e le sue opere?”. Facendo in questo modo e rendendo al Signore il suo, allontanerai i nemici e ti disporrai a ricevere maggiori doni e favori da Dio. E quando il ricordo delle opere buone ti mette nel pericolo di cadere nella vanità, subito mirandole non come cosa tua ma di Dio, quasi parlando loro potrai dire nell'animo tuo: “Io non so in qual modo voi siate apparse e abbiate cominciato a esistere nella mia mente dal momento che non sono io la vostra origine, ma il buon Dio con la sua grazia vi ha create, nutrite e conservate. Lui solo dunque voglio riconoscere come vero e principale Padre, lui voglio ringraziare e a lui voglio darne ogni lode” (cfr. 2Mac 7,22.30).
Considera, poi, una cosa: tutte le opere da te compiute sono state non solamente poco corrispondenti alla luce e alla grazia a te concesse per conoscerle ed eseguirle, ma per altro sono ancora molto imperfette e purtroppo lontane da quella pura intenzione, dal debito fervore e dalla diligenza con cui dovevano essere accompagnate e compiute. Perciò, se vi pensi bene, ci sarebbe piuttosto da vergognartene che da compiacertene vanamente. E' purtroppo vero: le grazie che da Dio riceviamo pure e perfette, nella realizzazione sono macchiate dalle nostre imperfezioni.
Inoltre paragona le tue opere con quelle dei santi e degli altri servi di Dio. Alla luce di tale confronto conoscerai con chiarezza che le migliori e le più grandi opere tue sono di molto bassa lega e di molto scarso valore. Se poi le paragoni con quelle che Cristo nei misteri della sua vita e della sua continua croce operò per te; se le consideri solamente in se stesse senza la persona divina i sia per l'affetto e sia per la purezza dell'amore con cui furono fatte, ti accorgerai che tutte le tue opere sono appunto come un niente. Se infine leverai la mente alla divinità e all'immensa Maestà del tuo Dio e al servizio che merita, vedrai chiaramente che da qualunque opera tua deriva non vanità ma tremore grande. Onde per tutte le vie in ogni opera tua, per santa che essa sia, con tutto il cuore devi dire al tuo Signore: “O Dio, sii propizio a me peccatrice” (cfr. Lc 18,13).
Ti avverto ancora di non voler essere facile a scoprire i doni ricevuti da Dio: questo dispiace quasi sempre al tuo Signore, come ben ci dichiara egli stesso con la seguente dottrina. Una volta egli, assumendo le sembianze di un fanciullo e di una pura creatura, apparve a una sua devota che con ingenua semplicità lo invitò a recitare la salutazione angelica. Egli cominciò prontamente dicendo: “Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne”; e poi si fermò, perché non volle con le altre parole che seguivano lodare se stesso. E mentre ella lo pregava di proseguire, nascondendosi, egli lasciò nella consolazione la sua serva manifestandole con il suo esempio questa celeste dottrina.
Figliuola, impara anche tu ad abbassarti conoscendoti per quel niente che sei con tutte le opere tue: questo è il fondamento di tutte le altre virtù. Prima che noi fossimo, Dio ci creò dal nulla; ora che esistiamo per lui, vuole fondare tutto l'edificio spirituale sulla cognizione del nostro nulla. E quanto più ci sprofondiamo in esso, tanto più in alto si eleverà l'edificio spirituale; e nella misura in cui andremo scavando la terra delle nostre miserie, il divino architetto vi porrà tante fermissime pietre per mandare avanti l'edificio. Non convincerti, figliuola, di poterti mai abbassare tanto che basti; anzi abbi di te questa stima che se cosa infinita si potesse dare in una creatura, tale sarebbe la tua viltà. Con questa cognizione ben radicata possediamo ogni bene; senza di essa siamo poco più di niente, anche se facessimo le opere di tutti i santi e stessimo sempre occupati in Dio.
O beata cognizione, che ci fa felici in terra e gloriosi in cielo!
O luce che, uscendo dalle tenebre, rende le anime lucide e chiare!
O gioia non conosciuta, che risplende tra le nostre immondizie!
O niente che, conosciuto, ci fa padroni del tutto!
Non mi sazierei mai di parlarti di ciò: se vuoi lodare Dio, accusa te stessa e brama di essere accusata dagli altri. Umiliati con tutti e sotto di tutti, se vuoi in te esaltare lui e te in lui. Se desideri ritrovarlo, non ti innalzare perché egli fuggirà. Abbassati e abbassati quanto puoi, perché egli verrà a trovarti e ad abbracciarti. E tanto ti accoglierà e ti stringerà più teneramente a sé con amore, quanto più ti renderai vile agli occhi tuoi e ti compiacerai di essere umiliata da tutti e rigettata come cosa abominevole.
Stimati indegna di tanto dono che il tuo Dio, per te disonorato, ti fa per unirti a sé; non mancare di rendergli spesso grazie e di tenerti obbligata a chi te ne ha dato occasione, e di più a quelli che ti hanno oltraggiata oppure pensano che tu mal volentieri e di non buona voglia lo sopporti. Anche se così fosse, non devi darlo a vedere all'esterno.
Se nonostante tante considerazioni purtroppo vere, l'astuzia del demonio, l'ignoranza e la nostra cattiva inclinazione, prevalessero in noi in modo che i pensieri di autoesaltazione non cessassero di turbarci e di fare impressione nel nostro cuore, pure allora è tempo d'umiliarci tanto più agli occhi nostri quanto più vediamo che dalla prova abbiamo poco profittato nella via dello spirito e nella leale conoscenza di noi stessi, poiché non possiamo liberarci da siffatte molestie che hanno radice nella nostra vana superbia. Così dal veleno caveremo miele, e sanità dalle ferite.

CAPITOLO XXXIII
Alcuni avvertimenti per vincere le passioni viziose e acquistare nuove virtù

Benché ti abbia detto molto sul modo da seguire per superare te stessa e ornarti delle virtù, tuttavia mi rimane d'avvertirti di altre cose.
Primo. Volendo acquistare delle virtù, non lasciarti mai convincere a preferire quegli esercizi spirituali ai quali con superficialità sono assegnati i giorni della settimana, uno per una virtù e gli altri per le altre. Ma l'ordíne della battaglia e dell'esercizio sia di fare guerra a quelle passioni che ti hanno sempre danneggiata e tuttora spesso ti assaltano e ti danneggiano, e di ornarti delle virtù ad esse contrarie e quanto più perfettamente sia possibile. Perché acquistando tu queste virtù, tutte le altre con facilità e con pochi atti le acquisterai subito quando ti si presentano le occasioni, che non mancano mai in quanto le virtù vanno sempre congiunte insieme, e chi ne possiede una perfettamente ha tutte le altre pronte alla porta del cuore.
Secondo. Non determinare mai il tempo per l'acquisto delle virtù, né giorni, né settimane, né anni; ma sempre, quasi fossi allora nata e come novello soldato, combatti e tendi sempre verso il culmine della loro perfezione. Non ti fermare nemmeno per un attimo, perché il fermarsi nel cammino delle virtù e della perfezione non significa prendere fiato e forza ma tornare indietro o diventare più fiacca di prima. Per fermarsi io intendo il credere d'aver acquistato la virtù interamente e il fare alle volte poco conto delle occasioni, che ci chiamano a nuovi atti di virtù, e delle piccole mancanze. Perciò sii sollecita, fervente e accorta a non perdere neppure una minima occasione di virtù. Ama dunque tutte le occasioni che inducono alla virtù e molto più quelle che sono difficili a superarsi, perché gli atti compiuti per vincere le difficoltà più presto e più profondamente determinano le abitudini, e ama affettuosamente quelli che te le porgono.
Terzo. Sii prudente e discreta in quelle virtù, che possono cagionare danno al corpo: come, ad esempio, affliggerlo con discipline, con cilizi, con digiuni e veglie, con meditazioni e altre cose somiglianti, perché queste virtù si devono acquistare a poco a poco e per gradi, come appresso diremo. Poi per quanto riguarda le altre virtù totalmente interne come amare Dio, disprezzare il mondo, umiliarsi agli occhi propri, odiare le passioni viziose e il peccato, essere paziente e mansueta, amare tutti, anche chi ti offende, e altri simili, non c'è bisogno del poco a poco per acquistarle né di salire per gradi alla loro perfezione; ma sforzati pure di fare ogni atto quanto più perfettamente sia possibile.
Quarto. Tutto il tuo pensiero, il desiderio e il cuore altro non pensino, desiderino o bramino che vincere quella passione che combatti e acquistare la sua virtù contraria. Questo sia tutto il mondo, il cielo e la terra; questo ogni tesoro tuo e tutto allo scopo di piacere a Dio. Se mangi e digiuni, se ti affatichi, se riposi, se vegli, se dormi, se sei in casa, se fuori di casa, se attendi alle devozioni e se alle opere manuali, tutto sia indirizzato a superare e vincere la detta passione e acquistare la sua virtù contraria.
Quinto. Sii nemica senza eccezione dei diletti terreni e delle comodità, perché a questo modo, essendo con poca forza, sarai assalita dai vizi che hanno tutti per radice il diletto. Per cui, tagliata questa radice con l'odio di noi stessi, quelli vengono a perdere le forze e il valore. Che se vorrai far guerra da una parte a qualche vizio e diletto particolare e dall'altra attendere ad altri diletti terreni, benché non siano mortali ma veniali, dura e sanguinosa sarà la guerra e molto incerta e rara la vittoria. Perciò terrai sempre a mente quelle sentenze divine: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete” (Rm 8,12-13).
Sesto. E per ultimo ti avviso che sarebbe bene e forse necessario che tu facessi prima una confessione generale con tutti quei dovuti modi, per assicurarti maggiormente di stare in grazia del tuo Signore, da cui si devono aspettare tutte le grazie e tutte le vittorie.

CAPITOLO XXXIV
Le virtù si devono acquistare a poco a poco, esercitandosi per gradi e attendendo prima all'una e poi all'altra

Benché il vero soldato di Cristo che aspira al culmine della perfezione non debba mai porre alcun termine al suo progresso, tuttavia alcuni fervori di spirito devono essere frenati con una certa discrezione. Abbracciati massimamente all'inizio con troppo ardore, essi poi vengono meno e ci lasciano a mezza strada. Perciò oltre a quello che si è detto intorno alla moderazione circa gli esercizi esterni, si sappia per giunta che anche le virtù interne si devono acquistare a poco a poco e secondo i loro gradi, perché così il poco diventa subito molto e duraturo. Per esempio nelle avversità non dobbiamo ordinariamente esercitarci nel rallegrarcene e nel desiderarle, se prima non siamo passati per i gradi più bassi della virtù della pazienza. E non ti consiglio di attendere principalmente a tutte né a molte virtù insieme, ma a una sola e poi alle altre, perché così si pianta più agevolmente e fermamente nell'anima l'abitudine virtuosa. Infatti con l'esercizio continuo d'una sola virtù la memoria corre più prontamente a quella in ogni occasione; l'intelletto si va facendo sempre più acuto nel trovare nuovi modi e nuove ragioni per acquistarla; la volontà vi s'inclina più facilmente e con maggior affetto: cosa che queste potenze farebbero pochissimo, se si occupassero nell'acquisto di parecchie virtù.
E gli atti riguardanti una sola virtù, per la conformità che hanno tra loro, si vengono a fare meno faticosi con questo uniforme esercizio, poiché l'uno chiama e aiuta l'altro suo simile; e per questa somiglianza si imprimono maggiormente in noi, trovando la sede del cuore già pronta e disposta a ricevere quelli che di nuovo si producono, come prima diede luogo agli altri ad essi conformi.
Queste ragioni hanno tanta maggior forza, quanto più sappiamo con certezza che chiunque si esercita bene in una virtù apprende anche il modo di esercitarsi nell'altra; e così con l'aumento di una, crescono tutte insieme per l'inseparabile legame che hanno tra loro, essendo raggi procedenti da una stessa divina luce.

CAPITOLO XXXV
I mezzi con i quali si acquistano le virtù. Come ce ne dobbiamo servire per attendere a una sola virtù per qualche spazio di tempo

Per acquistare le virtù, oltre quello che dicemmo sopra, si richiedono un animo generoso e grande e una volontà non fiacca né rilassata, ma risoluta e forte, insieme al presupposto certo di dover passare per molte cose contrarie e aspre. Inoltre bisogna avere verso le virtù particolare inclinazione e affezione, che si potranno conseguire considerando spesso quanto piacciano a Dio, quanto siano nobili ed eccellenti in se stesse e a noi utili e necessarie, poiché da esse ha principio e in esse ha fine ogni perfezione.
Si facciano ogni mattina efficaci proponimenti di esercitarsi nelle virtù secondo le cose che verosimilmente capiteranno in quel giorno nel quale più volte ci dobbiamo esaminare se li abbiamo eseguiti o no, rinnovandoli poi più vivamente. E tutto ciò particolarmente intorno alla virtù che allora vogliamo praticare. Allo stesso modo gli esempi dei santi, le nostre preghiere, le meditazioni della vita e della passione di Cristo tanto necessarie in ogni esercizio spirituale, tutto serva principalmente per quella stessa virtù nella quale allora ci eserciteremo.
La medesima cosa si faccia in tutte le occasioni sia pure diverse tra loro, come dimostreremo in modo particolare più avanti. Cerchiamo di abituarci talmente agli atti virtuosi interni ed esterni, da farli con quella prontezza e quella facilità con cui prima facevamo gli altri conformi alle voglie naturali. E quanto più saranno a queste contrari, come dicemmo in altro luogo, tanto più presto introdurranno l'abitudine virtuosa nell'anima nostra.
I sacri detti della divina Scrittura, espressi con la voce o almeno con la mente nel modo conveniente, hanno una forza meravigliosa per aiutarci in questo esercizio. Perciò se ne abbiano a disposizione molti intorno alla virtù che stiamo praticando e si dicano durante il giorno e specialmente quando insorge la passione contraria. Per esempio: se stiamo attendendo all'acquisto della pazienza, potremo dire i seguenti detti o altri simili: “Figli, sopportate con pazienza la collera che da Dio è venuta su di voi” (Bar 4,25); “La speranza degli afflitti non resterà delusa” (Sal 9,19); “Il paziente val più di un eroe, chi domina se stesso val più di chi conquista una città” (Pro 16,32); “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19); “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti” (Eb 12, 1).
Parimenti per lo stesso scopo potremo dire le seguenti o simili orazioncelle: “Quando, Dio mio, questo mio cuore sarà armato dello scudo della pazienza? Quando, per dare gioia al mio Signore, sopporterò con animo tranquillo ogni travaglio? O pene troppo care, che mi fanno simile al mio Signore Gesù per me torturato! Sarà mai, unica vita dell'anima mia, che per tua gloria io viva contenta tra mille angosce? Me beato, se in mezzo al fuoco delle tribolazioni arderò dalla voglia di sostenere cose maggiori!”.
Ci serviremo di queste e di altre orazioncelle, che siano conformi al nostro progresso nelle virtù e che lo spirito della devozione insegnerà. Queste orazioncelle si chiamano giaculatorie, perché sono come giavellotti e dardi che si lanciano verso il cielo e hanno grande forza per eccitarci alla virtù e penetrare fino nel cuore di Dio se sono accompagnate da due cose, quasi da due ali. L'una è la vera conoscenza della gioia che Dio prova per il nostro esercizio delle virtù. L'altra è un vero e ardente desiderio di acquistarle al solo scopo di essere graditi a sua divina Maestà.

