LA
COSA PIU' GRANDE DEL MONDO
PREFAZIONE
(Pochi) anni fa ero ospite di una amica straniera, donna
intelligente e piena di cuore, che fra l’altro ha fondato e sostiene la
più vasta organizzazione privata di raccolta e di assistenza per profughi
di questo dopoguerra. Una sera, di ritorno da un lungo giro di visite nei
villaggi sorti come per incanto ad ospitare tanti miserabili, stavamo
discorrendo. Riflettevo ai miracoli della carità e, facendo un ritorno su
me stessa dovetti ammettere che era stato soprattutto lo spettacolo
esteriore di tanta miseria a svegliare la mia compassione e a mettere in
moto il mio cervello per trovare il miglior modo di portare il mio aiuto.
Eppure, quelle necessità contingenti nascondevano tragedie morali ben più
disperate e per lo più senza rimedio. Consideravo il mio atteggiamento di
fronte a queste tragedie e, sul filo di questo pensiero, di fronte alle
esigenze e ai bisogni morali e spirituali, forse altrettanto urgenti, di
esseri meno lontani, dei miei familiari, dei miei amici, ne feci una
riflessione ad alta voce. La mia cara amica si alzò e tornò con un
piccolo libro evidentemente molto usato: «Questo libriccino non mi lascia
mai - dal giorno in cui lo ebbi tra le mani lo leggo ogni sera, e ogni
volta con maggior profitto; se vuoi leggerlo te lo impresto». Lo presi,
lo portai in camera mia, lo lessi di un fiato. Terminando la breve lettura
mi parve di aver scoperto qualcosa, qualcosa di essenziale che, per quanto
deplorevole ciò possa sembrare, m’era sfuggita fino a quel giorno. Da
allora anch’io ne leggo qualche riga ogni giorno. 9
L’ho tradotto e pubblicato pensando che non fosse giusto tenerlo solo
per me e che forse altri, come me, avrebbero potuto trarne giovamento e
aiuto. Si tratta del testo di una conferenza tenuta a Northfield negli
Stati Uniti, nell’estate del 1887 dallo scozzese Prof. Enrico Drummond
(1851-1897) titolare della cattedra di Scienze Naturali a Glasgow
(Scozia). Insieme alla passione per la scienza e la biologia (in questo
campo, oltre ad aver partecipato a varie spedizioni scientifiche, scrisse
e pubblicò molte opere), Enrico Drummond aveva sentito fin dalla
giovinezza un’esigenza, quasi una vocazione spirituale, non intesa solo
come regola personale di vita, ma come impegno verso il prossimo e,
aiutato dalla fede e da un’eloquenza non comune, si propose di riportare
nel mondo studentesco che appariva affascinato dalle nuove
teorie di Darwin sull’evoluzione, un soffio di spiritualità viva e
profonda. La fama di questo risveglio delle Università scozzesi e il
successo di questo tentativo passarono le frontiere e il Drummond fu
invitato a tenere conferenze in molte Università del mondo intero. Così,
per oltre dieci anni, finché le forze glielo permisero e cioè dal 1884
al 1895, egli percorse gli Stati Uniti, l’Australia, l’Europa, andando
da una Università all’altra, promuovendo incontri e prese di contatto,
organizzando gli studenti delle varie facoltà in Associazioni Cristiane,
dando nuovo impulso alla vita religiosa nelle Università medesime. ELENA
BENAZZO BOESCH - 1956
La conferenza inizia con la lettura del seguente brano tratto
dalla prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi (Cap. 13°). Se
anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la
carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se
avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la
scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le
montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche
distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere
bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è
paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si
vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse,
non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le
profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.
La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma
quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.
Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da
bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato.
Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo
faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò
perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose
che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande
è la carità!
Enrico Drummond
LA COSA PIU’ GRANDE DEL MONDO
Ognuno di noi si è posto il grande problema di tutti i tempi,
dall’antichità ad oggi: qual è il summum bonum, il bene
supremo? Tu hai la vita davanti, puoi viverla solo una volta: qual è la
cosa più nobile, il dono supremo da desiderare? Molti ritengono che la
cosa più grande in campo religioso sia la fede. Per essi questa grande
parola è la nota dominante della religione. Io vi ho condotti, invece,
nel capitolo che ho letto or ora, alla sorgente della cristianità: e
abbiamo visto che «di tutte più grande è la carità». San Paolo
parlava della fede proprio un momento prima: «Anche se io possedessi
la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la
carità, non sono nulla”. Lungi dall’ignorarla, san Paolo fa di
proposito il confronto: ora rimangono la fede, la speranza e la Carità e,
senza un attimo di esitazione, aggiunge: «ma più grande di tutte è
la Carità». Non è un partito preso. L’uomo è portato a
raccomandare ai suoi simili il lato più caratteristico del suo
temperamento: l’amore non era il lato caratteristico di Saulo.
L’osservatore attento scoprirà nella personalità di san Paolo una
meravigliosa dolcezza che cresce e matura con il passare degli anni; ma la
mano che scrisse: «di tutte più grande è la carità», è
macchiata di sangue quando l’incontriamo per la prima volta, persecutore
dei cristiani. L’epistola ai Corinzi non è la sola a designare la Carità
come il summum bonum. Gli autori fondamentali della cristianità
sono d’accordo su questo punto. San Pietro dice: «Soprattutto
usatevi reciprocamente una fervida Carità». Soprattutto! E
san Giovanni va anche oltre: «Dio è Carità». Ricordate
un’altra profonda osservazione di san Paolo: «L’amore è
l’adempimento della legge». Avete mai pensato che cosa intendesse
dire con questo? Per gli uomini di quel tempo la strada che portava al
paradiso consisteva nell’osservare i dieci comandamenti e gli altri
cento e più comandamenti derivati, che essi si erano fabbricati. Gesù
Cristo disse: Io vi insegnerò una via più semplice. Vi basterà fare una
cosa sola e farete queste cento e più altre cose senza bisogno di
pensarci. Amando adempirete interamente la legge senza accorgervene.
