IL
COMBATTIMENTO SPIRITUALE
di LORENZO SCUPOLI
Poiché sempre
piacquero e piacciono tuttora a vostra Maestà i sacrifici e le
offerte di noi mortali quando da puro cuore vengono offerti a
gloria vostra, io presento questo trattatello del Combattimento
spirituale dedicandolo alla divina vostra Maestà. Né mi
tiro indietro perché questo trattato è piccolo: infatti ben si
sa che voi solo siete quell'alto Signore che si diletta delle
cose umili e disprezza le vanità e le pretese del mondo. E come
potevo io senza biasimo e senza danno dedicarlo ad altra persona
che alla vostra Maestà, Re del cielo e della terra? Quanto
insegna questo trattatello tutto è dottrina vostra, avendoci
voi insegnato che, non confidando più in noi stessi,
confidiamo in voi, combattiamo e preghiamo.
Inoltre se ogni combattimento ha bisogno di un capo esperto
che guidi la battaglia e animi i soldati, i quali tanto più
generosamente combattono quanto più militano sotto un
invincibile capitano, non ne avrà forse bisogno questo Combattimento
spirituale? Voi dunque eleggemmo, Gesù Cristo (noi tutti
che già siamo risoluti a combattere e a vincere qualunque
nemico), per nostro Capitano: voi che avete vinto il mondo, il
principe delle tenebre, e con le piaghe e la morte della vostra
sacratissima carne avete vinto la carne di tutti quelli che
hanno combattuto e combatteranno generosamente.
Quando io, Signore, ordinavo questo Combattimento, avevo
sempre nella mente quel detto: “Non siamo nemmeno capaci
di pensare qualcosa come proveniente da noi” (2Cor 3,5).
Se senza di voi e senza il vostro aiuto non possiamo avere
pensieri che siano buoni, come potremo da soli combattere contro
tanti potentissimi nemici ed evitare tante innumerevoli e
nascoste insidie?
Vostro è, Signore, da tutte le parti questo Combattimento, perché,
come ho detto, vostra è la dottrina e vostri sono tutti i
soldati spirituali, tra i quali siamo noi Chierici Regolatori
Teatini: perciò, tutti chini ai piedi della vostra altissima
Maestà, vi preghiamo di accettare questo Combattimento muovendoci
e animandoci sempre con la vostra grazia attuale a combattere
molto più generosamente: perché noi non dubitiamo affatto che,
combattendo voi in noi, vinceremo a gloria vostra e della vostra
santissima Madre Maria Vergine.
“Voi oggi
siete prossimi
a dar battaglia ai vostri nemici;
il vostro cuore non venga meno;
non temete, non vi smarrite
e non vi spaventate dinanzi a loro,
perché il Signore vostro Dio cammina con voi
per combattere per voi
contro i vostri nemici e per salvarvi”
(Dt 20,3-4)
CAPITOLO
I
In che consista la perfezione cristiana.
Per acquistarla bisogna combattere.
Quattro cose necessarie per questa battaglia
Volendo tu,
figliuola in Cristo amatissima, conseguire l'altezza della
perfezione e, accostandoti al tuo Dio, diventare uno stesso
spirito con lui (cfr. 1Cor 6,17), dal momento che questa è la
maggiore e la più nobile impresa che si possa dire o
immaginare, devi prima conoscere in che cosa consista la vera e
perfetta vita spirituale.
Molti infatti, senza troppo riflettere, l'hanno posta nel rigore
della vita, nella macerazione della carne, nei cilizi, nei
flagelli, nelle lunghe veglie, nei digiuni e in altre simili
asprezze e fatiche corporali.
Altri, e particolarmente le donne, credono di aver fatto molto
cammino se dicono molte preghiere vocali; se partecipano a
parecchie messe e a lunghe salmodie; se frequentemente vanno in
chiesa e si ritemprano al banchetto eucaristico.
Molti altri (tra cui talvolta se ne ritrova qualcuno che,
vestito dell'abito religioso, vive nei chiostri) si sono
persuasi che la perfezione dipenda del tutto dal frequentare il
coro, dal silenzio, dalla solitudine e dalla regolata
disciplina: e così chi in queste e chi in altre simili azioni
ritiene che sia fondata la perfezione.
Il che però non è così! Siccome dette azioni sono ora mezzo
per acquistare spirito e ora frutto di spirito, così non si può
dire che in esse solo consistano la perfezione cristiana e il
vero spirito.
Sono senza dubbio mezzo potentissimo per acquistare spirito per
quelli che bene e discretamente le usano, per prendere vigore e
forza contro la propria malizia e fragilità; per armarsi contro
gli assalti e gli inganni dei nostri comuni nemici; per
provvedersi di quegli aiuti spirituali che sono necessari a
tutti i servi di Dio e massimamente ai principianti.