CAPITOLO XXXVI
Nell'esercizio della virtù si deve camminare con sollecitudine continua

Fra tutte le cose più importanti e necessarie per l'acquisto delle virtù, oltre a quelle insegnate sopra, una è questa: per raggiungere il fine che qui ci proponiamo, bisogna continuare andando sempre avanti, altrimenti con il solo fermarsi si torna indietro. Perché quando noi cessiamo dagli atti virtuosi, ne segue necessariamente che, per violenta inclinazione dell'appetito sensitivo e delle altre cose che esteriormente ci muovono, si generino in noi molte passioni disordinate. Queste distruggono o almeno diminuiscono le virtù e inoltre restiamo privi di molte grazie e doni, che avremmo potuto ottenere dal Signore se avessimo fatto progresso. Perciò il cammino spirituale è differente dal cammino che fa il viandante per terra: in questo con il fermarsi non si perde niente del viaggio già fatto, mentre invece si perde in quello. E inoltre la stanchezza di chi fa il cammino a piedi aumenta con la continuazione del movimento corporale; mentre nella via dello spirito quanto più si cammina avanti, tanto più si acquista sempre maggior forza e vigore.
Questo capita perché con l'esercizio virtuoso la parte inferiore, che con la sua resistenza rendeva aspro e faticoso il sentiero, si debilita sempre più; invece la parte superiore, nella quale risiede la virtù, si stabilisce e si fortifica di più. Perciò progredendo nel bene, va scemando qualche pena che vi si sente, e una certa segreta giocondità, che per l'azione divina si mescola con la stessa pena, in ogni ora si va facendo maggiore. A questo modo, continuando ad andare sempre con più facilità e diletto di virtù in virtù, si arriva finalmente alla sommità del monte dove l'anima, diventata perfetta, opera poi senza fastidio; anzi opera con gusto e giubilo perché, avendo già vinto e domato le passioni sregolate ed elevandosi sopra tutto il creato e sopra se stessa, vive felicemente nel cuore dell'Altissimo e quivi prende riposo soavemente faticando.

CAPITOLO XXXVII
Dovendosi sempre continuare nell'esercizio delle virtù, non si devono fuggire le occasioni che ci si presentano per acquistarle

Abbiamo visto assai chiaramente che nel viaggio tendente alla perfezione, ci conviene camminare sempre avanti senza fermarsi. Per fare questo, stiamo bene attenti e vigilanti a non lasciarci sfuggire qualunque occasione che ci si presenti per acquistare le virtù. Per cui non pensano bene quelli che si allontanano quanto possono dalle cose contrarie che potrebbero servire a questo scopo.
Per non discostarmi dal solito esempio, ti dico: desideri acquistare l'abitudine alla pazienza? Non è bene che ti allontani da quelle persone, da quelle azioni e da quei pensieri che ti muovono all'impazienza. E perciò non devi evitare di trattare con qualcuno, benché ti sia molesto; ma, conversando e trattando con chiunque ti procuri noia, tieni sempre disposta e pronta la volontà a tollerare qualsiasi cosa ti possa capitare di increscioso e di molesto; se facessi diversamente, non ti abitueresti mai alla pazienza.
Parimenti se un'azione ti reca fastidio o per se stessa o per chi te l'ha imposta o perché ti svia dal fare altra cosa a te più gradita, non esitare a intraprenderla e a continuarla anche se te ne sentissi inquieta e ne potessi trovare quiete lasciandola. In tal modo non impareresti mai a patire e la tua non sarebbe vera quiete, non procedendo da un animo purificato dalla passione e ornato di virtù. La stessa cosa ti dico dei pensieri noiosi, che alcune volte travagliano e conturbano la tua mente: non li devi scacciare del tutto da te, perché, con la pena che ti danno, ti servono nello stesso tempo per assuefarti alla tolleranza delle contrarietà. E chi ti dice diversamente ti insegna piuttosto a fuggire il travaglio che ne senti, anziché a conseguire la virtù che desideri.
E ben vero che conviene, massimamente al giovane soldato, temporeggiare e destreggiarsi nelle dette occasioni con avvertenza e con abilità, ora affrontandole ora scansandole secondo che più o meno va acquistando virtù e forza di spirito. Ma non si deve mai in tutto voltare le spalle e ritirarsi in modo da lasciarsi completamente dietro ogni occasione di contrarietà, perché, se per allora ci salvassimo dal pericolo di cadere, per l'avvenire saremmo esposti con maggior rischio ai colpi dell'impazienza, non essendoci prima armati e fortificati con l'uso della virtù contraria.
Questi moniti però non hanno luogo nel vizio della carne, di cui abbiamo già trattato dettagliatamente.

CAPITOLO XXXVIII
Bisogna aver care tutte le occasioni di combattere per l'acquisto delle virtù, particolarmente quelle che comportano più difficoltà

Figliuola, non mi contento che tu non schivi le occasioni che ti si fanno incontro per l'acquisto della virtù, ma voglio che come cosa di gran valore e di grande stima siano a volte da te cercate e abbracciate sempre lietamente, appena si presentano; e voglio che tu reputi più preziose e care quelle che sono più spiacevoli per la tua sensibilità: questo ti verrà concesso con l'aiuto divino, se ti imprimerai bene nella mente le seguenti considerazioni.
L'una è che le occasioni sono mezzi proporzionati, anzi necessari, per acquistare le virtù. Per cui quando tu chiedi queste al Signore, di conseguenza chiedi anche quelle, altrimenti la tua preghiera sarebbe vana e tu verresti a contraddire te stessa e a tentare Dio, poiché egli ordinariamente non dà la pazienza senza le tribolazioni né l'umiltà senza i disprezzi.
La stessa cosa si può dire di tutte le altre virtù, che si conseguono senza dubbio per mezzo delle contrarietà. Essi ci sono di tanto maggior aiuto per questo scopo, che ci devono essere perciò tanto più care e gradite quanto più sono faticose: infatti gli atti che noi facciamo in tali casi più sono generosi e forti, più agevolmente e più presto ci aprono la strada alla virtù. Sono però da stimare e da non lasciare senza il loro esercizio anche le minime occasioni, come di uno sguardo o di una parola contro la nostra volontà, poiché gli atti che vi si fanno sono più frequenti benché meno intensi di quelli che sono da noi prodotti nelle difficoltà importanti.
L'altra considerazione accennata anche sopra è questa: tutte le cose che ci succedono vengono da Dio per nostro beneficio e perché noi ne ricaviamo frutto. E quantunque di queste cose alcune che sono mancanze nostre o di altri, come dicemmo pure in altro luogo, non si può dire che siano di Dio, che non vuole il peccato, sono però da Dio in quanto egli le permette e non le impedisce, pur potendolo fare. Tutte le afflizioni e le pene che ci capitano o per nostri difetti o per malignità altrui sono da Dio e di Dio, poiché egli in quelle interviene. E ciò che non vorrebbe che si facesse in quanto contiene deformità grandemente odiosa ai suoi occhi purissimi, vuole che si patisca per quel bene di virtù che noi ne possiamo trarre e per altre giuste cause a noi occulte.
Perciò, essendo noi più che certi che il Signore vuole che sosteniamo volentieri qualunque molestia ci venga dalle altrui o anche dalle nostre ingiuste azioni, il dire, come per una siffatta scusa della loro impazienza dicono molti, che Dio non vuole anzi aborrisce le cose mal fatte, non è altro che coprire la propria colpa con un vano pretesto e rifiutare la croce: infatti non possiamo negare che a lui piace che noi la portiamo (cfr. Lc 9,23).
Anzi dico di più: in confronto al resto, il Signore ama più in noi la sopportazione di quelle pene che derivano dall'iniquità degli uomini, specialmente se sono stati prima serviti e beneficati, anziché le molestie che procedono da altre penose circostanze. E ciò sia perché ordinariamente più in quelle che in queste la natura superba si reprime e sia ancora perché, sostenendole noi volentieri, accontentiamo ed esaltiamo pienamente il nostro Dio, cooperando con lui in una cosa dove sommamente splendono la sua ineffabile bontà e onnipotenza: essa consiste nel cogliere dal pestifero veleno della malizia e del peccato il prezioso e saporito frutto della virtù e del bene.
Perciò sappi, figliuola, che non appena il Signore scopre in noi il vivo desiderio di riuscire davvero e di attendere come si deve a così glorioso acquisto, subito ci prepara il calice delle più forti tentazioni e delle occasioni più dure possibili perché a suo tempo lo prendiamo. E noi, riconoscendo in ciò l'amore suo e il nostro proprio bene, lo dobbiamo ricevere volentieri a occhi chiusi e berlo tutto fino in fondo sicuramente e prontamente, poiché è medicina composta da una mano che non può errare, con ingredienti tanto più utili all'anima quanto più in se stessi sono amari.

CAPITOLO XXXIX
Come possiamo valerci di diverse occasioni per l'esercizio di una stessa virtù

Si è visto sopra come per qualche tempo sia più fruttuoso l'esercizio di una sola virtù che di molte insieme e che secondo quella bisogna regolare le occasioni che si incontrano, benché tra loro diverse. Ora considera come ciò si possa eseguire assai facilmente.
Forse accadrà in uno stesso giorno e anche nella stessa ora d'essere ripresi per un'azione che tuttavia è buona, o che per altro si mormori di noi; che ci sia duramente negato qualche favore da noi richiesto o qualsivoglia ben piccola cosa; che si pensi male di noi senza ragione; che ci sopravvenga qualche dolore corporale; che ci sia imposta qualche faccenda noiosa; che ci sia offerta una vivanda mal condita o che ci avvengano altre cose più importanti e dure da tollerare, delle quali è piena la miserabile vita umana. Pur potendo produrre diversi atti di virtù nella varietà di questi o di simili avvenimenti, nondimeno, volendo osservare la regola mostrata, ci andremo esercitando con atti tutti conformi alla virtù che allora avremo per le mani.
Per esempio: se nel tempo in cui verranno le dette occasioni ci eserciteremo nella pazienza, produrremo atti che siano finalizzati a sopportarle tutte volentieri e con allegrezza d'animo. Se il nostro esercizio sarà di umiltà, in tutte quelle contrarietà ci conosceremo degni di ogni male. Se di obbedienza, ci sottoporremo prontamente alla mano potentissima di Dio e per sua compiacenza (poiché egli così vuole) alle creature ragionevoli e anche inanimate, dalle quali ci vengono queste contrarietà. Se di povertà, ci contenteremo di essere spogliati e privi di ogni consolazione o grande o piccola di questo mondo. Se di carità, produrremo atti d'amore e verso il nostro prossimo, come strumento del bene che possiamo acquistare, e verso il Signore Dio, come principale e amorosa causa, da cui procedono o sono permessi quegli incomodi per nostro esercizio e spirituale profitto.
E da quanto diciamo intorno ai diversi avvenimenti che possono avvenire per ciascun giorno, si comprende nello stesso tempo come in una sola occasione d'infermità o di altro travaglio lungamente protratti possiamo andare facendo atti di quella virtù in cui allora ci stiamo esercitando.

CAPITOLO XL
Il tempo da impiegare nell'esercizio di ciascuna virtù e i segni del nostro profitto

Quanto al tempo nel quale bisogna continuare nell'esercizio di ciascuna virtù non sta a me determinarlo, poiché ciò si deve regolare in base allo stato e al bisogno dei singoli, al progresso che si va facendo nella via dello spirito e al giudizio di chi ci guida per quella via. Ma se vi si attendesse davvero con quei modi e con quella sollecitudine di cui abbiamo parlato, senza dubbio in non molte settimane ci si avvantaggerebbe moltissimo.
E' segno d'aver fatto progresso nella virtù quando nell'aridità, fra le tenebre e le angustie dell'anima e nella privazione dei gusti spirituali saldamente si va continuando negli esercizi virtuosi. Di ciò darà anche assai chiaro indizio il contrasto che, nel produrre gli atti della virtù, ci farà la sensualità: quanto questa andrà perdendo di forze, tanto sarà da stimare d'aver avanzato in quella. Perciò non provando contraddizione e ribellione nella parte sensuale e inferiore, massimamente fra gli assalti subitanei e improvvisi, sarà segno, questo, che abbiamo già conseguito la virtù. E quanto i nostri atti saranno accompagnati da maggior prontezza e allegrezza di spirito, tanto più potremo pensare di aver progredito in questo esercizio.
Si avverta però che non dobbiamo mai convincerci, come se fosse cosa certa, di essere possessori delle virtù e del tutto vittoriosi su alcuna nostra passione, benché dopo molto tempo e molte battaglie non avessimo sentito i suoi stimoli: infatti qui possono ancora insinuarsi l'astuta azione del demonio e la nostra natura ingannevole. Per cui alle volte è vizio quello che per occulta superbia pare virtù. Inoltre se miriamo alla perfezione alla quale Dio ci chiama, pur avendo fatto molto cammino nella via della virtù, dovremo persuaderci di non essere nemmeno entrati nei suoi primi confini.
Perciò tu, come novella guerriera e quasi bambina proprio allora nata per combattere, ripiglia sempre come da principio i tuoi esercizi quasi che nulla avessi precedentemente fatto. E ti ricordo, figliuola, di attendere piuttosto ad andare avanti nelle virtù che a fare un esame minuzioso del proprio profitto, perché il Signore Dio, vero e solo scrutatore dei nostri cuori, ad alcuni fa conoscere ciò e ad alcuni no, secondo che vede se a tale cognizione seguirà o umiliazione o superbia; e, come Padre amorevole, agli uni toglie il pericolo e agli altri porge occasione di crescere nelle virtù. E perciò, benché l'anima non si avveda del suo progresso, seguiti pure nei suoi esercizi, perché lo vedrà quando piacerà al Signore, per suo maggior bene.