Potete subito rendervi conto da voi stessi che non può essere
diversamente. Prendete uno qualunque dei comandamenti: «Non avrai
altro Dio al mio cospetto ». Se un uomo ama Dio non occorre dirgli
una cosa del genere. L’amore è l’adempimento di quella legge. «Non
nominare il nome di Dio invano ». Chi, amando Dio, sognerebbe di
nominarlo invano? «Ricordati del giorno di festa per santificarlo».
Non sarebbe egli ben felice di avere un giorno su sette da dedicare più
esclusivamente all’oggetto del suo amore? L’amore adempirebbe tutte
queste leggi che riguardano Dio. Allo stesso modo non sogneresti mai di
dire a chi amasse il suo prossimo di onorare suo padre e sua madre. Non
potrebbe farne a meno. Sarebbe assurdo dirgli di non uccidere. Sarebbe un
insulto suggerirgli di non rubare. Come si può derubare colui che si ama?
Superfluo pregarlo di non dir falsa testimonianza contro il vicino. Se lo
ama è l’ultima cosa che farebbe. E non vi verrebbe in mente di
scongiurarlo di non desiderarne i beni; stanno meglio in mano loro che
nella sua. Pertanto: «l’amore è l’adempimento della legge».
È la regola per mettere in pratica tutte le regole, il nuovo comandamento
per osservare tutti i vecchi comandamenti, il segreto della vita cristiana
svelato da Cristo. Ora san Paolo l’aveva imparato; in questo superbo
elogio egli ci ha dato la più meravigliosa e originale descrizione
esistente del summum bonum. Possiamo dividerlo in tre parti.
All’inizio del breve capitolo troviamo la Carità confrontata, al
centro la Carità analizzata, verso la fine la Carità difesa come
dono supremo. IL CONFRONTO San Paolo incomincia con il confronto
tra la Carità e altre cose molto apprezzate dagli uomini di quel tempo.
Non cercherò di esaminare queste cose in dettaglio; la loro inferiorità
è già evidente. San Paolo confronta la Carità con l’eloquenza. Nobile
dono, quello di far vibrare l’anima e la volontà dell’uomo
spronandolo ad alte azioni e ad imprese sacre. San Paolo dice: «Se
anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la
carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna ».
E sappiamo tutti perché. Tutti abbiamo provato l’aridità delle parole
senza emozione, il vuoto, l’indicibile inutilità dell’eloquenza che
non sia fondata sulla Carità. San Paolo la confronta con il dono di
profezia. La confronta con la conoscenza dei misteri. La confronta con la
fede. La confronta con la beneficenza. Perché mai la Carità vale più
della fede? A che serve aver fede? La fede è il legame intellettuale tra
l’anima e Dio. E qual è il fine di questo legame tra l’uomo e Dio?
Rendere l’uomo simile a Dio. Ma Dio è Carità. Dunque la fede si compie
nella Carità che è fine di tutte le virtù. È quindi evidente che la
Carità vale più della fede. Così pure la Carità vale più della
beneficenza perché il tutto vale più di una parte. La beneficenza è
solo una piccola porzione della Carità, una delle infinite vie della
Carità, e può anche esistere – ed esiste di fatto – molta
beneficenza senza Carità. È molto facile gettare una moneta a un
mendicante per la strada; di solito è più facile darla che rifiutarla.
Eppure ci può talvolta essere Carità in un rifiuto. Noi cerchiamo di
liberarci per mezzo di quella moneta dai sentimenti di compassione che
nascono in noi dallo spettacolo della miseria. È troppo a buon mercato,
troppo a buon mercato per noi e spesso troppo caro per il mendicante. Se
noi lo amassimo realmente, faremmo per lui molto di più o molto meno. In
seguito san Paolo confronta la carità col sacrificio e col martirio. E
qui mi rivolgo al piccolo gruppo di futuri missionari – vorrei chiamare
alcuni di voi con questo appellativo per la prima volta – e vi invito a
tener presente che, anche se darete il vostro corpo per essere arso, se
non avete la Carità non vi servirà a nulla, a nulla. Non potete portare
al mondo pagano niente di più grande dell’impronta e del riflesso della
Carità divina sul vostro carattere. Quello è il linguaggio universale.
Vi occorreranno anni per parlare il cinese o i dialetti dell’India. Dal
giorno in cui sbarcherete, quel linguaggio della Carità, capito da tutti,
spanderà inconsapevolmente il fiume della sua eloquenza. Missionario è
l’uomo, prima ancora di ciò che dice. Il suo carattere è il suo
messaggio. Nel cuore dell’Africa, nella regione dei Grandi Laghi, ho
incontrato dei negri, uomini e donne che ricordavano il solo uomo bianco
che avessero mai visto, Davide Livingstone, e sulle orme dei suoi passi
nel Continente Nero, il viso degli uomini ancora si illumina parlando del
buon dottore pietoso che passò da quelle parti anni addietro. Essi non
potevano capire le sue parole, ma sentivano che il suo cuore era vibrante
di Carità. Portate nel nuovo campo di lavoro, dove intendete fissare la
vostra esistenza, quel fascino semplice e la vostra missione sarà un
successo. Non potete portare niente di più come non dovete portare niente
di meno. Inutile partire portando meno di questo. Potrete raggiungere
qualsiasi perfezione, essere pronti a qualsiasi sacrificio ma, se date il
vostro corpo per essere arso e non avete la Carità, tutto sarà inutile a
voi e alla causa di Cristo.
L’ANALISI
Dopo aver confrontato la Carità con queste cose, san Paolo ci
presenta in tre versetti molto brevi una analisi impressionante di quella «cosa
suprema ». Ascoltate. La Carità, egli dice, è una cosa complessa.
Come la luce. Allo stesso modo che lo scienziato prende un raggio di luce
e lo fa passare attraverso un prisma e voi lo vedete uscire dall’altro
lato del prisma diviso nei colori che lo compongono, rosso, blu, e giallo
e viola e arancio e gli altri colori dell’iride, così san Paolo fa
passare questa cosa, la Carità, attraverso il meraviglioso prisma del suo
intelletto ispirato ed essa esce dall’altra parte divisa nei suoi
elementi. E in quelle poche parole noi abbiamo quello che si potrebbe
chiamare lo «spettro» della Carità, “l’analisi” della Carità.