Sono poi frutto di spirito nelle persone veramente spirituali,
le quali castigano il corpo perché ha offeso il suo Creatore e
per tenerlo sottomesso e umile nel suo servizio; tacciono e
vivono solitarie per fuggire qualunque minima offesa del Signore
e per conversare nei cieli (cfr. Fíl 3,20 Volgata); attendono
al culto divino e alle opere di pietà; pregano e meditano la
vita e la passione di nostro Signore non per curiosità e gusti
sensibili, ma per conoscere ancora di più la propria malizia e
la bontà misericordiosa di Dio, onde infiammarsi sempre più
nell'amore divino e nell'odio di se stesse, seguendo con la loro
abnegazione e la croce in spalla il Figliuolo di Dio;
frequentano i santissimi sacramenti a gloria di sua divina Maestà,
per congiungersi più strettamente con Dio e per prendere nuova
forza contro i nemici.
Ma ad altri poi che pongono nelle suddette opere esteriori tutto
il loro fondamento, possono, non per difetto delle cose in sé
(che sono tutte santissime) ma per difetto di chi le usa,
porgere talvolta occasione di rovina più che i peccati fatti
apertamente. Mentre sono intenti solo in esse, abbandonano il
cuore in mano alle inclinazioni e al demonio occulto, il quale,
vedendo che questi già sono fuori del retto sentiero, li lascia
non solamente continuare con diletto nei suddetti esercizi ma
anche spaziare secondo il loro vano pensiero per le delizie del
paradiso, dove si persuadono di essere sollevati tra i cori
angelici e di sentire Dio dentro di sé. Questi si trovano
talora tutti assorti in certe meditazioni piene di alti, curiosi
e dilettevoli punti e, quasi dimentichi del mondo e delle
creature, par loro di essere rapiti al terzo cielo.
Ma in quanti errori si trovino questi avviluppati e quanto siano
lontani da quella perfezione che noi andiamo cercando,
facilmente si può comprendere dalla vita e dai loro costumi:
infatti questi vogliono in ogni cosa grande e piccola essere
preferiti agli altri e avvantaggiati su di loro, sono radicati
nella propria opinione e ostinati in ogni loro voglia. Ciechi
nei propri, sono invece solleciti e diligenti osservatori e
mormoratori dei detti e dei fatti altrui. Se tu li tocchi anche
un poco in una certa loro vana reputazione, in cui essi si
tengono e si compiacciono di essere tenuti dagli altri, e li
levi da quelle devozioni che usano passivamente, si alterano
tutti e s'inquietano moltissimo. E se Dio, per ridurli alla vera
conoscenza di se stessi e sulla strada della perfezione, manda
loro travagli e infermità o permette persecuzioni (che non
vengono mai senza sua volontà, così volendo o permettendo, e
che sono la pietra di paragone della lealtà dei suoi servi),
allora scoprono il loro falso fondo e l'interno corrotto e
guasto a causa della superbia. Infatti in ogni avvenimento,
triste o lieto che sia, non vogliono rassegnarsi e umiliarsi
sotto la mano divina acquietandosi nei sempre giusti benché
segreti giudizi di Dio (cfr. Rm 11,33); né sull'esempio del suo
Figliuolo, il quale umiliò se stesso e volle patire (cfr. Fil
2,8), si sottomettono a tutte le creature considerando come cari
amici i persecutori, che effettivamente sono strumenti della
divina bontà e cooperano alla loro mortificazione, perfezione e
salvezza.
Perciò è cosa certa che questi tali sono posti in grave
pericolo: avendo l'occhio interno ottenebrato e mirando con
quello se medesimi e le azioni esterne che sono buone, si
attribuiscono molti gradi di perfezione e così insuperbiti
giudicano gli altri: ma per loro non c'è chi li converta,
fuorché uno straordinario aiuto di Dio. Per tale motivo assai
più agevolmente si converte e si riduce al bene il peccatore
pubblico, anziché quello occulto e coperto con il manto delle
virtù apparenti.
Tu vedi dunque assai chiaramente, figliuola, che la vita
spirituale non consiste nelle suddette cose, come ti ho
dichiarato.
Devi sapere che essa non consiste in altro che nella conoscenza
della bontà e della grandezza di Dio, e della nostra nullità e
inclinazione a ogni male; nell'amore suo e nell'odio di noi
stessi; nella sottomissione non solo a lui, ma a ogni creatura
per amor suo; nella rinuncia a ogni nostro volere e nella totale
rassegnazione al suo divino beneplacito: inoltre essa consiste
nel volere e nel fare tutto questo semplicemente per la gloria
di Dio, per il solo desiderio di piacere a lui, e perché così
egli vuole e merita di essere amato e servito.