CAPITOLO XLI
Non dobbiamo lasciarci prendere dalla voglia di essere liberi dai travagli che sosteniamo pazientemente.
Il modo di regolare tutti i nostri desideri perché siano virtuosi

Quando ti ritrovi in qualunque cosa sia pure penosa e la sostieni con animo paziente, sta' attenta a non lasciarti mai persuadere dal demonio o dal tuo amor proprio a desiderarne la liberazione, perché da ciò ti verrebbero due danni principali.
L'uno è che, qualora questo desiderio non ti togliesse sul momento la virtù della pazienza, almeno a poco a poco ti andrebbe disponendo all'impazienza.
L'altro è che la tua pazienza si renderebbe difettosa e sarebbe ricompensata da Dio solamente per quello spazio di tempo in cui tu patissi. Invece se tu non avessi desiderato la liberazione, ma ti fossi del tutto rimessa alla sua divina bontà, benché in effetti il tuo patire fosse stato di un'ora sola e anche meno, il Signore lo avrebbe riconosciuto per un servizio di lunghissimo tempo.
Perciò in questa e in tutte le cose abbi per regola universale di tenere i tuoi desideri così lontani da ogni altro oggetto, da mirare puramente e semplicemente al loro vero e unico scopo, che è il volere di Dio. In tal modo essi saranno giusti e retti e tu in qualunque contrarietà starai non solo quieta ma contenta: non potendo accadere nessuna cosa senza la suprema volontà, volendo tu quella, ti disporrai a volere insieme e a ricevere tutto ciò che desideri e che succede in ogni circostanza.
Questo, che non si intende dei peccati tuoi o altrui poiché Dio non li vuole, avviene in ogni pena causata dai peccati stessi o da qualche altro motivo, anche se essa fosse tanto violenta e penetrasse così addentro che, toccando il fondo del cuore, quasi seccasse le radici della vita naturale: anche questa è croce con cui Dio si compiace favorire talora i suoi amici più intimi e cari.
E ciò che dico della sofferenza che incontri in ogni caso, intendilo riferito anche a quella parte di ciascun travaglio che rimane, e che il Signore desidera che noi sosteniamo, dopo aver usato tutti i mezzi leciti per liberarcene. Anche questi si devono regolare in base alla disposizione e alla volontà di Dio, il quale li ha ordinati allo scopo che ce ne serviamo, perché egli così vuole, e non con attaccamento a noi stessi, né perché amiamo e desideriamo la liberazione dalle cose moleste più di quanto, appunto, il suo servizio e il suo beneplacito richiedono.

CAPITOLO XLII
Il modo di opporsi al demonio, mentre cerca di ingannarci con l'indiscrezione

Quando il sagace demonio si avvede che con vivi e ben ordinati desideri camminiamo dritto per la via delle virtù, non potendoci tirare dalla sua parte con aperti inganni si trasfigura in angelo di luce. Quindi con amichevoli pensieri, con sentenze della Scrittura e con esempi dei santi in modo importuno ci sollecita a camminare con indiscrezione verso il culmine della perfezione, per farci poi cadere nel precipizio. Perciò ci esorta a castigare aspramente il corpo con discipline, astinenze, cilizi e altre simili afflizioni perché o ci insuperbiamo sembrandoci (come capita particolarmente alle donne) di fare cose grandi o perché, sopraggiungendo qualche infermità, diventiamo inabili alle opere buone, o perché per troppa fatica e pena ci vengano a noia e ripugnanza gli esercizi spirituali. Così, a poco a poco, intiepiditi nel bene, con maggiore avidità di prima ci daremo in preda ai diletti e ai passatempi terreni: questo è avvenuto a molti che, seguendo con presunzione di spirito l'impeto di uno zelo indiscreto e oltrepassando con sproporzionati patimenti esteriori la misura della propria virtù, sono periti nelle loro invenzioni e sono diventati motivo di derisione per i maligni demoni. Il che non sarebbe loro successo, se avessero bene considerato le cose suddette e che questa specie di atti penosi, sebbene siano lodevoli e apportino frutto qualora vi siano forze corporali e umiltà di spirito corrispondenti, ha bisogno di misura conforme alla qualità e alla natura di ciascuno.
A chi non può in questa vita aspra tribolare con i santi, non mancano altre occasioni per imitarne la vita con grandi ed efficaci desideri e con orazioni ferventi, aspirando alle più gloriose corone dovute ai veri combattimenti per Gesù Cristo col disprezzare il mondo intero e anche se stesso; col darsi al silenzio e alla solitudine; con l'essere umile e mansueto con tutti; col patire il male e fare il bene a chiunque gli è più contrario e con il guardarsi da ogni colpa anche leggera. Questa è cosa più gradita a Dio degli esercizi che affliggono il corpo: in essi io ti consiglio di essere piuttosto discretamente parca per poterli accrescere nel bisogno, anziché con certi eccessi ridurti al punto di doverli abbandonare.
Infatti già io credo che non stai affatto per cadere nell'errore di alcuni, ritenuti per altro spirituali, i quali, allettati e ingannati dalla lusinghevole natura, sono troppo diligenti nel conservare la loro salute corporale. E se ne mostrano tanto gelosi e ansiosi, che per una minima cosa stanno sempre in dubbio e nel timore di perderla: infatti non vi è cosa che pensino e trattino più volentieri di come regolarsi in questa parte della loro vita. Perciò attendono continuamente a procurarsi cibi conformi più al gusto che al loro stomaco, il quale molte volte si indebolisce per eccessiva delicatezza. E mentre si fa questo sotto pretesto di poter meglio servire Dio, non è altro che voler accordare insieme senza alcun vantaggio, anzi con danno dell'uno e dell'altro, due nemici capitali che sono spirito e corpo, poiché, con siffatta sollecitudine, a questo si toglie sanità e a quello devozione.
E perciò è più sicuro e giovevole sotto ogni aspetto un certo modo di vivere libero, non disgiunto però da quella discrezione di cui ho parlato, avendo riguardo per le diverse condizioni e costituzioni fisiche, che non soggiacciono tutte a una stessa regola. Inoltre aggiungo che non solo nelle cose esteriori, ma anche nell'acquistare le virtù interiori dobbiamo procedere con qualche moderazione, come si è precedentemente dimostrato a proposito della conquista graduale delle virtù.

CAPITOLO XLIII
Quanto possano in noi la nostra cattiva inclinazione e l'istigazione del demonio per indurci a giudicare temerariamente il prossimo.
Il modo di fare loro resistenza

Dal suddetto vizio della propria stima e reputazione ne nasce un altro, che ci porta gravissimo danno ed è il giudizio temerario sul nostro prossimo che consideriamo vile, disprezziamo e abbassiamo. Questo difetto, siccome ha la sua origine nella cattiva inclinazione e nella superbia, così da essa viene volentieri fomentato e nutrito. Insieme a tale difetto, anche la superbia si va accrescendo, compiacendo e ingannando insensibilmente: infatti senza avvedercene tanto più presumiamo di innalzare noi stessi, quanto più nella nostra opinione deprimiamo gli altri sembrandoci di essere lontani da quelle imperfezioni che crediamo di trovare in essi.
Il sagace demonio, scorgendo in noi siffatta pessima disposizione d'animo, vigila continuamente per aprirci gli occhi e tenerci svegli per vedere, esaminare e ingrandire le mancanze altrui. Le persone superficiali non credono e non conoscono quanto egli si adoperi e studi per imprimere nelle nostre menti i piccoli difetti di questo e di quello, non potendovi imprimere i grandi. Però se egli vigila a tuo danno, sta' desta anche tu per non cadere nei suoi lacci; e appena ti presenta qualche errore del tuo prossimo, ritira subito da quello il pensiero, e se pure ti senti muovere al giudizio, non ti lasciar indurre ad esso. Considera, invece, che a te non è stata data questa facoltà (cfr. Mt 7, 1; Lc 6,3 7; 1 C or 4,5): benché così fosse, non potresti darne un giudizio retto, trovandoti attorniata da mille passioni e purtroppo inclinata a pensar male senza giusto motivo.
Ma per efficace rimedio di ciò ti ricordo di essere occupata col pensiero nei bisogni del tuo cuore, perché sempre più ti andrai accorgendo di avere tanto da fare e da tribolare in te e per te, che non ti avanzerà tempo né avrai voglia di badare ai fatti altrui. Inoltre attendendo a tale esercizio nel modo conveniente, purificherai sempre più il tuo occhio interiore da quei cattivi umori da cui procede questo vizio pestifero. E sappi che quando malauguratamente pensi alcun male del fratello, qualche radice dello stesso male è nel tuo cuore, il quale, secondo che si trova mal disposto, così riceve in sé ogni oggetto simile che gli si fa incontro.
Perciò quando ti senti spinta a giudicare gli altri di qualche difetto, sdegnata contro di te come se fossi colpevole di quello stesso difetto, dirai nell'animo tuo: “Essendo io misera sepolta in questo e in più gravi difetti, come avrò l'ardire di levare il capo per vedere e giudicare quelli degli altri?”. E così le armi che, indirizzate contro altri venivano a ferire te, adoperate contro di te porteranno salute alle tue piaghe.
Che se l'errore commesso è chiaro e manifesto, scusalo con affetto pietoso e credi che in quel fratello vi siano delle virtù nascoste. Per custodirle il Signore permette che egli cada o abbia per qualche tempo quel difetto, perché si mantenga più umile agli occhi suoi e a causa anche del disprezzo altrui ne ricavi frutto di umiliazione e si renda più gradito a Dio. E così il guadagno suo sarà maggiore della perdita.
Se il peccato è non solo manifesto ma grave e dovuto a un cuore ostinato, ricorri con il pensiero ai tremendi giudizi di Dio. Alla luce di essi vedrai che uomini prima scelleratissimi hanno poi raggiunto una grande santità; mentre vedrai che altri dal più sublime stato di perfezione, al quale pareva fossero pervenuti, sono caduti in un miserevole precipizio. Perciò vivi sempre in timore e tremore di te stessa (cfr. Fil 2,12), più che di alcun altro.
E convinciti che tutto quel bene che credi del tuo prossimo e per il quale gioisci, è effetto dello Spirito Santo; mentre ogni disprezzo, giudizio temerario e asprezza contro di lui provengono dalla propria malizia e dalla suggestione diabolica. Però se qualche imperfezione altrui avesse fatto in te impressione, non ti rassegnare mai né da' sonno agli occhi tuoi finché non te la levi dal cuore per quanto ti è possibile.

CAPITOLO XLIV
L'orazione

Se la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio e l'esercizio in questo combattimento sono tanto necessari quanto fin qui si è dimostrato, soprattutto è necessaria l'orazione (che è la quarta cosa e la quarta arma proposte all'inizio), con la quale non solo possiamo conseguire da Dio Signore nostro le cose dette, ma ogni altro bene. Infatti l'orazione è strumento per ottenere tutte le grazie, che da quel fonte divino di bontà e di amore piovono sopra di noi.
Se te ne servirai bene, con l'orazione porrai la spada in mano a Dio perché combatta e vinca per te. E per servirtene bene, c'è bisogno che tu sia abituata o che ti sforzi di esserlo nelle seguenti cose.
Primo: in te viva sempre un desiderio vero di servire in tutto sua divina Maestà e nel modo che ad essa più piace. Per accenderti di questo desiderio, considera bene che Dio, a causa dei suoi sovrammirabilí attributi, cioè per la sua bontà, maestà, sapienza, bellezza e per altre sue infinite perfezioni, è sovradegnissimo di essere servito e onorato. Considera che egli per servire te, ha penato e faticato trentatré anni; ha medicato e sanato le tue fetide piaghe avvelenate dalla malignità del peccato non con olio e vino e stracci di panno, ma con il prezioso liquore uscito dalle sue sacratissime vene e con le sue carni purissime lacerate dai flagelli, dalle spine e dai chiodi. E pensa inoltre quanto sia importante questo servizio, poiché veniamo a farci padroni di noi stessi, superiori al demonio e figli dello stesso Dio.
Secondo: deve essere in te una viva fede e una viva fiducia che il Signore voglia darti tutto ciò che ti necessita per il suo servizio e per il tuo bene. Questa santa confidenza è il vaso che la misericordia divina riempie dei tesori delle sue grazie: quanto più esso sarà grande e capace, tanto più ricca fluirà l'orazione nel nostro intimo. E come l'immutabile onnipotente Signore potrà mancare di farci partecipi dei suoi doni, avendoci egli stesso comandato di chiederli (cfr. Mt 7,7-11) e promettendoci anche il suo Spirito se lo richiederemo con fede e perseveranza (cfr. Lc 11,9-13; Gv 14,16s e 26; 16,7-11 e 13s; 2Cor 1,21s)?
Terzo: ti devi accostare all'orazione con l'intenzione di volere la sola volontà divina e non la tua, così nel domandare come nell'ottenere quel che domandi. Cioè tu devi muoverti a pregare perché Dio lo vuole e devi desiderare d'essere esaudita in quanto egli pure così voglia. Insomma l'intenzione tua dev'essere di congiungere la volontà tua con la divina e non di tirare alla tua quella di Dio. E questo perché, essendo la tua volontà infetta e guasta per l'amor proprio, ben spesso sbaglia né sa quello che domanda; invece la divina è sempre congiunta a bontà ineffabile né può mai sbagliare. Quindi essa è regola e regina di tutte le altre volontà e merita e vuole da tutte essere seguita e obbedita: perciò si devono domandare sempre cose conformi al divino volere e, dubitando che alcuna tale non sia, la domanderai a condizione di volerla se vuole il Signore che tu l'abbia. E quelle che sai con certezza che gli piacciono, come ad esempio le virtù, le richiederai più per soddisfare e servire a lui che per altro fine o motivo sia pure spirituale.
Quarto: all'orazione devi andare ornata di opere corrispondenti alle domande e dopo l'orazione ti devi affaticare sempre più per farti degna della grazia e delle virtù che desideri. Infatti l'esercizio dell'orazione dev'essere talmente accompagnato dall'esercizio di superare noi stessi, che l'uno segua con ordine l'altro; altrimenti il domandare qualche virtù e non adoperarsi per averla sarebbe piuttosto un tentare Dio che altro.
Quinto: alle domande devono precedere per lo più i ringraziamenti per i benefici ricevuti, in questo o in un modo simile: “Signore mio, che per tua bontà mi hai creata e redenta e tante innumerevoli volte che io stessa non conosco mi hai liberata dalle mani dei miei nemici, soccorrimi adesso e non mi negare quello che io ti chiedo benché ti sia stata sempre ribelle e ingrata”. E se stai per chiedere qualche virtù particolare e ti è capitata qualche contrarietà, per esercitarti in quella non dimenticare di rendere grazie al Signore dell'occasione che ti ha data: anche questo è non piccolo suo beneficio.
Sesto: poiché l'orazione attinge la sua forza e la sua potenza di piegare Dio ai nostri desideri dalla naturale bontà e misericordia di lui, dai meriti della vita e della passione del suo unigenito Figliuolo e dalla promessa a noi fatta di esaudirci, concluderai le tue domande con una o più delle seguenti espressioni: “Concedimi, Signore, questa grazia per la tua somma pietà. Possano presso di te i meriti del tuo Figliuolo impetrarmi quello che io ti chiedo. Ricordati, Dio mio, delle tue promesse e volgiti alle mie preghiere”. E altre volte domanderai ancora grazie per i meriti di Maria Vergine e di altri santi che possono molto presso Dio e molto sono da lui onorati, perché in questa vita onorarono la sua divina Maestà.
Settimo: c'è bisogno che tu continui a perseverare nell'orazione, perché l'umile perseveranza vince l'Invincibile. Se l'assiduità e l'importunità della vedova evangelica piegarono alle sue richieste il giudice colmo di ogni malvagità (cfr. Lc 18,1-8), come non avranno forza di trarre alle nostre preghiere la stessa pienezza di tutti i beni?
Perciò, anche se dopo l'orazione il Signore tardasse a venire e ad esaudirti, anzi ti mostrasse segni contrari, continua pure a pregare e a tenere ferma e viva la fiducia nel suo aiuto: infatti in lui non mancano mai, anzi sovrabbondano in misura infinita tutte quelle cose necessarie per concedere grazie agli altri. Per cui se il difetto non è dalla tua parte, sta pur sicura di ottenere sempre tutto ciò che chiederai o altro per te più utile, oppure quello e questo insieme.
E quanto più ti sembrasse di essere respinta, tanto più umiliati agli occhi tuoi, e considerando i tuoi demeriti, con il pensiero fermo nella divina pietà, aumenta sempre in essa la tua confidenza. La quale, mantenendosi viva e salda, quanto più sarà contrastata tanto più piacerà a nostro Signore.
Rendigli poi sempre grazie riconoscendolo per buono, sapiente e amoroso persino quando alcune cose ti sono negate, come se ti fossero concesse, restando in qualunque avvenimento stabile e allegra nell'umile sottomissione alla sua divina provvidenza.