Osservate gli elementi che la compongono. Vi accorgerete che hanno dei
nomi comuni, che sono virtù di cui si parla ogni giorno, che sono cose
che possono essere messe in pratica da ogni individuo, qualunque sia il
posto che occupa nella vita; vi accorgerete che sono tante piccole cose,
tante virtù ordinarie, quelle che costituiscono il summum bonum. Lo
spettro della Carità ha nove componenti: Pazienza «La Carità
è paziente». Benignità «La Carità è benigna». Generosità
«La Carità non è invidiosa ». Umiltà «La Carità
non si vanta, non si gonfia». Rispetto «La Carità non
manca di rispetto». Altruismo «Non cerca il proprio
interesse». Dolcezza «Non si adira». Magnanimità «Non
tiene conto del male ricevuto». Sincerità «Non gode
dell’ingiustizia, ma si compiace della verità». Pazienza,
benignità, generosità, umiltà, rispetto, altruismo, dolcezza,
magnanimità, sincerità: costituiscono il dono supremo, la statura
dell’uomo perfetto. Notate che tutte sono in rapporto con l’uomo, in
rapporto con la vita, in rapporto con l’oggi che ben conosciamo e col
domani che ci aspetta e non con la misteriosa eternità. Taluni parlano
solo dell’amore verso Dio; ma Cristo parlò pure molto della Carità
verso il prossimo. La religione non è una cosa astratta o una
sovrastruttura, ma è l’ispirazione della vita secolare, il respiro
dello spirito eterno attraverso il mondo temporale. La «cosa suprema»,
in breve, non consiste in una «cosa» ma nell’ulteriore rifinitura dei
molteplici gesti e parole che costituiscono la somma di ogni singola
giornata.
Pazienza Il tempo stringe, e non posso che
accennare sorvolando a ognuno di questi ingredienti. «La Carità è
paziente» Questo è l’atteggiamento normale della Carità. La Carità
è riflessiva, aspetta a cominciare, non ha premura; è calma, è pronta a
fare il suo lavoro quando viene chiamata, ma nel frattempo dà prova di
uno spirito mite e quieto. La Carità soffre ogni cosa, sopporta ogni
cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa. Perché la Carità capisce e,
quindi, aspetta.
Benignità Carità attiva. Avete mai notato
quanta parte della sua vita Cristo ha trascorsa facendo cose buone,
semplicemente facendo cose buone? Datevi una scorsa, tenendo presente
questo pensiero, e scoprirete che Egli ha trascorso gran parte del suo
tempo semplicemente facendo felice la gente, beneficando la gente. C’è
una sola cosa al mondo più grande della felicità, ed è la santità: e
non dipende da noi; ma quello che Dio ha messo nelle nostre mani è la
felicità degli esseri che ci circondano e questo dipende in gran parte
dal nostro atteggiamento benevolo verso di loro. «La cosa più grande,
che un uomo possa fare per il Padre celeste, dice qualcuno, è di
essere benigno verso gli altri suoi figli». Mi chiedo come mai noi
non siamo tutti più buoni di quel che siamo. Quanto ve ne sarebbe
bisogno! Che cosa facile! Come agisce istantaneamente! Come rimane
indelebile! Come ripaga generosamente! Poiché non c’è debitore al
mondo più stimabile, più superbamente stimabile della Carità. «La
Carità non avrà mai fine». Carità significa successo, felicità,
vita. «La Carità, dice il poeta Browning, è energia vitale”. Poiché
la vita con le sue gioie e i suoi dolori Le sue speranze e i suoi timori
Non altro è che la nostra possibilità di conoscere l’amore Quale
potrebbe essere, è stato ed è». Dove
c’è amore c’è Dio. Chi vive nell’amore vive in Dio. Dio è amore,
dunque amate. Senza calcoli, senza distinzioni, senza rinvii: amate!
Date a piene mani, ai poveri, cosa molto facile, ma anche ai ricchi,
che spesso ne hanno ancora più bisogno; e ancor più ai vostri pari, cosa
difficilissima, e per i quali ciascuno di noi fa forse meno che per
qualsiasi altro. C’è una differenza tra il cercare di far piacere e
il rendere felici. Rendete felici! Questo è l’inesauribile e
anonimo trionfo di uno spirito che ama realmente. «Viviamo una volta
sola, qualsiasi cosa buona possiamo fare per un essere umano, qualsiasi
servizio possiamo rendere, rendiamolo adesso. Non tardiamo, non
trascuriamo alcuna possibilità perché non passeremo mai più per quella
strada».
Generosità «La Carità non è invidiosa».
È la Carità di chi è in gara con altri. Qualunque opera buona
intraprendiate troverete sempre chi fa la stessa cosa e probabilmente
meglio di voi. Non siate invidiosi. L’invidia è un sentimento di astio
verso coloro che sono sulla nostra stessa linea, un sentimento di rapacità
e di detrazione. Molto spesso nemmeno l’attività cristiana costituisce
una protezione contro sentimenti poco cristiani. Questo, che di tutti i
sentimenti indegni che oscurano l’anima cristiana è il più
riprovevole, ci aspetta inevitabilmente sulla soglia di qualsiasi impresa,
se non siamo fortificati dalla grazia della generosità. Una cosa sola
dovrebbe veramente invidiare il cristiano, ed è il cuore aperto, ricco,
generoso, che «non invidia ».
Umiltà E poi, dopo aver imparato tutto
questo, un’altra cosa dovete imparare: l’umiltà, per mettere
un suggello sulle vostre labbra e dimenticare quello che avete fatto. Dopo
aver fatto del bene, dopo che la Carità è penetrata nel mondo e ha fatto
il suo magnifico lavoro, rientrate nell’ombra e non dite niente di
quanto è avvenuto. La Carità si nasconde anche ai suoi stessi sguardi.
La Carità ha persino ragione della vanità. «La Carità non si vanta,
non si gonfia».