Questa è la legge d'amore impressa dalla mano dello stesso
Signore nei cuori dei suoi servi fedeli. Questo è il
rinnegamento di noi stessi, che da noi ricerca (cfr. Lc 9,23).
Questo è il giogo soave e il peso suo leggero (cfr. Mt 11, 30).
Questa è l'obbedienza, alla quale con l'esempio e con la parola
il nostro Redentore e Maestro ci chiama.
E perché, aspirando tu all'altezza di tanta perfezione, devi
fare continua violenza a te stessa per espugnare generosamente e
annullare tutte le voglie, grandi o piccole che siano,
necessariamente conviene che con ogni prontezza d'animo ti
prepari a questa battaglia: infatti la corona non si dà se non
a quelli che combattono valorosamente.
Siccome tale battaglia è più di ogni altra difficile (poiché
combattendo contro di noi, siamo insieme combattuti da noi
stessi), così la vittoria ottenuta sarà più gloriosa di ogni
altra e più cara a Dio.
Se tu attenderai a calpestare e a dar morte a tutti i tuoi
disordinati appetiti, desideri e voglie ancorché minime,
renderai maggior piacere e servizio a Dio che se, tenendo alcune
di quelle volontariamente vive, ti flagellassi fino al sangue e
digiunassi più degli antichi eremiti e anacoreti o convertissi
al bene migliaia di anime.
Sebbene il Signore in sé gradisca più la conversione delle
anime che la mortificazione di una voglietta, nondimeno tu non
devi volere né operare altro se non quello che il medesimo
Signore da te rigorosamente ricerca e vuole. Ed egli senza alcun
dubbio si compiace di più che tu ti affatichi e attenda a
mortificare le tue passioni che se tu, lasciandone anche una
avvedutamente e volontariamente viva in te, lo servissi in
qualunque cosa sia pure grande e di maggior importanza.
Ora che tu vedi, figliuola, in che consiste la perfezione
cristiana e che per acquistarla devi intraprendere una continua
e asprissima guerra contro te stessa, c'è bisogno che ti
provveda di quattro cose, come di armi sicurissime e
necessarissime, per riportare la palma e restare vincitrice in
questa spirituale battaglia. Queste sono: la diffidenza di
noi stessi, la confidenza in Dio, l'esercizio e l'orazione.
Di tutte tratteremo con l'aiuto divino e con facile brevità.
CAPITOLO
II
La diffidenza di noi stessi
La diffidenza
di te stessa, figliuola, ti è talmente necessaria in
questo combattimento che senza questa devi tenere per certo che
non solamente non potrai conseguire la vittoria desiderata, ma
neppure superare una ben piccola tua passioncella. E ciò ti
s'imprima bene nella mente, perché noi siamo purtroppo facili e
inclinati dalla natura corrotta verso una falsa stima di noi
stessi: essendo veramente non altro che un bel nulla, ci
convinciamo tuttavia di valere qualche cosa; e senza alcun
fondamento, vanamente presumiamo delle nostre forze. Questo è
difetto assai difficile a conoscersi e dispiace molto agli occhi
di Dio, che ama e vuole in noi una leale cognizione di questa
certissima verità che ogni grazia e virtù derivano in noi da
lui solo, fonte di ogni bene; e che da noi non può venire
nessuna cosa, neppure un buon pensiero che gli sia gradito (cfr.
2Cor 3,5).
E benché questa tanto importante diffidenza sia ben anche opera
della sua divina mano che suole darla ai suoi cari amici ora con
sante ispirazioni, ora con aspri flagelli e con violente e quasi
insuperabili tentazioni, e con altri mezzi non intesi da noi
medesimi, tuttavia, volendo egli che anche da parte nostra si
faccia quello che tocca a noi, ti propongo quattro modi con i
quali, aiutata principalmente dal supremo favore, tu possa
conseguire tale diffidenza.
Il primo è che tu consideri e conosca la tua viltà e nullità
e che da te non puoi fare alcun bene per il quale meriti di
entrare nel regno dei cieli.
Il secondo è che con ferventi e umili preghiere la domandi
spesso al Signore, poiché è dono suo. E per ottenerla prima ti
devi mirare non solo priva di essa, ma del tutto impotente ad
acquistarla da te. Così presentandoti più volte davanti alla
divina Maestà con una fede certa che per sua bontà sia per
concedertela, e aspettandola con perseveranza per tutto quel
tempo disposto dalla sua provvidenza, non vi è dubbio che
l'otterrai.
Il terzo modo è che ti abitui a temere te stessa, il tuo
giudizio, la forte inclinazione al peccato, gli innumerevoli
nemici ai quali non hai forza di fare una minima resistenza; la
loro esperienza nel combattere, gli stratagemmi, le loro
trasfigurazioni in angeli di luce; le innumerevoli arti e i
tranelli, che nella via stessa della virtù nascostamente ci
tendono.