CAPITOLO XLV
Che cos'è l'orazione mentale

L'orazione mentale è un'elevazione della mente a Dio con attuale o virtuale domanda di quello che si desidera.
La domanda attuale si fa quando con parole mentali si chiede la grazia in questo modo o in uno simile: “Signore Dio mio, concedimi questa grazia a onore tuo”. Ovvero così: “Signore mio, io credo che ti piaccia e sia tua gloria che ti domandi e abbia questa grazia; compi dunque ormai in me il tuo divino beneplacito”.
E quando sei di fatto combattuta dai nemici, pregherai in questo modo: “Dio mio, sii pronto ad aiutarmi perché non ceda ai nemici”. Oppure: “Dio mio, rifugio mio, fortezza dell'anima mia, soccorrimi presto perché non cada”. E continuando la battaglia, continua anche tu questo modo di pregare e resisti sempre virilmente a chi combatte contro di te.
Terminata poi l'asprezza della guerra e rivolta al tuo Signore, mostragli il nemico che ti ha combattuta e la tua svogliatezza nel resistergli, dicendo: “Ecco, Signore, la creatura opera delle tue mani e per somma tua bontà redenta dal tuo sangue. Ecco il tuo nemico, che tenta di levarla da te e divorarla. Signore mio, a te ricorro, confido in te solo che sei onnipotente, buono, e vedi la mia impotenza e la prontezza a rendermi volontariamente soggetta al nemico senza il tuo aiuto. Aiutami dunque, speranza mia e fortezza dell'anima mia”.
La domanda virtuale si ha quando alziamo la mente a Dio per ottenere qualche grazia, mostrandogliene il bisogno senza dire o ragionare di nulla. Come quando, ad esempio, io elevo la mente a Dio, e alla sua presenza mi riconosco impotente a difendermi dal male e a fare il bene e, acceso del desiderio di servirlo, aspettando con umiltà e fede il suo aiuto, guardo attentamente lo stesso Signore. Questa siffatta conoscenza, questo ardente desiderio e questa fede davanti a Dio è un'orazione che virtualmente chiede quello di cui ho bisogno; e quanto più la suddetta conoscenza sarà chiara e sincera e il suddetto desiderio acceso e viva la fede, tanto più efficacemente si chiederà.
Vi è anche un altro genere più preciso di orazione virtuale, che si fa con un semplice sguardo della mente a Dio perché ci soccorra. Tale sguardo non è altro che un tacito ricordo e una tacita domanda di quella grazia che precedentemente avevamo richiesta.
Figliuola, fa' in modo d'apprendere bene questa specie di orazione e di rendertela familiare, perché, come l'esperienza ti mostrerà, è un'arma che facilmente in ogni occasione e in ogni luogo puoi avere a disposizione ed è di maggior valore e giovamento di quanto io ne sappia dire.

CAPITOLO XLVI
L'orazione sotto forma di meditazione

Volendo pregare per qualche spazio di tempo, ad esempio di mezz'ora o di un'ora intera e più, all'orazione aggiungerai la meditazione della vita e della passione di Gesù Cristo applicando sempre le sue azioni a quella virtù che desideri. Così, se desideri ottenere la grazia della virtù della pazienza, prenderai ad esempio a meditare alcuni punti del mistero della flagellazione.
Primo. Come dopo l'ordine dato da Pilato, con grida e scherni il Signore fu trascinato dai ministri della malvagità al luogo designato per flagellarlo.
Secondo. Come con frettolosa rabbia fu da essi svestito e ne restarono tutte scoperte e nude le sue carni purissime.
Terzo. Come le sue mani innocenti, strette con una ruvida corda, furono legate alla colonna.
Quarto. Come il suo corpo fu tutto lacerato e strappato dai flagelli, per cui grondarono fino a terra i rivoli del suo sangue divino.
Quinto. Come, aggiungendosi percosse a percosse in uno stesso luogo, si esacerbarono sempre più le piaghe già fatte.
Così avendoti proposto questi o simili punti da meditare per acquistare la pazienza, applicherai prima i sensi a sentire il più vivamente possibile le amarissime angosce e le pene acerbe sostenute dal tuo caro Signore in ciascuna parte del suo sacratissimo corpo e in tutte insieme. Quindi passerai alla sua santissima anima, penetrando quanto si può nella pazienza e nella mansuetudine con cui sopportava tante afflizioni, non saziando però mai la fame di patire, in onore del Padre e per nostro beneficio, maggiori e più atroci tormenti.
Contemplalo poi acceso di un vivo desiderio che tu voglia sopportare il tuo travaglio, o vedi come ancora rivolto al Padre prega per te che si degni farti la grazia di portare pazientemente la croce, che allora ti tormenta, e qualunque altra. Perciò tu, piegando più volte la volontà a voler tollerare il tutto con animo paziente, volgi poi la men-te al Padre; e ringraziandolo prima che per sua pura cari-tà ha mandato al mondo il suo unigenito Figliuolo a sop-portare tanti aspri tormenti e a pregare per te, domanda-gli poi la virtù della pazienza in forza delle opere e delle preghiere del suo Figliuolo.

CAPITOLO XLVII
Un altro modo di pregare meditando

Potrai anche pregare e meditare in un altro modo.
Dopo aver considerato attentamente le afflizioni del Si-gnore e visto col pensiero la prontezza d'animo con cui le sosteneva, dalla grandezza dei suoi travagli e dalla sua pazienza passerai a due altre considerazioni: l'una del suo merito; l'altra del compiacimento e della gloria che l'eter-no Padre riceveva dalla perfetta obbedienza del suo Fi-gliuolo crocifisso (cfr. Fil 2,8; Eb 5,8).
Presentando a sua divina Maestà queste due cose, in virtù di esse chiederai la grazia che desideri. E potrai fare ciò non solo in ciascun mistero della passione del Signo-re, ma in ogni atto particolare interiore ed esteriore da lui fatto in ciascun mistero.

CAPITOLO XLVIII
Un modo di pregare per intercessione di Maria Vergine

Oltre a quelli suddetti, vi è un altro modo di meditare e di pregare per intercessione di Maria Vergine rivolgendo la mente prima all'eterno Dio, poi al dolce Gesù e infine alla stessa gloriosissima madre.
Rivolta a Dio, considera due cose. L'una sono i diletti che egli “ab aeterno”, considerato in Maria, prendeva di se stesso prima che ella fosse tratta dal nulla. L'altra sono le virtù e le azioni di lei dopo essere venuta al mondo.
I diletti così li mediterai. Sollevati in alto col pensiero sopra ogni tempo e sopra ogni creatura; entrata poi nella stessa eternità e nella mente di Dio, considera le delizie che di se stesso prendeva in Maria Vergine. Dopo aver trovato il medesimo Dio tra questi diletti, in forza di essi chiedi con sicurezza grazia e forza per la distruzione dei tuoi nemici e particolarmente di quello che allora ti combatte. Passando poi alla considerazione delle tante e così singolari virtù e azioni della madre santissima e presentandole a Dio ora tutte insieme, ora alcune di esse, in virtù di quelle chiedi alla sua infinita bontà secondo ogni tuo bisogno.
Rivolgendo poi la mente al Figliuolo, gli ricorderai il seno verginale che per nove mesi lo portò; la riverenza con la quale dopo la nascita la Vergine lo adorò e lo riconobbe per vero uomo e vero Dio, Figliuolo e Creatore suo; gli occhi pietosi che lo videro tanto povero e le braccia che lo raccolsero; i cari baci con cui ella lo baciò; il latte con cui lo nutrì, le fatiche e le angosce per lui sostenute in vita e in morte. In virtù di tutte queste cose farai dolce violenza al divin Figliuolo, perché ti esaudisca.
Infine rivolta alla santissima Vergine, ricordale che dall'eterna provvidenza e bontà è stata eletta madre di grazia e di pietà e avvocata nostra. Perciò dopo il suo benedetto Figliuolo non abbiamo più sicuro e potente rifugio che in lei. Inoltre ricordale quella verità che di lei si scrive e alla quale si è pervenuti per tanti e tanti interventi miracolosi: cioè che mai nessuno l'abbia invocata con fede ed ella non gli abbia pietosamente risposto. Finalmente le presenterai i travagli che il suo unico Figliuolo tollerò per la nostra salvezza, pregandola di impetrarti grazia da lui perché a sua gloria e soddisfazione essi abbiano in te quell'effetto per il quale egli li sostenne.

CAPITOLO XLIX
Alcune considerazioni per ricorrere con fede e con confidenza a Maria Vergine

Volendo tu ricorrere a Maria Vergine con fede e con confidenza in ogni tuo bisogno, potrai conseguirle tutte e due in forza delle seguenti considerazioni.
Primo. Già si sa per esperienza che tutti quei vasi dove è stato del muschio o qualche liquore prezioso ritengono un poco del loro odore, benché essi non vi siano più; e questo tanto più avviene quanto più spazio di tempo vi
fossero stati , e molto più se ancora in qualche modo ve ne fossero rimasti: eppure il muschio è di virtù limitata e finita, e così ogni liquore prezioso. Per lo stesso motivo chi sta vicino a un gran fuoco ne ritiene per molto tempo il calore, benché s'allontani da esso.
Essendo questo vero, di che fuoco di carità, di quali sentimenti di misericordia e di pietà diremo noi che sia bruciato, e sia pieno, l'intimo di Maria Vergine? Ella infatti ha portato per nove mesi nel suo grembo verginale e sempre porta nel cuore pieno d'amore il Figliuolo di Dio che è la stessa carità, misericordia e pietà, non già di virtù finita e limitata, ma infinita e senza termine alcuno.
Pertanto, come chi si accosta a un gran fuoco non può non ricevere del suo calore, così e molto più ogni bisognoso riceverà aiuti, favori e grazie, se con umiltà e con fede si accosterà al fuoco di carità, di misericordia e di pietà che sempre arde nel cuore di Maria Vergine; e tanto più ne riceverà, quanto più spesso e con maggior fede e confidenza vi si accosterà.
Secondo. Nessuna creatura ha mai amato tanto Gesù Cristo né fu tanto conformata alla sua volontà, quanto la sua madre santissima. Se dunque lo stesso Figliuolo di Dio, che ha speso tutta la sua vita e tutto se stesso per i bisogni di noi peccatori, ci ha dato la madre sua come nostra madre e avvocata perché ci aiuti e sia dopo di lui mezzo di salvezza per noi, in qual modo potrà mai questa madre e avvocata nostra mancarci e diventare ribelle alla volontà del Figlio?
Figliuola, ricorri pure con confidenza in ogni tuo bisogno alla santissima madre Maria Vergine, perché ricca e beata è questa confidenza e sicuro è il rifugio in colei che tuttora concede grazie e misericordie.

CAPITOLO L
Un modo di meditare e di pregare per intercessione degli angeli e di tutti i beati

Per servirti in questo dell'aiuto e del favore degli angeli e dei santi del cielo, potrai seguire due metodi.
Primo. Rivolgiti all'eterno Padre e presentagli sia l'amore e le lodi con cui è esaltato da tutta la corte celeste, sia le fatiche e le pene sofferte dai santi sulla terra per suo amore; e a causa di tutte queste cose, chiedi alla sua divina Maestà tutto ciò di cui hai bisogno.
Secondo. Ricorri agli spiriti gloriosi come a coloro che non solo bramano la nostra perfezione, ma desiderano vivamente che noi siamo collocati anche su di un trono più alto del loro; e supplicali perché ti portino aiuto contro tutti i tuoi vizi e contro tutti i tuoi avversari e ti proteggano nell'ora della morte.
Alcune volte ti metterai a considerare le molte singolari grazie che hanno ricevute dal sommo Creatore, eccitando in te un vivo sentimento di amore e di gioia verso di loro in quanto sono ricchi di tanti doni, come se fossero tuoi. Anzi ti rallegrerai, se è possibile, che tali doni li abbiano più gli spiriti gloriosi che non tu, poiché questa fu la volontà di Dio: ne sia perciò egli lodato e ringraziato.
Per fare questo esercizio con ordine e facilità, potrai dividere le schiere dei beati secondo i giorni della settimana in questa maniera.
La domenica prenderai i nove cori angelici.
Il lunedì: san Giovanni Battista.
Il martedì: i patriarchi e i profeti.
Il mercoledì: gli apostoli.
Il giovedì: i martiri.
Il venerdì: i pontefici con gli altri santi.
Il sabato: le vergini con le altre sante.
Ma non lasciare mai in ciascun giorno di ricorrere spesso a Maria Vergine, regina di tutti i santi, al tuo angelo custode, a san Michele arcangelo e a tutti i tuoi santi avvocati.
E ogni giorno prega Maria Vergine, il Figliuolo suo, il Padre celeste che ti facciano la grande grazia di darti per principale avvocato e protettore san Giuseppe, sposo della stessa Vergine; rivolta poi al medesimo santo, pregalo fiduciosamente di riceverti sotto la sua protezione.
Si narrano molte cose di questo glorioso santo e molti favori che da lui hanno ricevuto tutti quelli che hanno avuto devozione per lui e a lui sono ricorsi non solamente nei bisogni spirituali ma anche temporali, e specialmente nel formare le persone pie a ben pregare e meditare. Se Dio tiene tanto conto degli altri santi perché vivendo fra noi gli resero obbedienza e onore, quanto dobbiamo credere che da Dio sia stimato e presso Dio abbiano valore le preghiere di questo umilissimo e beatissimo santo! Egli fu talmente onorato in terra dallo stesso Dio, che volle sottomettersi a lui e come a padre obbedirgli e servirlo (cfr. Lc 2,5 1).