Rispetto Il quinto ingrediente di questo summum
bonum, in certo qual modo inaspettato, è il rispetto. Questo
è Carità nella società, Carità in rapporto alle norme di buona
educazione. «La Carità non manca di rispetto». Si è detto che
la buona educazione è Carità nelle quisquilie. Il rispetto si può
definire Carità nelle piccole cose. E il solo segreto della buona
educazione è la Carità. La Carità non può comportarsi in modo
sconveniente. Potete introdurre la persona più rozza nella migliore
società: se ha nel cuore un fondo di Carità non si comporterà in modo
sconveniente. Carlyle ha detto di Roberto Burns che in Europa non c’era
gentiluomo più autentico del poeta contadino. E ciò perché egli amava
ogni cosa, il topo, la margherita e ogni cosa, grande o piccola, che Dio
ha creato. Così, con quel semplice passaporto, egli poteva mescolarsi a
gente di qualsiasi ambiente e frequentare principi e re, quando non era
nella sua casetta sulle rive dell’Ayr. Conoscete il significato della
parola gentiluomo? Significa un uomo gentile: un uomo che fa le cose con
gentilezza, con Carità. Tutto il mistero sta lì. L’uomo gentile non può,
per la sua stessa natura, fare una cosa non gentile, non da gentiluomo.
Invece l’anima non gentile è insensibile agli altri, è incapace di
simpatia e di rispetto.
Altruismo «La Carità non cerca il proprio interesse ».
Notate bene. Nemmeno l’interesse proprio. L’uomo si preoccupa, e
giustamente, dei suoi diritti. Ma viene il giorno in cui l’uomo può
esercitare un diritto superiore: quello di rinunziare ai suoi diritti. San
Paolo non ci invita a rinunziare ai nostri diritti. La Carità va molto
oltre. La Carità esige che noi non li ricerchiamo affatto, che li
ignoriamo, che noi eliminiamo qualsiasi elemento personale dai nostri
calcoli. Non è difficile rinunziare ai nostri diritti. Sono spesso
esteriori. La difficoltà è di rinunziare a noi stessi. Ancora più
difficile è il non voler nulla per noi stessi. Dopo aver cercato,
acquisito, guadagnato, meritato qualcosa, per quanto ci concerne, ne
abbiamo già preso la crema. Piccolo sacrificio allora, forse,
rinunciarci. Mentre il non cercare se stesso, il considerare ogni
individuo non per quello che ha ma per quello di cui ha bisogno, questo
occorre. «Cerchi grandi cose per te stesso?» dice il profeta, «non
cercarle». Perché? Perché non c’è grandezza alcuna nelle cose. Le
cose non possono essere grandi. La sola grandezza sta nell’amore non
egoista. Persino il rinnegamento di se stessi è nullo di per sé,
anzi può essere un errore. Solo un grande scopo o un amore più potente
può giustificare questo rinnegamento. Non esistono difficoltà per
l’amore, niente gli è difficile. Per questo Gesù chiama leggero il
suo «giogo»: perché, sulla scia del suo amore, tutto diventa non solo
più facile, ma anche più felice. La lezione più evidente
dell’insegnamento di Cristo è che non c’è felicità nel possedere o
nel ricevere, ma solo nel dare. Ripeto, non c’è felicità nel
possedere o nel ricevere ma solo nel dare. E metà dell’umanità
segue una pista sbagliata nell’inseguire la felicità. Si crede che la
felicità consista nel possedere, nell’ottenere e nel farsi servire dal
prossimo. Mentre consiste nel dare e nel servire gli altri. «Quello di
voi che vuol essere più degli altri, dice Cristo, si metta al
servizio degli altri».
La Dolcezza L’altro
ingrediente è molto importante: la dolcezza: «La Carità non
si irrita». Ben strano trovare qui questa affermazione. Si considera
abitualmente il malumore come una debolezza molto innocua. Ne parliamo
come di una semplice infermità di natura, una tara, una questione di
temperamento, non una cosa da prendere in seria considerazione nel
giudicare il carattere di un individuo. Eppure qui, proprio nel centro di
questa analisi della Carità, esso trova il suo posto: e la Bibbia a più
riprese torna a condannarlo come uno degli elementi più distruttivi della
natura umana. Quando c’è un vizio nelle persone cosiddette virtuose,
questo è l’amarezza. È spesso la sola pecca di un carattere nobile
sotto ogni altro aspetto. Conosciamo uomini e donne che sarebbero del
tutto perfetti se non fosse per quella loro tendenza ad essere facilmente
rannuvolati, impulsivi, suscettibili. Questa possibilità di coesistenza
tra cattivo carattere ed altre qualità morali è uno dei più dolorosi
problemi dell’etica. La verità è che esistono due grandi categorie di
peccati: i peccati del corpo e i peccati dello spirito. Il
figliol prodigo può servire di esempio per la prima, il fratello maggiore
per la seconda categoria. La società non ha dubbi nel giudicare che cosa
sia peggio. Il vituperio cade, senza esitazione, sul figliol prodigo. Ma
sarà poi così giusto? Noi non abbiamo una bilancia per pesare i nostri
rispettivi peccati, e i giudizi comparativi non sono altro che parole
umane. Ma le deficienze della parte più elevata della nostra natura
possono essere meno veniali di quelle della parte inferiore e, agli occhi
di Colui che è amore, un peccato contro la Carità può apparire cento
volte più spregevole. Nessuna forma di vizio – né la sensualità, né
la sete di ricchezze, né l’ubriachezza – può scristianizzare la
società quanto il cattivo carattere. Per amareggiare l’esistenza, per
disgregare le comunità, per distruggere i rapporti più sacri, per
avvilire uomini e donne, per contristare l’infanzia, insomma per causare
dolori a titolo assolutamente gratuito, non c’è di peggio che un
cattivo carattere. Osservate il fratello maggiore: morale, laborioso,
paziente, ligio al suo dovere – riconosciamogli tutte le sue qualità.
Osservate quest’uomo, questo fanciullo che se ne sta imbronciato fuori
della porta della casa paterna; sta scritto: «era pieno di rabbia e
non voleva entrare». Osservate l’effetto di questo suo
atteggiamento sul padre, sui servi, sulla gioia degli invitati. Pensate
all’effetto sul prodigo: e quanti prodighi sono tenuti lontani dal regno
di Dio per colpa della mancanza di Carità da parte di coloro che
professano di possederlo! Come studio di carattere, analizzate il
temporale a mano a mano che si addensa sulla fronte del fratello maggiore.