Il quarto modo è che quando ti avviene di cadere in qualche
difetto, allora tu penetri più dentro e più vivamente nella
considerazione della tua somma debolezza: infatti per questo
fine Dio ha permesso la tua caduta, affinché, avvisata
dall'ispirazione con più chiaro lume di prima, conoscendoti
bene impari a disprezzare te stessa come cosa purtroppo vile e
per tale tu voglia anche dagli altri essere tenuta e parimenti
disprezzata. Sappi che senza questa volontà non vi può essere
virtuosa diffidenza, la quale ha il suo fondamento nell'umiltà
vera e nella cognizione sperimentale.
Chiara è questa cosa: a ognuno che vuol congiungersi con la
luce suprema e con la verità increata è necessaria la
conoscenza di se stesso, che la divina clemenza dà
ordinariamente ai superbi e ai presuntuosi attraverso le cadute:
essa li lascia giustamente incorrere in qualche mancanza dalla
quale si persuadono di potersi difendere, affinché, venendosi
così a conoscere, apprendano a diffidare in tutto di se
medesimi.
Il Signore, però, non è solito servirsi di questo mezzo così
miserabile se non quando gli altri più benigni, che abbiamo
detto sopra, non hanno portato quel giovamento inteso dalla sua
divina bontà. Essa permette che l'uomo cada più o meno tanto
quanto maggiore o minore è la sua superbia e la propria
reputazione; in maniera che dove non si ritrovasse la pur minima
presunzione, come fu in Maria Vergine, similmente non vi sarebbe
nemmeno la pur minima caduta. Dunque quando cadi, corri subito
col pensiero all'umile conoscenza di te stessa e con preghiera
insistente (cfr. Lc 11,5-13) domanda al Signore che ti doni il
vero lume per conoscerti e la totale diffidenza di te stessa, se
non vorrai cadere di nuovo e talvolta in più grave rovina.
CAPITOLO
III
La confidenza in Dio
Benché in questa
battaglia, come abbiamo detto, sia tanto necessaria la
diffidenza di sé, tuttavia, se l'avremo sola, o ci daremo alla
fuga o resteremo vinti e superati dai nemici; e perciò oltre a
questa ti occorre ancora la totale confidenza in Dio,
da lui solo sperando e aspettando qualunque bene, aiuto e
vittoria. Perché siccome da noi, che siamo niente, non ci è
lecito prometterci altro che cadute, onde dobbiamo diffidare del
tutto di noi medesimi, così grazie a nostro Signore
conseguiremo sicuramente ogni gran vittoria purché, per
ottenere il suo aiuto, armiamo il nostro cuore di una viva
confidenza in lui. E questa parimenti in quattro modi si può
conseguire.
Primo: col domandarla a Dio.
Secondo: col considerare e vedere con l'occhio della fede
l'onnipotenza e la sapienza infinita di Dio, al quale niente è
impossibile (cfr. Lc 1,37) né difficile; e che essendo la sua
bontà senza misura, con indicibile amore sta pronto e preparato
a dare di ora in ora e di momento in momento tutto quello che ci
occorre per la vita spirituale e la totale vittoria su noi
stessi, se ci gettiamo con confidenza nelle sue braccia. E come
sarà possibile che il nostro Pastore divino, il quale trentatré
anni ha corso dietro alla pecorella smarrita con grida tanto
forti da diventarne rauco e per via tanto faticosa e spinosa da
spargervi tutto il sangue e lasciarvi la vita, ora che questa
pecorella va dietro a lui con l'obbedienza ai suoi comandamenti
oppure con il desiderio benché alle volte fiacco di obbedirgli,
chiamandolo e pregandolo, come sarà possibile che egli non
volga ad essa quei suoi occhi vivificanti, non l'oda e non se la
metta sulle divine spalle facendone festa con tutti i suoi
vicini e con gli angeli del cielo? Che se nostro Signore non
lascia di cercare con grande diligenza e amore e di trovare
nella dramma evangelica il cieco e muto peccatore, come sarà
possibile che abbandoni colui che come smarrita pecorella grida
e chiama a suo Pastore? E chi crederà mai che Dio, il quale
batte di continuo al cuore dell'uomo per il desiderio di
entrarvi e cenarvi comunicandogli i suoi doni, faccia egli
davvero il sordo e non vi voglia entrare qualora l'uomo apra il
cuore e lo inviti (cfr. Ap 3,20)?
Il terzo modo per acquistare questa santa confidenza è il
ricorrere con la memoria alla verità della sacra Scrittura, la
quale in tanti luoghi ci mostra chiaramente che non restò mai
confuso colui che confidò in Dio.