CAPITOLO LI
La meditazione della passione di Cristo per ricavarne diversi affetti

Quello che ho detto prima intorno alla passione del Signore, serve a pregare e a meditare per mezzo di domande. Ora aggiungo come possiamo trarre diversi affetti dalla stessa meditazione. Se per esempio ti proponi di meditare la crocifissione, in tale mistero fra gli altri punti puoi considerare i seguenti.
Primo. Come al Signore, che sul monte Calvario venne furiosamente spogliato da quelle genti furibonde, gli si strapparono a pezzi le carni attaccate ai vestiti per le precedenti battiture.
Secondo. Come gli fu tolta dal capo la corona di spine la quale, quando poi gli fu rimessa, fu per lui causa di nuove ferite.
Terzo. Come a colpi di martelli e di chiodi fu crudelmente confitto in croce.
Quarto. Come le sue sacre membra, non arrivando alle aperture fatte per conficcarvi i chiodi, furono tirate con tanta violenza da quei cani che le ossa tutte slogate si potevano numerare a una a una.
Quinto. Come pendendo il Signore sul duro legno e non avendo altro sostegno che quello dei chiodi, per il peso del corpo che scendeva in basso si allargarono e si inasprirono con indicibile dolore le sue sacratissime piaghe.
Da questi o da altri punti, volendo eccitare in te sentimenti di amore, studiati con la meditazione di essi di passare di conoscenza in maggior conoscenza dell'infinita bontà e dell'amore del tuo Signore verso di te: egli per te volle patire assai, così che quanto aumenterà in te questa conoscenza, tanto crescerà parimenti l'amore. Dalla stessa conoscenza della bontà e dell'amore infinito a te mostrati dal Signore, facilmente ne ricaverai contrizione e dolore di aver offeso tante volte e con tanta ingratitudine il tuo Dio, che per le tue iniquità è stato maltrattato e straziato in tante maniere.
Per indurti alla speranza, considera che in questo stato di tanta calamità è caduto un Signore così grande per estinguere il peccato e liberarti dai lacci del demonio e delle tue colpe particolari; per renderti propizio il suo eterno Padre e per darti fiducia di ricorrere a lui in ogni tuo bisogno. Allegrezza sentirai passando dalle sue pene ai loro effetti, e cioè considerando che per mezzo di quelle Gesù purifica i peccati di tutto il mondo, placa l'ira del Padre, confonde il principe delle tenebre, uccide la morte e riempie le sedie angeliche. Inoltre muoviti ad allegrezza per la gioia che ne riceve la santissima Trinità con Maria Vergine e la chiesa trionfante e militante.
Per incitarti all'odio dei tuoi peccati, applica a questo solo fine tutti i punti che mediterai come se il Signore non avesse patito per altro scopo che per indurti all'odio delle tue cattive inclinazioni, e di quella appunto che ti domina di più e più dispiace alla sua divina bontà.
Per muoverti a meraviglia, considera qual cosa può essere maggiore di questa: vedere il Creatore dell'universo, che dà vita a tutte le cose, perseguitato a morte dalle creature; vedere conculcata e umiliata la Maestà suprema, condannata la giustizia, sputacchiata la bellezza di Dio. Vedere odiato l'amore del Padre celeste; vedere ridotta in potere delle tenebre quella luce increata e inaccessibile; veder reputata disonore e vituperio del genere umano e inabissata nell'estrema miseria la stessa gloria e felicità.
Per compassionare il tuo addolorato Signore, oltre a meditare le sue pene esteriori, penetra col pensiero in altre senza paragone maggiori che internamente lo tormentavano. Che se per quelle ti affliggerai, sarebbe strano se per queste il tuo cuore non si spezzasse per il dolore.
L'anima di Cristo vedeva l'essenza divina come ora la vede in cielo; la conosceva degnissima oltre misura di ogni onore e di ogni servizio e a questo, per il suo ineffabile amore verso Dio, desiderava che tutte le creature si dedicassero con tutte le loro forze. Perciò vedendola, al contrario, in modo così assurdo offesa e disprezzata per le infinite colpe e abominevoli scelleratezze del mondo, l'anima di Cristo era nello stesso tempo trafitta da infinite punture di dolore. Queste tanto più lo tormentavano, quanto maggiore era il suo amore e il desiderio che così alta Maestà fosse da tutti onorata e servita.
E come la grandezza di questo amore e di questo desiderio non si può capire, così non vi è chi possa arrivare a conoscere quanto acerba e grave fosse l'afflizione interna del crocifisso Signore. Inoltre amando egli indicibilmente tutte le creature, nella misura di questo amore si addolorò sopra ogni dire per tutti i loro peccati a causa dei quali stavano per separarsi da lui: infatti per ogni peccato mortale che avevano e avrebbero fatto tutti gli uomini che furono e saranno, tante volte quante ciascuno peccava altrettante Cristo si separava dal Padre con il quale era congiunto per amore. Separazione tanto più dolorosa di quella delle membra corporali allorché si disgiungono dal loro luogo naturale, quanto più l'anima, essendo puro spirito e maggiormente nobile e perfetta del corpo, era capace di dolore.
Fra queste sofferenze a causa delle creature fu acerbissima quella provata dal Signore per tutti i peccati dei dannati i quali, non potendo mai più riunirsi a lui, stavano per patire eterni incomparabili tormenti. E se l'anima, intenerita per il suo caro Gesù, passerà più avanti con il pensiero, troverà da compatire in lui pene anche troppo gravi non solo per i peccati commessi, ma per quelli ancora che non furono mai commessi: infatti non vi è dubbio che nostro Signore a prezzo dei suoi preziosi travagli ci guadagnò il perdono di quelli e la preservazione da questi.
Figliuola, non ti mancheranno altre considerazioni per dolerti delle torture del tuo Crocifisso. Questo perché non c'è stato né ci sarà mai dolore alcuno in qualsiasi creatura ragionevole, che egli non abbia sentito in se stesso. Le ingiurie e le tentazioni, le infamie, le penitenze, ogni angustia e travaglio di tutti gli uomini del mondo tormentarono l'anima di Cristo più vivamente di quanto non tormentassero quegli stessi che le patirono. Infatti il pietosissimo nostro Signore vide perfettamente e nella sua immensa carità volle compatire e imprimere nel suo cuore tutte le loro grandi e piccole afflizioni dell'anima e del corpo, persino un minimo dolore di testa e una puntura d'ago.
Però non c'è chi possa spiegare quanto lo accorarono le pene della sua santissima madre: in tutti i modi e per tutti i motivi per cui il Signore si addolorò e patì, altrettanto in tutti si addolorò e patì la Vergine santa in maniera acerbissima benché non così intensamente. E gli stessi suoi dolori rinnovarono al suo benedetto Figliuolo le piaghe interne al punto tale che il suo dolcissimo cuore fu ferito come da tante frecce infuocate d'amore. Questo cuore, per tanti tormenti di cui ho parlato e per altri quasi infiniti a noi sconosciuti, ben si potrebbe dire che fosse un amoroso inferno di volontarie pene, come scrive un'anima devota, che con santa semplicità soleva così chiamarlo (Il testo è preso dal libro della beata Camilla Battista da Varano, Dolori mentali di Cristo, Il secondo dolore, Parigi 1660, p. 282, ndr).
Figliuola, se consideri bene la causa di tutti i suddetti dolori sopportati dal nostro crocifisso Redentore e Signore, altro non troverai che il peccato.
La conseguenza chiara è questa: il vero principale compatimento e il rendimento di grazie che egli da noi ricerca e che in maniera indicibile gli dobbiamo, consistono nel dolerci puramente per amor suo dell'offesa a lui arrecata, nell'odiare sopra ogni odio il peccato e nel combattere generosamente contro tutti i suoi nemici e le nostre cattive inclinazioni. E noi, spogliatici dell'uomo vecchio e delle sue opere, ci vestiamo dell'uomo nuovo (cfr. Ef 4,20-24) ornando l'animo nostro delle virtù evangeliche.

CAPITOLO LII
I frutti che si possono trarre dalla meditazione del Crocifisso.
L'imitazione delle sue virtù

Fra gli altri frutti, e sono molti, che devi trarre da questa santa meditazione, l'uno sia che non solo ti addolori dei tuoi peccati passati, ma ti affligga anche perché in te vivono disordinate passioni che hanno posto in croce il tuo Signore.
L'altro è che gli chieda perdono delle tue colpe e la grazia del perfetto odio di te stessa per non offenderlo più, anzi per amarlo e servirlo perfettamente per l'avvenire in ricompensa di tanti affanni sofferti per te: il che senza quest'odio santo non si può fare.
Il terzo è che tu con efficacia perseguiti a morte ogni tua cattiva inclinazione benché piccola.
Il quarto è che con ogni possibile sforzo cerchi di imitare le virtù del Salvatore che ha patito non solo per redimerci soddisfacendo per le nostre iniquità, ma anche per darci l'esempio onde noi seguiamo le sue sante orme (cfr. 1 Pt 2,2 1).
Qui ti propongo un modo di meditare che ti servirà a questo scopo. Per esempio: desiderando tu dunque di conquistare la pazienza per imitare il tuo Cristo, considera i seguenti punti.
Primo: quello che l'anima di Cristo, durante la sua passione, fa verso Dio.
Secondo: quello che Dio fa verso l'anima di Cristo.
Terzo: quello che l'anima di Cristo fa verso se stessa e verso il suo sacratissimo corpo.
Quarto: quello che Cristo fa verso di noi.
Quinto: quello che noi dobbiamo fare verso Cristo.
Considera dunque in primo luogo come l'anima di Cristo, stando tutta intenta in Dio, stupisce nel vedere che quell'infinita incomprensibile grandezza al cui confronto tutte le cose create sono come un puro niente, è sottoposta (stando però immobile nella sua gloria) a sopportare in terra trattamenti indegnissimi per l'uomo, da cui non ha ricevuto altro che infedeltà e ingiurie; e considera come l'adora, la ringrazia e tutta le si offre.
Secondo. Guarda in seguito cosa Dio fa verso l'anima di Cristo; come vuole e la spinge a sostenere per noi gli schiaffi, gli sputi, le bestemmie, i flagelli le spine e la croce, scoprendole il suo compiacimento di vederla tutta ricolmata di ogni sorta di obbrobri e di afflizioni.
Terzo. Da questo passa all'anima di Cristo. Pensa come, con il suo intelletto tutto lume scorgendo quanto sia grande in Dio questo compiacimento e con l'affetto tutto fuoco amando sua divina Maestà sopra ogni misura, sia per l'infinito suo merito sia per gli obblighi immensi che aveva verso di essa, essendo dalla suddetta Maestà invitata a patire per nostro amore e per nostro esempio, contenta e lieta si dispone a obbedire prontamente alla sua santissima volontà. E chi può penetrare dentro quei profondi desideri, che di ciò aveva quell'anima purissima e amorosissima? Quivi ella si trova quasi in un labirinto di travagli, cercando sempre e non trovando come vorrebbe nuovi modi e nuove vie di patimenti. E perciò liberamente dà tutta se stessa e le sue innocentissime carni al capriccio e in preda agli uomini iniqui e ai demoni dell'inferno, perché ne facciano quello che vogliono.
Quarto. Dopo questo guarda il tuo Gesù che, rivolto verso di te con occhi pietosi, ti dice: “Figliuola, per non volerti tu fare un poco di violenza, ecco dove mi hanno condotto le tue sregolate voglie. Ecco quanto patisco e quanto gioiosamente lo faccio, per tuo amore e per darti esempio di vera pazienza. Figliuola, per tutti i miei dolori ti prego di portare volentieri questa e ogni altra croce che a me piaccia di più, abbandonandoti completamente nelle mani di tutti i persecutori che ti darò, pur essendo vili e crudeli quanto più si possa contro il tuo onore e contro il tuo corpo. Se sapessi la consolazione che ne proverò!
Ma puoi ben vederla in queste ferite che, come care gioie, ho voluto ricevere per ornare di preziose virtù la povera anima tua da me amata al di sopra di ogni tua valutazione. E se io per questo sono ridotto in così estremo stato, perché, sposa mia cara, non vorrai tu patire un poco per dare soddisfazione al mio cuore e addolcire quelle piaghe causatemi dalla tua impazienza, che così amaramente mi afflisse più delle stesse piaghe?
”.
Quinto. Pensa poi bene chi sia colui il quale così ragiona con te e vedrai che è lo stesso re di gloria, Cristo vero Dio e vero uomo. Considera la grandezza dei suoi tormenti e obbrobri, che sarebbero indegni del più infame ladro del mondo. Vedi il tuo Signore rimanere non solo immobile e sorprendentemente paziente fra tanti strazi, ma addirittura goderne come si trattasse di sue nozze. Come con meno acqua meglio arde il fuoco, così con l'aumento dei tormenti, considerati piccoli dalla sua sovrabbondante carità, cresceva sempre più il godimento e la brama di soffrirne di maggiori. Considera che il clementissimo Signore ha patito e operato tutto ciò non per forza né per suo interesse, ma, come egli ti ha detto, per amore verso di te e perché tu a sua imitazione ti eserciti nella virtù della pazienza. Penetrando ben addentro a quello che egli vuole da te e alla gioia che gli darai esercitandoti in questa virtù, produci atti di ardente desiderio di portare non solo pazientemente ma con allegrezza la tua croce presente e ogni altra, anche se più grave, per meglio imitare il tuo Dio e dargli maggior conforto.
Ponendoti davanti agli occhi della mente le sue ignominie e amarezze gustate per te e la sua costanza e sofferenza, vergognati di ritenere che la tua sia anche soltanto ombra di pazienza e che i tuoi siano veri dolori e obbrobri. Temi e trema che anche un minimo pensiero di non voler patire per amore del tuo Signore trovi modo di fermarsi sia pure un poco nel tuo cuore.
Questo Signore crocifisso, figliuola mia, è il libro che io ti do a leggere e dal quale tu potrai ricavare il vero ritratto di ogni virtù: essendo libro di vita, non solo ammaestra l'intelletto con parole, ma infiamma anche la volontà con il vivo esempio. Di libri è pieno il mondo intero e nondimeno non possono tutti insieme insegnare così perfettamente il modo di acquistare tutte le virtù, come si fa invece fissando lo sguardo in Dio crocifisso.
Figliuola, sappi una cosa: coloro i quali spendono molte ore nel piangere la passione di nostro Signore e nel considerare la sua pazienza, e poi nelle avversità che sopraggiungono si mostrano così impazienti come se nell'orazione avessero appreso tutt'altra cosa, sono simili ai soldati del mondo. Costoro, sotto le tende, prima del tempo della battaglia, si ripromettono cose grandi, ma poi al comparire dei nemici lasciano le armi e si danno alla fuga. E qual cosa può essere più stolta e più miserabile di questa: vedere come in lucido specchio le virtù del Signore, amarle, ammirarle, e poi dimenticarsene del tutto o non stimarle quando si presenta l'occasione di esercitarle?