Di che cosa è fatto? Di gelosia, di orgoglio, di rabbia, di mancanza di
Carità, di crudeltà, di sicurezza di sé, di suscettibilità, di
ostinazione, di musoneria: ecco gli ingredienti di quest’anima buia e
priva di Carità. Salvando le proporzioni, questi sono gli ingredienti di
un carattere amaro. Dite voi se i peccati del corpo siano più
condannabili che vivere in questi peccati dello spirito e imporli al
prossimo? Forse che Cristo medesimo non ha precisamente risposto a questa
domanda quando disse: «Io vi dichiaro che i pubblicani e le meretrici
entreranno prima di voi nel regno dei cieli»? In verità non c’è
posto in cielo per un tale atteggiamento. Un tipo del genere non saprebbe
far altro che rendere il paradiso insopportabile a tutti. Pertanto se non
«rinasce», non può, veramente non può entrare nel regno dei Cieli.
Infatti è assolutamente certo – e non dovete fraintendermi – che per
entrare in Paradiso un uomo deve portarselo dentro. Vedete dunque perché
il carattere amaro è significativo, non tanto per quel che è in sé, ma
per quello che rivela. Ecco perché mi permetto di parlarne in termini così
crudi. È un banco di prova per la Carità, la rivelazione di una natura
fondamentalmente poco caritatevole. È la febbre intermittente che mette
in luce un malessere interno cronico; la bollicina occasionale che,
salendo alla superficie, tradisce un’avaria in profondità; un campione
dei più reconditi livelli dell’anima lasciato sfuggire
involontariamente in un momento di abbandono; in una parola, la prova
lampante di ogni sorta di stati d’animo peccaminosi. Infatti un solo
scatto di malumore rivela istantaneamente una mancanza di pazienza, di
gentilezza, di generosità, di cortesia. Non basta perciò combattere il
cattivo carattere. Bisogna risalire alla fonte e modificare il fondo della
propria natura, e gli umori rabbiosi scompariranno di per sé. Il cuore si
ammorbidisce, non già cacciandone via gli umori acidi, ma mettendovi
dentro qualcosa: un grande amore, uno spirito nuovo, lo Spirito di Cristo.
Cristo, lo Spirito di Cristo, compenetrandosi con il nostro stesso
spirito, raddolcisce, purifica, trasforma ogni cosa: solo questo può
sradicare quello che è falso, può operare una trasformazione chimica,
rinnovare, rigenerare e riabilitare l’uomo interiore. Gli uomini non si
trasformano per azione del tempo o di un atto di volontà, ma per opera di
Cristo. Perciò lasciate che sia in voi lo spirito che è in Gesù Cristo.
Una volta di più ricordatevi che questa è una questione di vita o di
morte. Non posso fare a meno di insistere per voi, per me; non date
scandalo col vostro cattivo carattere poichè: «Chi avrà
scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio sarebbe per
lui che si mettesse una pietra da macina intorno al collo e si gettasse
nel mare profondo». In altre parole, il chiaro verdetto del Signore
Gesù è questo: meglio non vivere piuttosto che vivere senza amore,
meglio non vivere piuttosto che non amare.
Magnanimità Non tener conto del male è la
grazia di accostamento verso la gente sospettosa. E il suo possesso è il
gran segreto dell’influenza personale. Scoprirete, riflettendo un
momento, che la gente che ci influenza è quella che crede in noi. In una
atmosfera di sospetto la gente si chiude, mentre in un’atmosfera di
fiducia si espande, si sente incoraggiata, e si educa alla vita sociale.
È meraviglioso che in questo mondo duro ed ostinato esista ancora qua e là
qualche rara creatura che non pensa al male. La Carità «non tiene
conto del male ricevuto», non cerca il movente, vede il lato buono di
ogni azione, lo spiega con benevolenza. Delizioso vivere con questa
mentalità. Che stimolo, che benedizione incontrarla anche per un giorno
solo! Godere fiducia significa essere salvati. Se cerchiamo di
influenzare o di sollevare gli altri, ci accorgeremo presto che il
successo è proporzionale alla loro fiducia nella nostra fiducia in
loro, poiché nessun uomo potrà ritrovare il rispetto di sé stesso finché
non si sentirà rispettato dal prossimo; la figura ideale che ci facciamo
di lui diventa per lui la speranza e il modello di quello che potrebbe
divenire.
Sincerità «La Carità non gode dell’ingiustizia, ma si
compiace della verità». Esprimo con «sincerità» il concetto contenuto nelle
parole: «si compiace della verità», poiché, per colui
che ama, la Verità sarà l’oggetto del suo amore non meno che il
prossimo. Accetterà solo quello che è vero, sarà in cerca della verità
con umiltà di spirito e senza pregiudizi e amerà quello che avrà
scoperto a costo di qualsiasi sacrificio. Nelle parole di san Paolo è
implicito il dominio di sé, che rifugge dall’approfittare dei peccati
altrui, è implicita la Carità che non si delizia nel rendere pubbliche
le debolezze altrui ma «copre ogni cosa», è implicita la
sincerità di propositi che si sforza di vedere le cose come sono e si
rallegra se le trova migliori di quanto il sospetto lasciasse temere o la
calunnia insinuasse. Quanto precede esprime il nostro tentativo di fare
un’analisi dell’Amore. Ora, si tratta proprio di inserire queste cose
nel nostro carattere. Questo è il lavoro supremo cui dobbiamo impegnarci
in questo mondo, per imparare la Carità. Forse che la vita non è piena
di occasioni per imparare la Carità? Ognuno di noi, uomini e donne, ha
ogni giorno migliaia di queste occasioni. Il mondo non è un ricreatorio
ma una palestra. La vita non è una vacanza, ma una educazione. E la sola
eterna lezione per tutti noi è come possiamo amare meglio. Che
cosa fa dell’uomo un buon giocatore di foot-ball? L’esercizio. Che
cosa fa dell’uomo un vero artista, un vero scultore, un vero musicista?