Il quarto modo, che servirà per conseguire insieme la
diffidenza di te stessa e la confidenza in Dio, è questo:
quando ti capita qualcosa da fare e di intraprendere qualche
battaglia e vincere te stessa, prima che ti proponga o ti
risolva di volerla fare rivolgiti con il pensiero alla tua
debolezza e, diffidando completamente, volgiti poi alla potenza,
alla sapienza e alla bontà divina. E in queste confidando,
delibera di operare e di combattere generosamente; ma come nel
suo luogo dirò, combatti e opera poi con queste armi in pugno e
con l'orazione. E se non osserverai quest'ordine, anche se ti
parrà di fare ogni cosa nella confidenza in Dio, ti troverai in
gran parte ingannata: infatti è tanto sottile e tanto propria
all'uomo la presunzione di se medesimo, che subdolamente quasi
sempre vive nella diffidenza che ci pare di avere di noi stessi
e nella confidenza che stimiamo di avere in Dio.
Perché tu fugga quanto più sia possibile la presunzione e
operi con la diffidenza di te stessa e con la confidenza in Dio,
fa in maniera che la considerazione della tua debolezza preceda
la considerazione dell'onnipotenza di Dio e ambedue precedano le
nostre opere.
CAPITOLO
IV
Come possa conoscersi se l'uomo opera con la diffidenza di sé e
con la confidenza in Dio
Alle volte pare
assai al servo presuntuoso d'aver ottenuto la diffidenza di sé
e la confidenza in Dio, ma non sarà così. E di ciò ti darà
chiarezza l'effetto che produrrà in te la caduta.
Se tu dunque, quando cadi, t'inquieti, ti rattristi e ti senti
chiamare a un certo che di disperazione di poter andare più
innanzi e di far bene, è segno certo che tu confidavi in te e
non in Dio. E se molta sarà la tristezza e la disperazione,
molto tu confidavi in te e poco in Dio: infatti colui che in
gran parte diffida di se stesso e confida in Dio, quando cade
non si meraviglia, non si rattrista né si rammarica conoscendo
che ciò gli capita per sua debolezza e poca confidenza in Dio.
Anzi più diffida di sé, assai più umilmente confida in Dio; e
avendo in odio sopra ogni cosa il difetto e le passioni
disordinate, causa della caduta, con un dolore grande, quieto e
pacifico per l'offesa di Dio, segue poi l'impresa e perseguita i
suoi nemici fino alla morte con maggior animo e risoluzione.
Queste cose vorrei che fossero ben considerate da certe persone
che si dicono spirituali. Quando esse sono incorse in qualche
difetto, non possono né vogliono darsi pace; e alle volte, più
per liberarsi dall'ansietà e dall'inquietudine dovute all'amor
proprio che per altro, non vedono l'ora di andare a trovare il
padre spirituale, dal quale dovrebbero andare principalmente per
lavarsi dalla macchia del peccato e prendere forza contro di
esso con il santissimo sacramento dell'eucaristia.
CAPITOLO
V
Un errore di molti, dai quali la pusillanimità è tenuta per
virtù
In questo ancora
si ingannano molti, i quali attribuiscono a virtù la
pusillanimità e l'inquietudine che seguono dopo il peccato,
perché sono accompagnate da qualche dispiacere: ma essi non
sanno che nascono da occulta superbia e presunzione fondate
sulla confidenza in se stessi e nelle proprie forze nelle quali,
perché si stimavano qualche cosa, avevano eccessivamente
confidato. Costoro, scorgendo dalla prova della caduta di
sbagliare, si turbano e si meravigliano come di cosa strana e
diventano pusillanimi, vedendo caduto per terra quel sostegno in
cui vanamente avevano riposto la loro confidenza.
Questo non accade all'umile, il quale, confidando nel suo solo
Dio e in niente presumendo di sé, quando incorre in qualsiasi
colpa, pur sentendone dolore, non se ne inquieta o se ne
meraviglia: egli sa che tutto ciò gli avviene per sua miseria e
propria debolezza da lui molto ben conosciute con lume di verità.
CAPITOLO
VI
Altri avvisi, perché acquistiamo la diffidenza di noi stessi e
la confidenza in Dio
Poiché tutta la
forza di vincere i nostri nemici nasce principalmente dalla
diffidenza di noi stessi e dalla confidenza in Dio, di nuovo ti
provvedo di avvisi perché tu le consegua con il divino aiuto.