CAPITOLO LIII
Il santissimo sacramento dell'eucaristia

Come hai già visto, figliuola, fin qui ti ho provveduta di quattro armi di cui avevi bisogno per vincere i tuoi nemici e di molti avvertimenti per maneggiarle bene. Ora però mi resta da proportene un'altra, che è il santissimo sacramento dell'eucaristia. E come questo sacramento supera tutti gli altri sacramenti, così questa quinta arma è superiore a tutte le altre.
Le quattro suddette prendono il valore dai meriti e dalla grazia ottenutaci dal sangue di Cristo, ma quest'arma è il sangue stesso e la carne con l'anima e la divinità di Cristo. Con quelle si combatte contro i nemici con la virtù di Cristo. Con questa combattiamo contro quelli insieme con Cristo e Cristo li combatte insieme con noi, perché chi mangia la carne di Cristo e beve il suo sangue rimane con Cristo e Cristo rimane con lui (cfr. Gv 6,56-57).
E poiché quest'arma può essere maneggiata e questo santissimo sacramento può essere ricevuto in due modi: sacramentalmente una volta al giorno e spiritualmente ogni ora e ogni momento, nel secondo modo devi usare spessissimo quell'arma e nel primo modo ogniqualvolta ti concesso.

CAPITOLO LIV
Il modo di ricevere il santissimo sacramento dell'eucaristia

Per diversi fini possiamo noi accostarci a questo divinissimo sacramento e per conseguirli dobbiamo fare diverse cose divise in tre tempi: prima della comunione; quando stiamo per comunicarci e dopo la comunione.
Prima della comunione, anche se la riceviamo per una qualsiasi finalità, abbiamo bisogno di lavarci e di mondarci con il sacramento della penitenza dalla macchia di peccato mortale qualora vi fosse. Dopo è necessario che con tutto l'affetto del cuore offriamo noi stessi con tutta l'anima, con tutte le forze e con tutte le facoltà a Gesù Cristo e a quanto piace a lui, poiché egli in questo santissimo sacramento dà a noi il suo sangue e la sua carne con l'anima, con la divinità e con i suoi meriti. E considerando che poco o quasi niente è il nostro dono rispetto al suo, dobbiamo desiderare di avere quanto gli hanno offerto e dato tutte le creature umane e celesti per offrirlo a sua divina Maestà.
Perciò volendolo tu ricevere allo scopo che in te siano vinti e distrutti i tuoi e i suoi nemici, prima della comunione comincia dalla sera o quanto prima a considerare il desiderio che ha il Figliuolo di Dio che tu gli faccia spazio nel tuo cuore con questo santissimo sacramento, per unirsi con te a aiutarti a espugnare ogni tua viziosa passione. Questo desiderio è così grande e immenso in nostro Signore, che da creato intelletto non può essere compreso.
Tu, per rendertene in qualche modo capace, t'imprimerai bene nella mente due cose.
Una è l'ineffabile compiacimento di Dio sommamente buono di starsene con noi: questo egli chiama sue delizie (cfr. Pro 8,3 1).
L'altra consiste nel considerare che egli odia sopra ogni cosa il peccato, sia come impedimento e ostacolo alla sua unione con noi da lui tanto bramata, sia come in tutto contrario alle sue divine perfezioni. Essendo Dio sommo bene, pura luce e bellezza infinita, non può non odiare e detestare infinitamente il peccato: esso non è altro che tenebre, difetto e macchia intollerabile delle nostre anime.
E' così ardente quest'odio del Signore contro il peccato, che alla sua distruzione sono state ordinate tutte le opere dell'Antico e del Nuovo Testamento, e particolarmente quelle della sacratissima passione del suo Figliuolo, il quale, dicono gli illuminati servi di Dio, per annullare in noi ogni nostra ben piccola colpa di nuovo (se ve ne fosse bisogno) si esporrebbe a ben mille morti.
Da queste considerazioni tu riuscirai a comprendere sia pure molto imperfettamente il grande desiderio del Signore di entrare nel tuo cuore, per scacciarne e abbattere del tutto i tuoi e i suoi nemici: perciò accenderai in te una viva voglia di riceverlo per lo stesso scopo. Diventata così tutta generosa e animata dalla speranza della venuta in te del tuo celeste Capitano, chiama più volte a battaglia la passione che hai presa di mira per vincerla; reprimila poi con replicate avverse voglie, producendo atti di virtù contrari a quella passione. E così andrai continuando la sera e la mattina prima della santissima comunione.
Quando poi stai per ricevere il santissimo sacramento, un poco prima darai un breve sguardo alle tue mancanze a cominciare dalla precedente comunione fino a ora. Esse sono state da te commesse come se Dio non ci fosse né avesse tanto sopportato per te nei misteri della croce, facendo tu più conto di una vile soddisfazione e delle tue voglie che della volontà di Dio e del suo onore. Quindi con vergogna di te stessa e con un santo timore ti confonderai nella tua ingratitudine e nella tua indegnità. Ma pensando poi che l'abisso smisurato della bontà del tuo Signore chiama l'abisso della tua ingratitudine e della tua poca fede, avvicinati a lui con fiducia dandogli largo spazio nel cuore perché ne diventi padrone assoluto. E soltanto allora gli darai largo spazio, quando da questo cuore manderai via qualunque affetto per le creature, chiudendolo dopo perché non vi entri altro che il tuo Signore.
Ricevuta la comunione, ritirati subito nel segreto del tuo cuore: avendolo prima adorato, con ogni umiltà e riverenza ragiona mentalmente così con il tuo Signore: “Tu vedi, unico mio bene, quanto facilmente io ti offenda e quanto prevalga contro di me questa passione da cui non posso liberarmi da solo. Però questa battaglia è principalmente tua e da te solo spero la vittoria, benché a me spetti ancora combattere”. Rivolta poi all'eterno Padre, per rendimento di grazie e per la vittoria di te stessa offrigli il suo benedetto Figliuolo, che egli ti ha dato e che già tieni dentro di te. Combattendo generosamente contro la suddetta passione, con fede aspetta la vittoria da Dio: anche se la ritardasse essa non ti mancherà, se da parte tua tu farai quanto potrai.

CAPITOLO LV
Come ci dobbiamo preparare alla comunione per eccitare in noi l'amore

Per stimolarti con questo sovraceleste sacramento ad amare il tuo Dio, ti volgerai col pensiero all'amore suo verso di te meditando dalla sera precedente su questo punto: come quel grande e onnipotente Signore, non contento di averti creata a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1,26), non contento di aver mandato in terra il suo unigenito Figliuolo a patire trentatré anni per le tue iniquità, a sopportare asprissimi travagli e la penosa morte di croce per redimerti, volle anche lasciartelo per tuo cibo e per tua utilità nel santissimo sacramento dell'altare.
Considera bene, figliuola, le incomprensibili superiorità di questo amore: esse lo rendono perfettissimo e singolare in tutte le sue parti.
Primo. Perché se miriamo al tempo, il nostro Dio ci ha amati perpetuamente e senza alcun principio; e quanto egli è eterno nella sua divinità, tanto ancora eterno è il suo amore con cui prima di tutti i secoli fu stabilito nella sua mente di darci il suo Figliuolo in questa maniera meravigliosa. Perciò giubilandone a causa dell'interna letizia, così potrai dire: “Dunque in quell'abisso di eternità la mia piccolezza era tanto stimata e amata dal sommo Dio, che egli pensava a me e con sentimenti di carità ineffabile bramava di darmi in cibo il suo stesso Figliuolo?”.
Secondo. Inoltre tutti gli altri amori, anche se grandi, hanno qualche termine né possono estendersi più in là, ma solo questo di nostro Signore è senza misura. E volendo perciò soddisfare in pieno se stesso, egli ha dato il proprio Figliuolo uguale a lui nella maestà infinita, di una stessa sostanza e natura. Per cui tanto è l'amore quanto il dono e tanto il dono quanto l'amore; l'uno e l'altro sono così grandi, che nessun intelletto può immaginare grandezza maggiore.
Terzo. Dio non è stato spinto ad amarci da alcuna necessità o forza, ma unicamente la sua intrinseca naturale bontà l'ha mosso a tale e tanto incomprensibile affetto verso di noi.
Quarto. Non ha potuto precedere nessun'opera oppure merito nostro perché quell'immenso Signore mostrasse verso la nostra meschinità un amore tanto eccessivo, ma per sua sola liberalità egli si è donato completamente a noi indegnissime sue creature.
Quinto. E se ti rivolgi col pensiero alla purezza di questo amore, vedrai che non è mescolato a interesse alcuno come gli amori mondani: infatti nostro Signore non ha bisogno dei nostri beni, essendo egli senza di noi felicissimo e gloriosissimo in se stesso. Perciò la sua ineffabile bontà e carità sono state puramente effuse in noi non per suo, ma per nostro beneficio.
Pensando bene a questo, tu dirai fra te medesima: “Com'è possibile che a un Signore tanto sublime stia a cuore una creatura cosi vile? Che vuoi tu, re di gloria; cosa aspetti da me, che non sono altro che un po' di polvere? Dio mio, nella luce della tua ardente carità io scorgo bene che tu hai un solo disegno capace di scoprirmi più chiaramente la purezza del tuo amore verso di me, poiché ti doni a me tutto in cibo non per altro che per trasformarmi tutta in te. E questo non perché tu abbia bisogno di me, ma perché, vivendo tu in me e io in te, diventi te stesso per unione amorosa, e della viltà del mio cuore terreno si faccia con te un solo divino cuore”.
Perciò tu, piena di gioioso stupore, vedendoti così altamente apprezzata e amata da Dio e conoscendo che egli con il suo amore onnipotente altro non intende né vuole da te che attirare in sé tutto il tuo amore, allontanati prima da tutte le creature e poi anche da te stessa che sei creatura, e offriti tutta al tuo Signore in olocausto: da questo momento in poi il solo suo amore e beneplacito divino muovano l'intelletto, la volontà, la tua memoria, e reggano i tuoi sensi.
Vedendo poi che nessuna cosa possa produrre in te effetti così divini come il ricercarlo degnamente nel santissimo sacramento dell'altare, a tale scopo apri il cuore al Signore con le seguenti preghiere giaculatorie e aspirazioni amorose: “O cibo sovraceleste! Quando suonerà quell'ora in cui io mi sacrifichi tutta a te non con altro fuoco che quello del tuo amore? Quando, quando, o Amore increato? O pane vivo! Quando io vivrò solamente in te, per te e con te? Quando, vita mia, vita bella, gioconda ed eterna? O manna celeste! Quando, infastidita io di qualunque altro cibo terreno, te solo bramerò e di te solo mi pascerò? Quando sarà, dolcezza mia? Quando, unico mio bene? Signore mio amoroso e onnipotente, libera ormai questo misero cuore da ogni attaccamento e da ogni viziosa passione; ornalo delle tue sante virtù e di quella pura intenzione di fare ogni cosa solamente per piacere a te. A questo modo verrò io ad aprirti il cuore, ti inviterò e ti farò dolce violenza perché vi entri: per cui tu, o Signore, senza resistenza opererai poi in me quegli effetti che hai sempre desiderati”. E in questi amorosi affetti ti potrai esercitare la sera e la mattina per la preparazione alla comunione.
Avvicinandosi quindi il tempo della comunione, pensa a che cosa stai per ricevere: il Figliuolo di Dio d'incomprensibile maestà, davanti alla quale tremano i cieli e tutte le potestà. Il Santo dei santi, lo specchio senza macchia e la purezza incomprensibile, al cui confronto nessuna creatura è monda. Colui che come verme e feccia della plebe (cfr. SI 22,7) per amor tuo volle essere rifiutato calpestato, deriso, sputacchiato e crocifisso dalla malizia e dalla iniquità del mondo.
Dico che stai per ricevere Dio, nelle cui mani è la vita e la morte di tutto l'universo Che tu al contrario, in te stessa, sei un niente e che per il tuo peccato e la tua malizia ti sei fatta inferiore a qualunque vilissima e immonda creatura irrazionale, degna di essere confusa e derisa da tutti i demoni infernali. E dico che invece di aver gratitudine per tanti immensi e innumerevoli benefici, nei tuoi capricci e nelle tue voglie hai disprezzato un tanto e tale alto amorevole Signore e hai oltraggiato il suo prezioso sangue. Che con tutto ciò, nella sua perpetua carità e nella sua immutabile bontà, egli ti chiama alla sua divina mensa e talora ti costringe con minacce di morte perché ci vada. Né ti chiude la porta della sua pietà e nemmeno ti volta le sue divine spalle, benché tu per natura sia lebbrosa, zoppa, idropica, cieca, indemoniata e ti sia data a molti fornicatori.
Questo solo il Signore vuole da te.
Primo: che ti dolga di averlo offeso.
Secondo: che sopra ogni altra cosa abbia in odio il peccato sia grave che leggero.
Terzo: che tutta ti offra e ti abbandoni, con l'affetto sempre e con i fatti nelle occasioni, alla sua volontà e all'obbedienza a lui.
Quarto: che speri poi e abbia ferma fede che egli ti perdonerà, ti farà monda e ti guarderà da tutti i tuoi nemici.
Confortata da quest'amore ineffabile del Signore, ti avvicinerai poi per comunicarti con un timore santo e amoroso dicendo: “Signore, non sono degna di riceverti per tante e tante volte in cui ti ho offeso gravemente, né ho ancora pianto come devo l'offesa tua. Signore, non sono degna di riceverti, perché non sono affatto monda dagli affetti ai peccati veniali. Signore, non sono degna di riceverti, perché ancora non mi sono data sinceramente al tuo amore, alla tua volontà e all'obbedienza a te. Signore mio onnipotente e infinitamente buono, in virtù della tua bontà e della tua parola fammi degna di riceverti con questa fede, amor mio”.
Dopo esserti comunicata, rinchiuditi subito nel segreto del tuo cuore e, dimentica di qualunque cosa creata, ragiona con il tuo Signore in questo modo o in uno simile: “O altissimo re del cielo! Chi ti ha condotto dentro di me, che sono miserabile, povera, cieca e ignuda?”. Ed egli ti risponderà: “L'amore”. E tu replicando dirai: “O Amore increato! O Amore dolce! Che cosa vuoi tu da me?”. Egli ti dirà: “Non altro che amore. Né altro fuoco voglio che arda sull'altare del tuo cuore, nei tuoi sacrifici e in tutte le tue opere che il fuoco del mio amore che, consumando ogni altro amore e ogni tua volontà, mi dia odore soavissimo. Questo ho domandato e domando sempre, perché bramo di essere tutto tuo e che tu sia tutta mia. Ciò non avverrà giammai finché, non facendo di te quell'abbandono che tanto mi diletta, sarai attaccata all'amore di te stessa, al tuo parere e a ogni tua voglia e reputazione. Ti domando l'odio di te stessa, per darti il mio amore; il tuo cuore, perché si unisca con il mio che per questo mi fu aperto sulla croce (cfr. Gv 19,33-34); e chiedo tutta te stessa, perché io sia tutto tuo. Tu vedi che io sono d'incomparabile prezzo e tuttavia per mia bontà valgo quanto vali tu. Comprami dunque ormai, anima mia diletta, col dare te a me. Io voglio da te, mia dolce figliuola, che tu niente voglia, niente pensi, niente intenda, niente veda fuori di me e della mia volontà, affinché io in te tutto voglia, pensi, intenda e veda in modo che il tuo niente, assorto nell'abisso della mia infinità, in quella si converta. Così tu sarai in me pienamente felice e beata, e io in te tutto contento”.
Finalmente offrirai al Padre il suo Figliuolo prima per rendimento di grazie e poi per i bisogni tuoi, di tutta la santa chiesa, di tutti i tuoi, di quelli ai quali sei obbligata e per le anime del purgatorio. Questa offerta la farai in ricordo e in unione con quella che egli fece di se stesso quando, pendendo dalla croce tutto sanguinante, si offri al Padre. E in questo modo gli potrai ancora offrire tutti i sacrifici, che in quel giorno si fanno nella santa chiesa romana.