L’esercizio. Che cosa fa dell’uomo un buon linguista, un buon
stenografo? L’esercizio. Non c’è niente di capriccioso nella
religione. Valgono per lo spirito le stesse leggi, gli stessi sistemi che
per il corpo e per l’anima. Se l’uomo non tiene in esercizio le
braccia non ne svilupperà i muscoli; e se non tiene l’anima in
esercizio, non ne irrobustirà le fibre, non acquisterà né forza né
bellezza spirituale. La Carità non è frutto di una emozione
entusiastica. È la ricca, solida, robusta, vigorosa espressione del
cristiano nella sua interezza, è la natura assimilata a Cristo nel suo
pieno sviluppo. E gli elementi che costituiscono questo carattere si
possono acquisire soltanto con la pratica incessante della Carità. Non
imprecate contro la vostra sorte. Non lamentatevi delle preoccupazioni
incessanti, delle meschinità contingenti, delle vessazioni che dovete
sopportare, delle piccole e povere anime con cui siete in contatto per
ragioni di lavoro o altro. Soprattutto non nutrite risentimento per le
tentazioni che vi sono proposte; non siate perplessi se vi sembra che vi
stringano sempre più da vicino, incessanti, nonostante l’agonia, gli
sforzi, le suppliche. Questo è l’esercizio che Dio ha voluto per voi, e
questo esercizio compie la sua funzione rendendovi pazienti e umili e
generosi e altruisti e buoni e cortesi. Non serbate rancore verso la mano
che plasma l’immagine informe che ancora sta dentro di voi. Essa cresce
in bellezza, anche se non ve ne accorgete nella quotidianità della vita.
Non isolatevi. Rimanete in mezzo agli uomini, alle cose, ai fastidi, alle
difficoltà, agli ostacoli. Ricordatevi delle parole di Goethe: «Il
talento si sviluppa nella solitudine (il talento della preghiera,
della fede, della meditazione soprannaturale), ma il carattere si forma
nel turbine dei contrasti umani». È lì soprattutto che gli uomini
devono imparare la Carità. Ma in qual modo? Per rendere la cosa meno
difficile, ho fatto cenno ad alcuni elementi della Carità. Ma sono solo
elementi. La Carità in sé non si potrà mai definire. La luce è
qualcosa di più che la somma dei suoi componenti: un etere ardente,
abbagliante, irradiante. La Carità è qualcosa di più della totalità
dei suoi elementi: una cosa palpitante, vibrante, sensibile, vivente.
Mediante la sintesi di tutti i colori, l’uomo può ottenere il colore
bianco, non la luce. Mediante la sintesi di tutte le virtù possiamo
ottenere la virtù, non la Carità. Ma allora, come può questo
trascendente complesso vivente essere convogliato nelle nostre anime? Noi
impegniamo la nostra volontà per impossessarcene, cerchiamo di imitare
coloro che lo posseggono, legiferiamo intorno ad esso, vegliamo,
preghiamo. Ma tutto questo da solo non riuscirà a portare la Carità
nella nostra natura. La Carità è un effetto: solamente se
adempiremo le vere condizioni potremo ottenere l’effetto. Volete che vi
dica quale ne è la causa? Cercate nella prima epistola di san
Giovanni, troverete le parole: «Noi amiamo perché Egli ci ha amati
per primo». Perchè: ecco la causa; «perché Egli ci ha
amati per primo». E l’effetto è che noi amiamo, che lo amiamo, che
amiamo tutti gli uomini, non potendo farne a meno. Egli ci ha amati, noi
amiamo, amiamo tutti. Il nostro cuore si è lentamente modificato.
Contemplate l’amore di Cristo e sarete pieni di carità. Mettetevi di
fronte a quello specchio, nel riflesso del carattere di Gesù e vi
trasformerete in quella stessa immagine, di tenerezza in tenerezza. Non
c’è altra via. Non si può amare su comando. Si può solo contemplare
l’oggetto amabile, e innamorarsene e venire ad assomigliargli. Perciò
osservate questo carattere perfetto, questa vita perfetta. Guardate
all’immenso sacrificio, a come Egli ha dato se stesso in olocausto,
durante tutta la sua vita, fino alla Croce del Calvario e sarete costretti
ad amarlo. E amandolo, sarete costretti a diventare simili a Lui. Amore
produce amore. È un processo di induzione. Mettete un pezzo di ferro in
presenza di un corpo magnetico: quel pezzo di ferro si magnetizzerà per
un certo tempo. Si carica di una forza di attrazione semplicemente in
presenza della forza originaria e finché li lascerete uno accanto
all’altro saranno ambedue magnetizzati. Rimanete a fianco di colui che
ci ha amati e ha dato se stesso per noi e voi pure diverrete un centro,
una forza di attrazione permanente e, come lui, attirerete tutti gli
uomini a voi; come lui sarete attratti da tutti gli uomini. Questo è
l’effetto inevitabile della Carità. Ogni individuo che soddisfi a tale
condizione non può non vedere realizzarsi questo effetto in sé. Cercate
di abbandonare l’idea che la religione ci viene misteriosamente, a caso,
a capriccio. Essa ci viene per legge soprannaturale, divina. Edoardo
Irving andò un giorno a trovare un ragazzo moribondo: entrato nella
stanza, posò semplicemente la mano sul capo del malato dicendo: figlio
mio, Dio ti ama ... E il giovane ... prese a chiamare i familiari dicendo:
Dio mi ama! Dio mi ama! Quel ragazzo era trasformato. La sensazione che
Dio lo amava lo aveva dominato, slegato e aveva incominciato a creare in
lui un cuore nuovo. Così l’amore di Dio scioglie i cuori umani che non
sanno amare e crea in loro l’uomo nuovo, che è paziente e umile e mite
e altruista. E non c’è altra via per ottenerlo. Non c’è niente di
misterioso: amiamo il prossimo, amiamo tutti. Noi amiamo i nostri nemici perché
Egli ci ha amati per primo.