Devi sapere dunque e tenere per cosa certa che né tutti i doni,
o naturali o acquisiti che siano, né tutte le grazie gratis
date, né la conoscenza di tutta la Scrittura, né l'aver
lungamente servito Dio e fatto in questo l'abitudine ci faranno
compiere la sua volontà, se in qualunque opera buona e accetta
agli occhi suoi che dobbiamo fare, e in qualunque tentazione che
dobbiamo vincere, e in qualunque pericolo che dobbiamo fuggire,
e in qualunque croce che dobbiamo portare secondo la sua volontà,
se, dico, non è aiutato ed elevato il cuor nostro dal
particolare aiuto di Dio, e anzi Dio stesso non ci tenda anche
la mano per fare tutto questo. Dunque dobbiamo in tutta la
nostra vita, in tutti i giorni, in tutte le ore e in tutti i
momenti aver presente questa verità: che così per nessuna via
o progetto potremo mai confidare in noi stessi.
Per quanto poi riguarda la confidenza in Dio, sappi che per lui
non c'è niente di più facile che vincere i pochi come i molti
nemici, i vecchi ed esperti come i fiacchi e inesperti. Perciò,
sebbene un'anima sia carica di peccati, abbia tutti i difetti
del mondo, anzi sia difettosa quanto mai si possa immaginare;
benché abbia tentato quanto si voglia, usato qualunque mezzo e
fatto qualunque esercizio per lasciare il peccato e operare il
bene; benché non abbia mai potuto acquistare un minimo di bene,
anzi sia precipitata più pesantemente nel male: con tutto ciò
non deve mancare di confidare in Dio né deve mai lasciare le
armi e gli esercizi spirituali, ma combattere sempre
generosamente in quanto bisogna sapere che in questa battaglia
spirituale non perde chi non smette di combattere e di confidare
in Dio, il cui aiuto non manca mai ai suoi soldati anche se a
volte permette che siano feriti. Si combatta pure, perché qui
è tutto! La medicina per le ferite è pronta ed efficace per i
soldati, che con confidenza cercano Dio e il suo aiuto; e quando
meno ci pensano, i nemici si troveranno morti.
CAPITOLO
VII
L'esercizio.
E in primo luogo l'esercizio dell'intelletto, che va guardato
dall'ignoranza e dalla curiosità
Se la diffidenza
di noi e la confidenza in Dio tanto necessarie in questa
battaglia saranno sole, non solamente non avremo vittoria su noi
stessi, ma precipiteremo in molti mali. Perciò, oltre a queste,
ci è necessario l'esercizio, che è la terza cosa
proposta sopra. Questo esercizio si deve fare principalmente con
l'intelletto e con la volontà. Quanto all'intelletto deve
essere da noi guardato da due cose che sogliono combatterlo.
L'una è l'ignoranza, che lo oscura e gli impedisce la
conoscenza del vero, che è il suo oggetto proprio. Perciò con
l'esercizio lo si deve rendere lucido e chiaro, perché possa
vedere e discernere bene quanto ci è necessario per purificare
l'anima dalle passioni disordinate e ornarla delle sante virtù.
Questo lume in due modi si può ottenere.
Il primo e più importante è l'orazione, pregando lo Spirito
Santo che si degni infonderlo nei nostri cuori. Questo lo farà
sempre, se in verità cercheremo Dio solo; se cercheremo di fare
la sua santa volontà e se sottoporremo ogni cosa insieme al
nostro giudizio alla decisione del padre spirituale.
L'altro modo è un continuo esercizio di profonda e leale
considerazione delle cose per vedere come siano, se buone o
cattive: e ciò secondo come insegna lo Spirito Santo e non come
appaiono all'esterno, si rappresentano ai sensi e giudica il
mondo.
Questa considerazione, fatta come si conviene, ci fa chiaramente
conoscere che si debbono avere per nulla, per vanità e bugia
tutte quelle cose che il cieco e corrotto mondo ama e desidera,
e che con vari modi e mezzi si va procurando; che gli onori e i
piaceri terreni non sono altro che vanità e afflizione di
spirito; che le ingiurie e le infamie, che il mondo ci dà,
portano vera gloria e le tribolazioni quiete; che perdonare i
nemici e fare loro del bene è magnanimità e una delle maggiori
somiglianze con Dio; che vale più il disprezzo del mondo che
l'esserne padrone; che l'obbedire volentieri per amore di Dio
alle più vili creature è cosa più magnanima e generosa del
comandare ai grandi prìncipi; che l'umile conoscenza di noi
stessi si deve apprezzare più dell'altezza di tutte le scienze;
che il vincere e mortificare i propri appetiti, per piccoli che
siano, merita maggior lode che l'espugnare molte città (cfr.
Pro 16,32), superare potenti eserciti con le armi in mano, fare
miracoli e risuscitare i morti.
CAPITOLO
VIII
Le cause per cui non discerniamo rettamente le cose.
Il metodo che si deve usare per conoscerle bene
La causa per cui
non discerniamo rettamente tutte le cose suddette insieme a
molte altre è che al primo loro apparire vi attacchiamo o
l'amore o l'odio. Da questi oscurato, l'intelletto non le
giudica con rettitudine per quelle che sono.