CAPITOLO LVI
La comunione spirituale

Benché non si possa ricevere sacramentalmente il Signore più di una volta al giorno, tuttavia spiritualmente si può ricevere (come ho detto) ogni ora e ogni momento; e questo non ci può essere impedito da nessuna creatura fuorché dalla negligenza o da altra nostra colpa. E alle volte questa comunione sarà tanto fruttuosa e cara a Dio, quanto forse non saranno molte altre comunioni sacramentali per difetto di coloro che le ricevono.
Quante volte dunque ti disporrai e ti preparerai a tale comunione, troverai pronto il Figliuolo di Dio, che con le proprie mani ti ciba spiritualmente di se stesso. Per prepararti a ciò, rivolgiti con la mente a lui con questo fine; e con un breve sguardo alle tue mancanze addolorati con lui per averlo offeso, e con ogni umiltà e fede pregalo che si degni venire nella tua povera anima con nuova grazia, per sanarla e fortificarla contro i nemici.
Oppure quando sei per farti violenza e mortificarti in qualunque tuo appetito o stai per fare qualche atto di virtù, fa' tutto allo scopo di preparare il tuo cuore per il Signore che continuamente te lo chiede. E rivolgendoti poi a lui, chiamalo col desiderio che venga con la sua grazia a sanarti e liberarti dai nemici, perché egli solo possieda il tuo cuore. Ovvero ricordandoti della passata comunione sacramentale, di' con cuore acceso: “Quando, mio Signore, ti riceverò un'altra volta? Quando, quando?”. Se vorrai prepararti e comunicarti spiritualmente in modo più conveniente, indirizza dalla sera precedente tutte le mortificazioni, gli atti virtuosi e ogni altra opera buona allo scopo di ricevere spiritualmente il tuo Signore.
Di buon mattino, considerando quale bene e quale felicità prova quell'anima che degnamente riceve il santissimo sacramento dell'altare (poiché in esso le virtù perdute si riacquistano, l'anima ritorna alla primitiva bellezza e le si comunicano i frutti e i meriti della passione dello stesso Figliuolo di Dio) e quanto piace a Dio che noi lo riceviamo e abbiamo i detti beni, studiati di accendere nel cuore tuo un desiderio grande di riceverlo per piacere a lui.
E accesa che sarai di questo desiderio, rivolgiti a lui dicendogli: “Signore, in questo giorno non mi è concesso di riceverti sacramentalmente. Ma, o bontà e potenza increata, dopo avermi perdonato ogni errore e avermi sanata, fa' che ti riceva spiritualmente in maniera degna adesso, ogni ora e ogni giorno col darmi nuova grazia e fortezza contro tutti i nemici, e particolarmente contro questo a cui per piacere a te io faccio guerra”.

CAPITOLO LVII
Il rendimento di grazie

Perché tutto il bene che abbiamo e facciamo è di Dio e da Dio, gli dobbiamo rendere grazie di ogni nostro buon esercizio, di ogni vittoria e di tutti i benefici particolari e comuni ricevuti dalla sua pietosa mano. E per fare questo nel debito modo, si deve considerare il fine per cui il Signore si muove a comunicarci le sue grazie, perché da questa considerazione e da questa conoscenza si impara in qual modo Dio voglia essere da noi ringraziato.
Siccome in ogni beneficio il Signore principalmente intende avere l'onore per sé e attirare noi all'amore e al servizio suo, prima fa' con te stessa questa considerazione: “Con quale potenza, sapienza e bontà il mio Dio mi ha concesso e mi ha fatto questo beneficio e questa grazia!”.
Poi, vedendo che in te (come proveniente da te) non c'è cosa degna di alcun beneficio, anzi non c'è altro che demeriti e ingratitudine, con profonda umiltà dirai al Signore: “E com'è, Signore, che ti degni guardare un cane morto, facendomi tanti benefici? Sia benedetto il tuo nome nei secoli dei secoli”.
Finalmente, vedendo che con il beneficio egli vuole essere da te amato e servito, infiammati d'amore verso un Signore tanto amoroso e del desiderio sincero di servirlo come a lui piace. E perciò a questo aggiungerai una piena offerta, che farai nel seguente modo.

CAPITOLO LVIII
L'offerta

Perché l'offerta di te stessa sia gradita a Dio sotto tutti i punti di vista, ha bisogno di due cose: una è l'unione con le offerte fatte da Cristo al Padre; l'altra è che la tua volontà sia distaccata da qualunque attaccamento alla creatura.
Per quanto riguarda la prima cosa, devi sapere che il Figliuolo di Dio, quando viveva in questa valle di lacrime, non solo offriva al Padre celeste se stesso e le opere sue, ma con se stesso offriva anche noi e le opere nostre. Cosicché le nostre offerte si devono fare in unione alle offerte di Cristo e con la fiducia in esse.
Nella seconda cosa considera bene, prima di offrire te stessa, se la tua volontà ha qualche attaccamento: qualora ci fosse, essa si deve prima distaccare da ogni affetto. Perciò ricorri a Dio perché, staccandoti egli con la sua destra, tu possa offrirti alla sua divina Maestà sciolta e libera da ogni altra cosa.
Sta' molto attenta a questo: se ti offri a Dio rimanendo attaccata alle creature, non offri il tuo, ma quello degli altri. Infatti così tu non sei tua, ma appartieni a quelle creature a cui la tua volontà è attaccata, e ciò dispiace al Signore quasi come se volessimo deriderlo. E in conseguenza di ciò avviene che le tante offerte che di noi stessi facciamo a Dio non solo ritornano a noi vuote e senza frutto, ma dopo cadiamo anche in vari difetti e peccati.
Possiamo offrirci a Dio benché attaccati alle creature, ma allo scopo che la sua bontà ce ne liberi, perché poi possiamo darci totalmente alla sua divina Maestà e al suo servizio: e questo dobbiamo farlo spesso e con grande affetto.
Sia dunque la tua offerta senza attaccamento ed espropriata di ogni tuo volere, non mirando né ai beni terreni né a quelli celesti, ma alla pura volontà e alla provvidenza divina a cui ti devi tutta sottomettere e sacrificare in olocausto perpetuo, e, dimentica di ogni cosa creata, dovrai dire: “Ecco, Signore e Creatore mio, tutta me stessa e ogni mio desiderio in mano alla tua volontà e alla tua eterna provvidenza; fa' di me ciò che ti pare e piace in vita, in morte e dopo la morte, così nel tempo come nell'eternità”.
Se farai sinceramente a questo modo (di ciò ti accorgerai quando ti accadono cose contrarie), da terreno ti trasformerai in evangelico e beatissimo mercante (cfr. Mt 13,45): infatti tu sarai di Dio e Dio sarà tuo, essendo egli sempre di coloro che, distaccandosi dalle creature e da se stessi, si danno e si sacrificano completamente a sua Divina Maestà.
Ora tu vedi qui, figliuola, un modo potentissimo di vincere tutti i tuoi nemici, perché se la suddetta offerta ti unisce con Dio così che tu diventi tutta sua ed egli tutto tuo, quale nemico e quale potenza ti potrà giammai nuocere? E quando vorrai offrirgli qualche tua opera, come digiuni, orazioni, atti di pazienza e altre cose buone, volgi prima la mente all'offerta che Cristo faceva al Padre dei suoi digiuni, orazioni e altre opere; confidando nel valore e nella virtù di queste, offri poi le tue. E se vorrai offrire al Padre celeste le opere di Cristo per i tuoi debiti, lo farai nel modo seguente.
Darai uno sguardo generale e talvolta distinto ai tuoi peccati. E vedendo chiaramente che non è possibile che tu da te possa placare l'ira di Dio né soddisfare la sua divina giustizia, ricorrerai alla vita e alla passione del suo Figliuolo pensando a qualche sua opera, come ad esempio a quando digiunava, pregava, soffriva o spargeva il sangue. In ciò vedrai che, per placarti il Padre e per pagare il debito delle tue iniquità con la sua opera, Gesù gli offriva la sua passione e il suo sangue dicendo quasi: “Ecco, eterno Padre, che secondo la tua volontà io soddisfaccio sovrabbondantemente alla tua giustizia per i peccati e per i debiti di N. Piaccia alla tua divina Maestà di perdonarle e di riceverla nel numero dei tuoi eletti”.
Perciò offri per te all'eterno Padre questa stessa offerta e queste stesse preghiere, supplicandolo di rimetterti ogni debito in virtù di esse. E questo lo potrai fare non solamente passando da uno a un altro mistero, ma anche dall'uno all'altro atto di ciascun mistero; e questo modo di offerta ti potrà servire non solo per te, ma anche per altri.

CAPITOLO LIX
La devozione sensibile e l'aridità

La devozione sensibile è causata ora dalla natura, ora dal demonio e ora dalla grazia: dai suoi frutti potrai discernere donde proceda. Se infatti non ne segue in te miglioramento di vita, devi sospettare che proceda dal demonio o dalla natura e tanto più quanto sarà accompagnata da maggior gusto, dolcezza, attaccamento e da qualche stima di te stessa. Perciò quando ti sentirai addolcire la mente dai gusti spirituali, non stare a disputare da che parte ti vengano; non ti appoggiare ad essi né lasciati allontanare dalla conoscenza del tuo niente. Con maggior diligenza e odio di te stessa studiati di tenere libero il tuo cuore da qualunque legame benché spirituale e desidera solo Dio e il suo beneplacito perché a questo modo, sia che il gusto provenga dalla natura sia che provenga dal demonio, ti si cambierà in un effetto della grazia.
L'aridità può procedere parimenti dalle tre suddette cause. Dal demonio, per intiepidire la mente e rivolgerla dall'impresa spirituale ai trattenimenti e ai diletti del mondo. Da noi stessi per le nostre colpe, per i nostri attaccamenti alla terra e per le nostre negligenze. Dalla grazia o per avvisarci di essere più diligenti nel lasciare ogni legame e ogni occupazione che non sia Dio e a lui non termini; o affinché conosciamo per esperienza che ogni nostro bene viene da lui; o affinché per l'avvenire stimiamo di più i suoi doni e siamo più umili e cauti nel conservarli; o per unirci più strettamente con sua divina Maestà con la totale rinuncia a noi stessi anche nelle delizie spirituali affinché, legato a queste il nostro affetto, non dividiamo il cuore che il Signore vuole tutto per sé; oppure perché egli si compiace per nostro bene di vederci combattere con tutte le nostre forze e con l'aiuto della sua grazia.
Dunque se ti sentirai arida, entra in te stessa a vedere per quale tuo difetto ti sia stata sottratta la devozione sensibile e contro quello comincia la battaglia non per recuperare la sensibilità della grazia, ma per togliere da te quello che dispiace a Dio. E non trovando il difetto, ritieni tua devozione sensibile la vera devozione consistente nella rassegnazione pronta alla volontà di Dio. E perciò per nessun motivo tralascia i tuoi esercizi spirituali, ma continuali con ogni sforzo, anche se ti paiono infruttuosi e insipidi, bevendo volentieri il calice di amarezze che nell'aridità ti porge l'amorosa volontà di Dio.
Se l'aridità talora fosse accompagnata da tante e cosi folte tenebre di mente da non sapere dove rivolgerti né che partito prendere, non ti sgomentare. Sta' invece solitaria e salda sulla croce, lontana da ogni diletto terreno, benché ti fosse offerto dal mondo o dalle creature. Nascondi la tua passione a qualunque persona eccetto che al tuo padre spirituale, al quale la scoprirai non per alleggerire la pena, ma per apprendere il modo di sopportarla secondo come a Dio piace.
Non usare le comunioni, le orazioni e gli altri esercizi per scendere dalla croce, ma per ricevere forza di esaltare questa croce a maggior gloria del Crocifisso. Non potendo meditare e pregare a modo tuo per la confusione mentale, medita come meglio puoi. E quello che non puoi eseguire con l'intelletto, fatti violenza per eseguirlo con la volontà e con le parole parlando con te stessa e con il Signore, perché ne vedrai effetti mirabili e così il tuo cuore riprenderà fiato e forza.
Potrai dire dunque in tal caso: “Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio” (Sal 42,6). “Perché, Signore, stai lontano, nel tempo dell'angoscia ti nascondi? Non abbandonarmi mai” (Sal 10, 1).
Ricordandoti di quella sacra dottrina infusa da Dio al tempo delle tribolazioni nella sua diletta Sara, moglie di Tobia, servitene anche tu dicendo con viva voce: “Chiunque ti serve ha per certo che la sua vita riceverà la corona delle prove sostenute e la liberazione dalle tribolazioni; e pure se castigato, potrà contare sulla tua misericordia. Tu infatti non godi della nostra perdizione, perché dopo la tempesta concedi la pace e dai gioia dopo le lacrime e il pianto. O Dio di Israele, sia benedetto il tuo nome nei secoli” (Tb 3,20-23 Volgata).
Ti ricorderai ancora del tuo Cristo, che nell'orto e sulla croce per sua gran pena fu abbandonato dal Padre celeste nella parte sensibile, e sopportando con lui la croce dirai di tutto cuore: “Sia fatta la tua volontà” (Mt 26,42). Se così farai, la tua pazienza e la tua orazione faranno salire le fiamme del sacrificio del tuo cuore fino al cospetto di Dio e tu rimarrai vera devota essendo, come ti ho detto, la vera devozione una viva e ferma prontezza di volontà a seguire Cristo con la croce in spalla (cfr. Lc 9,23) per qualunque via ne inviti e chiami a sé; e a volere Dio per Dio e lasciare talvolta Dio per Dio.
Se molte persone che attendono allo spirito e massimamente le donne misurassero il loro profitto da questa e non dalla devozione sensibile, non sarebbero ingannate da loro stesse né dal demonio; nemmeno si addolorerebbero inutilmente, anzi ingratamente, di un tanto bene fatto ad esse dal Signore, ma attenderebbero con maggior fervore a servire sua divina Maestà che tutto dispone o permette a gloria sua e per nostro bene.
In questo ancora si ingannano le donne, che con timore e prudenza si guardano dalle occasioni di peccato. Talora essendo esse molestate da orribili, brutti e spaventevoli pensieri e talora da visioni ancora più brutte, si confondono e si perdono d'animo e si convincono di essere abbandonate da Dio e completamente lontane da lui, non potendo persuadersi che, in una mente piena di siffatti pensieri, possa abitare il suo divino spirito.
Restando così molto abbattute, tali donne quasi sono sul punto di disperarsi e di ritornarsene nell'Egitto dopo aver lasciato ogni loro buon esercizio. Queste non comprendono bene la grazia concessa loro dal Signore, il quale le fa assalire da questi spiriti di tentazione per indurle alla conoscenza di se stesse e perché si accostino a lui come bisognose di aiuto. Perciò ingratamente si addolorano per quello di cui dovrebbero essere riconoscenti all'infinita bontà.
Quello che tu devi fare in tali avvenimenti è di sprofondarti nella considerazione della tua inclinazione perversa. Per il tuo bene Dio vuole che tu conosca che essa è pronta a ogni gravissimo male, e che senza il suo soccorso tu precipiteresti in estrema rovina. E da questo acquista speranza e confidenza che egli ti aiuterà, poiché ti fa vedere il pericolo e ti vuole attirare più vicino a sé con l'orazione e con il ricorso a lui, al quale perciò ne devi rendere umilissime grazie.
Tieni per certo che simili spiriti di tentazione e simili brutti pensieri meglio si cacciano con una paziente tolleranza della pena e con un deciso volgere di spalle, anziché con una resistenza troppo ansiosa.