LA DIFESA Ora, come conclusione, vorrei
aggiungere poche frasi sul perché san Paolo abbia scelto la Carità come
il bene supremo. È un perché degno di nota. Eccolo in una parola: perché
la Carità è durevole. «La Carità – insiste san Paolo
– non avrà mai fine». Quindi san Paolo inizia un altro dei suoi
mirabili elenchi di cose considerate grandi e le spiega una ad una. Egli
accenna alle cose che gli uomini pensavano dovessero durare e dimostra
come siano tutte effimere, temporanee, transitorie. «Le profezie
scompariranno». Era la grande ambizione delle madri di quei tempi,
che il loro ragazzo diventasse un profeta. Da secoli Dio non aveva parlato
per bocca di un profeta e a quei tempi il profeta era più grande del re.
Gli uomini aspettavano ansiosamente la venuta di un altro messaggero e
pendevano dal suo labbro quando egli appariva, come dalla voce stessa di
Dio. San Paolo dice: «Le profezie scompariranno ». La Bibbia è
piena di profezie. Una dopo l’altra sono «scomparse», cioè essendosi
avverate, il loro compito si è esaurito e non hanno altro compito che
alimentare la fede dei credenti. Poi san Paolo parla delle lingue. Quella
era un’altra cosa molto ambita. «Le lingue cesseranno». Come
tutti sanno, molti secoli sono passati da quando le lingue sono apparse in
questo mondo. Eppure sono scomparse... Pensate alla lingua in cui quelle
parole sono state scritte – il greco – esso è scomparso. Prendete il
latino, l’altra lingua importante di quei tempi: è scomparso da molto
tempo. Guardate la lingua indiana: sta scomparendo. La lingua del Paese di
Galles, l’irlandese, lo scozzese delle Highlands, stanno scomparendo
sotto i nostri occhi... San Paolo va oltre e con audacia anche maggiore
aggiunge: «La scienza svanirà». La sapienza degli antichi dov’è?
È del tutto scomparsa. Uno scolaretto del giorno d’oggi sa più di
quanto non sapesse Isacco Newton. La sua scienza è scomparsa. Il giornale
di ieri che gettate nel fuoco, è conoscenza che svanisce. Le vecchie
edizioni delle grandi enciclopedie si comprano per pochi soldi. Le
cognizioni che esse contengono sono caduche. Il vapore ha sostituito la
carrozza, l’elettricità ha sostituito il vapore e gettato nell’oblio
infinite invenzioni anche recenti... E così per ogni ramo della scienza. «La
nostra conoscenza è imperfetta. Ora noi vediamo come in uno specchio in
maniera confusa». Potreste citarmi qualcosa che è destinato a
durare? Di molte cose san Paolo nemmeno si è degnato parlare. Non ha
menzionato né il denaro, né la fortuna, né la gloria, ma ha scelto tra
quelle che i più grandi uomini del suo tempo ritenevano avessero qualche
valore, e le ha decisamente scartate. San Paolo non aveva niente da
obiettare contro tali cose considerate in sé; egli si limita a dire che
non sarebbero durate. Erano cose grandi ma non cose supreme. Ci sono cose
che vanno più in là. Ciò che siamo va al di là di ciò che facciamo,
di ciò che possediamo. Molte cose vengono ripudiate non perchè
peccaminose ma perchè hanno un valore solo temporaneo. Questo è uno dei
temi essenziali del Nuovo Testamento. San Giovanni dice del mondo, non che
è nell’errore, ma semplicemente che «passa». Ci sono tante cose
splendide e piacevoli in questo mondo, cose grandi e nobili, ma non
dureranno. Tutto ciò che è di questo mondo, il piacere degli occhi, il
piacere della carne, l’orgoglio della vita hanno una breve durata.
Quindi non attaccatevi al mondo. Nessuna cosa merita che un’anima
immortale si dedichi ad essa o dia la vita per essa. L’anima che non
muore deve dedicarsi a qualcosa che non muore ed ecco le sole cose che non
muoiono: «Ora rimangono: la fede, la speranza e la Carità; ma di
tutte più grande è la Carità». Di queste tre cose, due passeranno,
poichè la fede diventerà visione, e la speranza diventerà godimento. Ma
la Carità deve durare. Dio, Dio eterno è Carità. Agognate quindi
quel dono imperituro, il solo valore che avrà corso nell’universo,
quando tutti gli altri valori del mondo saranno inutili e fuori corso. Prima
di darvi ad altre cose, datevi alla Carità, rispettando le proporzioni
delle cose. Fate che almeno il primo grande scopo della vostra esistenza
sia quello di realizzare il vostro carattere, costruendolo sulla base
della Carità. Ho detto che questa cosa è eterna. Avete mai notato
che san Giovanni associa continuamente la Carità e la fede con la vita
eterna? Chiunque si affida a Lui, cioè chiunque lo ama – poiché
soltanto la fiducia è la strada che conduce all’amore – ha la vita
eterna. Il Vangelo offre all’uomo la vita. Non offrite mai solo un
sorso di Vangelo. Non offrite solamente gioia o solamente pace o solamente
riposo o solamente salvezza: dite a tutti che Cristo è venuto per dare
agli uomini una vita più abbondante di quella che hanno, una vita prodiga
di amore, e perciò di salvezza per loro stessi e piena di possibilità
per alleviare e redimere l’umanità. Solo allora il Vangelo può
impossessarsi dell’uomo per intero, corpo, anima e spirito, e
distribuire a ciascuna delle parti che compongono la sua natura, il suo
compito e la sua ricompensa. Molti dei messaggi correnti si rivolgono ad
una sola parte della natura umana. Offrono pace, non vita, fede non amore,
riabilitazione non rigenerazione. E gli uomini si distaccano presto da una
simile religione perchè in realtà essa non ha mai fatto presa su di
loro. La loro natura non ne era interamente permeata. Non veniva loro
offerta una corrente di vita più profonda né più lieta di quella
vissuta fino allora. Questo prova che solo un amore più grande può
gareggiare con l’amore del mondo. Abbondanza d’amore vuol dire
abbondanza di vita e amore eterno vuol dire vita eterna. Quindi la vita
eterna è indissolubilmente legata all’amore. Vogliamo vivere
eternamente per la stessa ragione per cui vogliamo vivere domani. Perché
volete vivere domani? Perché qualcuno vi ama, qualcuno che volete vedere
domani e amare a vostra volta. Nessun’altra ragione spiega il nostro
desiderio di vivere se non quello di amare e di essere riamati... Anche la
vita eterna è conoscenza di Dio e Dio è amore. Questa è la definizione
stessa di Cristo. Meditatela: «Questa è la vita eterna: che essi
possano conoscere Te, solo vero Dio, e conoscere Gesù Cristo che Tu hai
mandato». L’Amore deve essere eterno. È ciò che è Dio. In ultima
analisi dunque Amore significa Vita. L’Amore non viene mai meno e la
vita non viene mai meno finchè c’è Amore. Ecco la filosofia di quanto
ci mostra san Paolo, la ragione per cui, nella natura delle cose, la Carità
deve essere la cosa suprema: perchè è destinata a durare, perchè
è Vita Eterna. Quella Vita è una cosa che stiamo vivendo ora, non una
cosa che avremo al momento di morire: abbiamo ben poche possibilità di
ottenerla quando morremo, se non la viviamo ora. Non esiste peggiore
destino in questo mondo che quello di vivere e invecchiare solo, senza
amare e senza essere amato. Essere perduto vuol dire vivere senza essere
rigenerato, senza amare e senza essere amato; essere salvato vuol dire
amare, e colui che vive nell’amore vive già in Dio, poiché Dio è
amore. Prova a seguirmi Ora ho quasi terminato. Quanti di voi
vorranno seguirmi e leggere questo capitolo una volta la settimana per i
prossimi tre mesi? Un uomo fece così e la sua vita intera ne fu cambiata.