Tu, perché in te non trovi luogo questo inganno, sii accorta
nel tenere sempre quanto più puoi la tua volontà purificata e
libera dall'affetto disordinato a qualunque cosa. E quando ti
viene posto innanzi qualunque oggetto, osservalo bene con
l'intelletto e consideralo con maturità prima che da odio, se
si tratta di cosa contraria alle nostre naturali inclinazioni, o
da amore, se ti apporta diletto, tu sia mossa a volerlo oppure a
rifiutarlo. Perché allora l'intelletto, non essendo ingombrato
da passione, è libero e chiaro; può conoscere il vero e
penetrare dentro al male, che è nascosto sotto il falso
piacere, e al bene coperto dall'apparenza del male.
Ma se la volontà si è prima inclinata ad amare la cosa o l'ha
presa in aborrimento, l'intelletto non la può ben conoscere,
perché quell'affetto, che si è interposto, lo offusca in modo
da fargliela stimare diversamente da quella che è, e per tale
rappresentandola alla volontà, essa si muove più ardentemente
di prima ad amarla oppure a odiarla contro ogni ordine e legge
di ragione. Da tale affetto viene a essere oscurato maggiormente
l'intelletto e, così oscurato, fa di nuovo sembrare alla volontà
la cosa più che mai amabile o odiosa. Perciò, se non si
osserva la regola che ho detto (il che in tutto questo esercizio
è di somma importanza), queste due potenze tanto nobili ed
eccellenti, intelletto e volontà, vengono miseramente a
camminare sempre, come in un vortice, di tenebre in più folte
tenebre e di errore in errore maggiore.
Guardati dunque, figliuola, con ogni vigilanza da ogni non bene
ordinato affetto a qualsiasi cosa, che prima non sia da te ben
esaminata e riconosciuta per quella che è veramente con il lume
dell'intelletto, e principalmente con quello della grazia e
dell'orazione e con il giudizio del tuo padre spirituale. Il che
intendo che tu debba osservare, talora più che nelle altre
cose, in alcune opere esteriori che sono buone e sante, perché
in queste, per essere tali, vi è più che in quelle pericolo di
inganno e di indiscrezione da parte nostra. Onde per qualche
circostanza di tempo, di luogo e di misura, o per rispetto
dell'obbedienza, alcune volte ti potrebbero recare non piccolo
danno, come di molti si sa che nei lodevoli e santissimi
esercizi hanno corso pericolo.
CAPITOLO
IX
Un'altra cosa da cui si deve guardare l'intelletto perché possa
discernere bene
L'altra cosa da
cui dobbiamo difendere l'intelletto è la curiosità perché,
riempiendolo noi di pensieri nocivi, vani e impertinenti, lo
rendiamo inabile e incapace di apprendere ciò che più
appartiene alla nostra vera mortificazione e perfezione. Per cui
tu devi essere come morta in tutto a ogni investigazione delle
cose terrene non necessarie, sebbene lecite.
Restringi sempre il tuo intelletto quanto puoi e ama di farlo
stolto. Le novità e le vicissitudini del mondo, piccole e
grandi, per te siano appunto come se non fossero; e se ti sono
offerte, opponiti loro e scacciale lontano da te. Nel desiderio
di intendere le cose celestiali fa' in modo da essere sobria e
umile, non volendo sapere altro che Cristo crocifisso (cfr. 1Cor
2,2; Gal 6,14; 1Cor 1,23), la vita e la morte sua e quanto da te
domanda. Allontana da te tutto il resto e farai cosa molto
gradita a Dio, il quale considera suoi cari e diletti coloro che
desiderano da lui e cercano quelle cose che bastano per amare la
sua divina bontà e per fare la sua volontà. Ogni altra domanda
e ricerca è amor proprio, superbia e inganno del demonio.
Se tu seguirai queste norme potrai sfuggire a molte insidie
perché, vedendo l'astuto serpente che in quelli che attendono
alla vita spirituale la volontà è gagliarda e forte, tenta di
abbattere il loro intelletto per farsi così padrone di questo e
di quella. Onde è solito molte volte dar loro sentimenti alti,
vivi e stravaganti; e li concede massimamente alle persone acute
e di grande ingegno e che sono facili a montare in superbia
perché, occupate nel diletto e nella meditazione di quei punti
nei quali falsamente si persuadono di godere Dio, si
dimentichino di purificare il cuore e di attendere alla
conoscenza di se stessi e alla vera mortificazione. Irretiti così
nel laccio della superbia, si fanno un idolo del proprio
intelletto. Da questo ne segue che a poco a poco, senza
accorgersene, si convincono di non avere bisogno del consiglio e
ammaestramento altrui, essendo già abituati a ricorrere in ogni
evenienza all'idolo del proprio giudizio.