CAPITOLO LX
L'esame di coscienza

Per l'esame di coscienza considera tre cose: le cadute di quel giorno; la loro causa; l'animo e la prontezza che dimostri per far loro guerra e acquistare le virtù ad esse contrarie.
Intorno alle cadute, farai quanto ti ho detto nel capitolo XXVI, dove ho indicato quello che bisogna fare quando siamo feriti.
Ti sforzerai di abbattere e di mandare a terra la causa di esse.
Fortificherai la volontà per fare questo e per acquistare le virtù con la diffidenza di te stessa, con la confidenza in Dio, con l'orazione e con numerosi atti, con i quali tu possa provare l'odio del vizio e desiderare la virtù contraria.
Le vittorie e le opere buone che avrai fatte ti siano sospette.
Inoltre ti consiglio di non considerarle molto, per il pericolo quasi inevitabile almeno di qualche motivo nascosto di vanagloria e di superbia. Perciò, quali che siano, dopo averle tutte affidate alla misericordia divina, indirizza il tuo pensiero al molto più che ti rimane da fare.
Per quanto tocca poi il rendimento di grazie per i doni e i favori a te fatti dal Signore in quel giorno, riconoscilo come artefice di ogni bene e ringrazialo di averti liberata da tanti nemici manifesti e molto più da quelli occulti; di averti dato pensieri buoni e occasioni per praticare le virtù; infine ringrazialo per qualunque altro beneficio che tu stessa ignori.

CAPITOLO LXI
In questa battaglia bisogna continuare a combattere sempre fino alla morte

Fra le altre cose richieste in questo combattimento, una è la perseveranza con la quale dobbiamo attendere a mortificare sempre le nostre passioni che in questa vita non muoiono mai, anzi germogliano ogni ora come erba cattiva. E questa è battaglia che siccome non finisce se non con la vita, così non può essere da noi evitata; e chiunque in essa si rifiuta di combattere, necessariamente o viene preso oppure vi perisce.
Oltre a ciò si ha da fare con nemici che ci portano odio continuo: perciò non se ne può giammai sperare pace né tregua, poiché uccidono più crudelmente chi più cerca di farsi loro amico.
Non ti devi però spaventare per la loro potenza e per il loro numero, perché in questa battaglia non può essere superato se non chi vuole. E tutta la forza dei nostri nemici sta in mano al Capitano, in onore del quale dobbiamo combattere. Non solo egli non permetterà che essi prevalgano su di te, ma prenderà anche le armi per te; ed essendo più potente di tutti i tuoi avversari, ti darà la vittoria in mano se tu, combattendo virilmente insieme a lui, confiderai non in te ma nella sua potenza e nella sua bontà.
Se il Signore non ti concedesse così presto la palma, non ti perdere d'animo Infatti devi essere più certa di una cosa e questo ti gioverà anche per combattere fiduciosamente: se ti comporterai da fedele e generosa guerriera, egli trasformerà in tuo beneficio e in tuo vantaggio tutte le cose che ti si faranno incontro e quelle che più ti sembreranno lontane anzi contrarie alla tua vittoria, di qualunque genere siano.
Tu dunque, figliuola, seguendo il tuo celeste Capitano che per te ha vinto il mondo e ha consegnato se stesso alla morte, attendi con magnanimo cuore a questa battaglia e alla totale distruzione di tutti i tuoi nemici: se ne lasciassi vivo anche uno solo, ti sarebbe come fuscello negli occhi e lancia nei fianchi e ti impedirebbe il corso di così gloriosa vittoria.

CAPITOLO LXII
Il modo di prepararci contro i nemici che ci assaltano nel momento della morte

Benché tutta la nostra vita sia una guerra continua sopra la terra (cfr. Gb 7,1 Volgata), tuttavia la principale e più segnalata giornata la vivremo nell'ultima ora del gran passaggio: infatti chiunque cade in quel punto, non si alza più. Quello che devi fare per trovarti allora ben preparata è che in questo tempo a te concesso tu combatta virilmente, perché chi combatte bene in vita facilmente ottiene vittoria in punto di morte per l'abitudine buona già fatta.
Oltre a ciò pensa spesse volte con attenta considerazione alla morte, perché, quando sopraggiungerà, la temerai meno e la mente sarà libera e pronta alla battaglia. Gli uomini mondani fuggono da questo pensiero, per non cessare di compiacersi nelle cose terrene: poiché stanno volentieri attaccati ad esse con amore, sentirebbero pena se pensassero di doverle lasciare. Così non diminuisce il loro affetto disordinato, anzi va sempre più prendendo forza; e il separarsi poi da questa vita e da cose tanto care è per loro di affanno inestimabile, e alle volte maggiore in quelli che più lungamente le hanno godute.
Per fare meglio questa importante preparazione, potrai anche immaginare qualche volta di trovarti sola senza nessun aiuto, posta tra le strettezze della morte, e di richiamarti alla mente le cose seguenti che ti potrebbero in quel momento travagliare. Quivi poi discorrerai intorno ai rimedi che ti porterò, per potertene meglio servire in quell'ultima angustia: infatti il colpo che si deve fare una volta sola, bisogna prima impararlo bene per non commettere errore, dove non c'è possibilità di correzione.

CAPITOLO LXIII
Quattro assalti dei nostri nemici nell'ora della morte.
Si parla prima dell'assalto contro la fede e dei modo di difendersi

Quattro sono gli assalti principali e più pericolosi con i quali i nostri nemici sono soliti farsi incontro a noi nell'ora della morte. Sono questi: la tentazione contro la fede, la disperazione, la vanagloria e varie illusioni e trasformazioni dei demoni in angeli di luce.
Quanto al primo assalto, se il nemico ti comincia a tentare con i suoi falsi argomenti, lascia presto l'intelletto e ritirati nella volontà dicendo: “Va' indietro, satana (Mt 16,23), padre di menzogne (Gv 8,44), perché io non ti voglio neppure sentire, bastandomi credere quanto crede la santa chiesa romana”. E non dar luogo per quanto puoi ai pensieri intorno alla fede, pur sembrandoti innocui; anzi li devi considerare come pretesti del demonio per attaccare briga. E se anche non facessi a tempo a distogliervi la mente e a riprendere animo, sta' forte e ben salda per non cedere a qualunque ragione o autorità di sacra Scrittura che l'avversario adducesse: infatti tutte saranno manchevoli o male addotte o male interpretate, anche se a te paressero buone, chiare ed evidenti.
Se l'astuto serpente ti domandasse quello che crede la chiesa romana, non gli rispondere; ma vedendo il suo inganno e che vorrebbe anche sedurti con le parole, fa' un atto interiore di più viva fede; oppure per farlo scoppiare di sdegno, rispondigli che la santa chiesa romana crede la verità. E se il maligno replicasse: “Qual è questa verità?”, tu ripiglia: “Quello appunto che essa crede”.
Soprattutto tieni sempre il tuo cuore fisso sul Crocifisso, dicendo: “Dio mio, creatore e salvatore mio, soccorrimi presto e non ti allontanare da me, perché io non mi allontani dalla verità della tua santa fede cattolica; e ti piaccia che, come in quella fede sono nata per tua grazia, così in essa a gloria tua io termini questa vita mortale”.

CAPITOLO LXIV
L'assalto della disperazione. Rimedio contro di essa

L'altro assalto con il quale il perverso demonio si sforza di abbatterci completamente è lo spavento che ci incute con il ricordo delle nostre colpe, per farci precipitare dentro la fossa della disperazione.
In tale pericolo attieniti a questa regola certa: i pensieri dei tuoi peccati sono dalla grazia e a tua salvezza quando in te producono effetto di umiltà, di dolore dell'offesa di Dio e di confidenza nella sua bontà. Ma quando ti turbano e ti rendono diffidente e pusillanime sebbene ti sembrassero pensieri di cose vere e sufficienti a convincerti che tu sei dannata e che per te non c'è più tempo di salvezza, riconoscili pure per effetti dell'ingannatore; umiliati di più e confida di più in Dio, perché a questo modo con le sue stesse armi vincerai il nemico e darai gloria al Signore.
Addolorati pure dell'offesa fatta a Dio ogni volta che ti viene in mente, ma chiedine perdono confidando nella sua passione.
Ti dico di più: se ti sembrasse che lo stesso Dio ti dicesse che tu non sei delle sue pecorelle, tu non dovresti tralasciare per nessun motivo di confidare in lui, ma dovresti dirgli umilmente: “Hai ben ragione, Signor mio, di riprovarmi per i miei peccati, ma io ho una ragione maggiore di confidare nella tua pietà perché tu mi perdoni. Perciò ti chiedo la salvezza di questa meschina tua creatura dannata sì, per la sua malizia, ma redenta a prezzo del tuo sangue. Redentore mio, mi voglio salvare a gloria tua, e confidando nella tua immensa misericordia mi abbandono tutta nelle tue mani. Fa' di me quanto a te piace, perché tu sei il mio unico Signore; e se anche mi uccidessi, pure voglio tenere vive in te le mie speranze” (cfr. Gb 13,15 Volgata).

CAPITOLO LXV
L'assalto della vanagloria

Il terzo assalto è quello della vanagloria e della presunzione.
In questo non ti lasciare mai per nessuna via immaginabile indurre sia pure a una minima compiacenza di te stessa né delle tue opere. Ma il tuo compiacimento sia puramente nel Signore, nella sua pietà, nelle opere della sua vita e della sua passione.
Umiliati sempre più agli occhi tuoi fino all'ultimo respiro e riconosci Dio solo come autore di ogni bene che ti ricordi d'avere compiuto. Ricorri al suo aiuto, ma non lo aspettare per i tuoi meriti, pur avendo superato molte e grandi battaglie. E sta sempre in un santo timore confessando sinceramente che tutti i tuoi preparativi di guerra sarebbero vani, se sotto l'ombra delle sue ali non ti raccogliesse il tuo Dio, nella cui protezione unicamente confiderai.
Seguendo questi avvisi, i tuoi nemici non potranno prevalere contro di te. E così ti aprirai la strada, per passare lietamente alla Gerusalemme celeste (cfr. Ap 2 1, 1ss).

CAPITOLO LXVI
L'assalto delle illusioni e delle false apparizioni nell'ora della morte

Se l'ostinato nostro nemico, che non si stanca mai di tormentarci, ti assalisse con false apparizioni e si trasformasse in angelo di luce, sta' ferma e salda nella cognizione del tuo niente e digli arditamente: “Ritorna, infelice, nelle tue tenebre, perché io non merito visioni né ho bisogno d'altro che della misericordia del mio Gesù e delle preghiere di Maria Vergine, di san Giuseppe e degli altri santi”.
Se pure ti paresse per molti segni quasi evidenti che fossero cose venute dal cielo, rifiutale ugualmente e allontanale da te quanto puoi; e non temere che questa resistenza, fondata nella tua indegnità, dispiaccia al Signore: infatti se la faccenda sarà sua, egli saprà ben chiarirla e tu niente perderai; poiché chi dà la grazia agli umili (cfr. l Pt 5,5) non la toglie a motivo degli atti di umiltà che si compiono.
Queste sono le armi più comuni, che il nemico suole adoperare contro di noi in quell'estremo passo. Egli poi va tentando ciascuno secondo le particolari inclinazioni, alle quali lo conosce più soggetto. Però prima di avvicinarsi l'ora del gran conflitto, dobbiamo armarci bene e combattere strenuamente contro le nostre passioni più violente e che più ci signoreggiano, per facilitare la vittoria nel tempo che ci toglie ogni altro tempo di poterlo fare: “Combattili finché non li avrai distrutti” (cfr. 1Sam 15,18).

 

 

 

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