Volete provare? È PER LA COSA PIU’ GRANDE DEL MONDO! Potreste
incominciare a leggerlo ogni giorno, specie quei versetti che descrivono
il carattere perfetto: «La Carità è paziente, è benigna la Carità;
non è invidiosa la Carità, non si vanta». Portate questi
ingredienti nella vostra vita. Allora tutto ciò che farete sarà eterno.
È una cosa che merita. Merita dedicarvi del tempo. Nessuno può diventare
santo dormendo e per assolvere la condizione posta occorrono preghiera,
meditazione e tempo; allo stesso modo che per perfezionarsi su qualsiasi
piano, fisico o spirituale, occorre preparazione e cura. Volgetevi a
quest’unica cosa: a qualunque costo cambiate questo vostro vecchio «io»
per fare spazio alla «novità» dell’amore. Se guardate la vostra
vita a ritroso, vi accorgerete che i momenti salienti, i momenti in cui
avete veramente vissuto, sono i momenti in cui avete agito per spirito di
Carità. Riandando al passato con la memoria, al di sopra e al di là dei
piaceri effimeri della vita, risaltano quei momenti supremi in cui avete
avuto modo di compiere degli atti di bontà inavvertiti in favore di
coloro che vi circondano; cose troppo piccole perchè possa valer la pena
di parlarne, ma che pure vi danno la sensazione di essere entrate nella
vostra vita eterna. Ho visto quasi tutte le cose meravigliose che Dio ha
fatto, ho provato quasi tutti i piaceri che Dio ha progettato per
l’uomo: eppure, guardando indietro, io vedo emergere dalla vita già
trascorsa quattro o cinque brevi esperienze in cui l’amor di Dio si
rifletteva in una modesta imitazione, in un mio piccolo atto d’amore e
queste sono le sole cose che sopravvivono alla nostra vita. Tutto il resto
è transitorio. Ogni altro bene è frutto di fantasia. Ma gli atti
d’amore che tutti ignorano - e ignoreranno sempre, quelli non falliscono
mai.
La Carità: tema del Giudizio Nel Vangelo di
san Matteo, dove il giorno del giudizio ci è illustrato con l’immagine
di Colui che, seduto su un trono, divide le pecore dai capri, il banco di
prova per l’uomo non è «come ho creduto», ma «come ho
amato». Il banco di prova della religione, la prova finale della
nostra vita, sarà non quello che ho fatto, né quello che ho creduto, né
quello che ho realizzato, ma la maniera con cui ho praticato la Carità di
ogni giorno. Per ciò che non abbiamo fatto, cioè per i peccati di
omissione, noi saremo giudicati. Non potrebbe essere altrimenti.
Infatti, rifiutare la Carità significa rifiutare lo spirito di Cristo,
segno che non l’abbiamo mai conosciuto, che per noi Egli ha vissuto
invano. Significa che Egli non ha suggerito nulla al nostro pensiero, che
non ha ispirato niente nella nostra vita, che non siamo mai stati, neppure
una sola volta, abbastanza vicino a Lui da essere toccati dal fascino
della sua compassione per il mondo. Significa che: «Ho vissuto per me,
ho pensato per me, per me solo e nessun altro Come se Gesù non fosse mai
vissuto E come se Egli non fosse mai morto». È davanti al Figlio
dell’Uomo che tutte le nazioni del mondo saranno convocate. È
alla presenza dell’Umanità che saremo accusati. E lo spettacolo
medesimo, la sola vista di essa umanità, giudicherà silenziosamente
ciascuno di noi. Saranno presenti coloro che abbiamo incontrato e aiutato;
o la moltitudine ignorata cui avremo negato compassione o rispetto. Nessun
altro testimone occorrerà convocare. Nessun’altra accusa, se non quella
di mancanza di Carità, ci sarà mossa. Non ingannatevi. Le parole che un
giorno ascolterà ciascuno di noi parleranno di vita, di poveri e di
affamati, di ricovero e di vestiario, di bicchieri di acqua fresca in nome
di Gesù Cristo. Chi è Cristo?: Colui che ha dato da mangiare agli
affamati, vestito gli ignudi, visitato gli infermi. Dove è Cristo?: Chiunque
avrà accolto un piccolo fanciullo nel mio nome avrà ricevuto Me. E
chi appartiene a Cristo?: Chiunque ama è nato da Dio. Non
permettete mai che qualcuno venga a voi senza che se ne vada via migliore
e più contento. Siate l’espressione della bontà di Dio; bontà sui
vostri volti, bontà nei vostri occhi, bontà nel vostro sorriso, bontà
nel vostro cordiale saluto. Ai bambini, ai poveri, a tutti coloro che
soffrono e sono abbandonati, date sempre un gioioso sorriso. Date a loro
non solo le vostre cure, ma anche il vostro cuore. Madre Teresa di
Calcutta