Questa è cosa di grave pericolo e molto difficile a curarsi,
perché è più pericolosa la superbia dell'intelletto che della
volontà: essendo la superbia della volontà manifesta al
proprio intelletto, facilmente un giorno potrà curarla
obbedendo a chi deve. Ma chi ha ferma opinione che il suo parere
sia migliore di quello di altri, da chi e come potrà essere
sanato? Come si sottoporrà al giudizio di altri, che non
ritiene tanto buono quanto il suo proprio? Se l'occhio
dell'anima, che è l'intelletto, con cui si doveva conoscere e
purificare la piaga della superba volontà è infermo, cieco e
pieno della stessa superbia, chi lo potrà curare? E se la luce
diventa tenebre e la regola fallisce, che ne sarà del resto?
Perciò tu opponiti per tempo a così pericolosa superbia, prima
che ti penetri nelle midolla delle ossa. Rintuzza l'acutezza del
tuo intelletto: sottoponi facilmente il tuo parere a quello
altrui; diventa pazza per amore di Dio e sarai più saggia di
Salomone.
CAPITOLO
X
L'esercizio della volontà é il fine al quale si devono
indirizzare tutte le azioni interiori ed esteriori
Oltre
all'esercizio che tu devi fare intorno all'intelletto, ti è
necessario regolare talmente la tua volontà che, non
lasciandola nei suoi desideri, si renda in tutto conforme al
beneplacito divino. E avverti bene che non ti deve bastare
soltanto il volere e il procurare le cose che a Dio sono più
gradite, ma devi anche volerle e compierle come mossa da lui e
solamente allo scopo di piacergli. In questo abbiamo pure, più
che nel suddetto, contrasto grande con la natura: essa è
talmente inclinata verso se stessa che in tutte le cose, anche
nelle buone e nelle spirituali (talora più che nelle altre)
cerca il proprio comodo e diletto. In questi si va trattenendo e
di quelle, come di cibo per niente sospetto, si va avidamente
pascendo.
Infatti quando ci sono offerte, subito le adocchiamo e le
vogliamo, non come mossi dalla volontà di Dio né allo scopo di
piacere solamente a lui, ma per quel bene e diletto che derivano
dal volere le cose volute da Dio. Questo inganno è tanto più
occulto, quanto la cosa voluta è per se stessa migliore. Onde
persino nel desiderare lo stesso Dio vi sogliono essere degli
inganni dell'amor proprio, perché si mira spesso più al nostro
interesse e al bene che ne aspettiamo che alla volontà di Dio,
il quale per sua sola gloria si compiace e vuole da noi essere
amato, desiderato e obbedito.
Per guardarti da quest'insidia, che ti impedirebbe il cammino
della perfezione, e per abituarti a volere e a fare tutto come
mossa da Dio e con pura intenzione di onorare e di compiacere
lui solo (il quale vuole essere unico principio e fine di ogni
nostra azione e di ogni nostro pensiero), seguirai questa via.
Quando ti si offre qualcosa voluta da Dio, non inclinare la
volontà a volerla se prima non innalzi la mente a Dio per
vedere che è volontà sua che tu la voglia e perché egli così
vuole, e per piacere solamente a lui. Così mossa e attirata da
questa volontà, la tua si pieghi poi a volere quella cosa come
voluta da Dio e per suo solo beneplacito e onore. Parimenti
volendo tu rifiutare le cose non volute da Dio, non rifiutarle
se prima non fissi lo sguardo dell'intelletto nella sua divina
volontà, la quale vuole che tu le rifiuti per piacergli.
Ma devi sapere che le frodi della sottile natura sono poco
conosciute: essa, cercando sempre occultamente se medesima,
molte volte fa sembrare che in noi vi siano il detto motivo e il
fine di piacere a Dio, e non è così. Onde spesso avviene che
quello che si vuole o non si vuole per nostro interesse, pare a
noi di volerlo o non volerlo per piacere o non piacere a Dio.
Per fuggire da questo inganno il rimedio proprio e intrinseco
sarebbe la purezza del cuore, la quale consiste nello spogliarsi
dell'uomo vecchio e nel vestirsi del nuovo (cfr. Col 3,9-10; Ef
4,22-23): a tal fine si indirizza tutto questo Combattimento.
Tuttavia per predisporti come si deve, poiché sei piena di
te stessa, dal principio delle tue azioni sta' attenta a
spogliarti quanto puoi di ogni mistura dove tu possa stimare che
vi sia del tuo, e non volere né fare né rifiutare cosa alcuna,
se prima non ti senti muovere e tirare dal puro e semplice
volere di Dio. Se in tutte le azioni, e particolarmente in
quelle interiori dell'anima e in quelle esteriori che passano
presto, non potrai così sempre in atto sentire questo motivo,
contentati di averlo virtualmente in ciascuna, tenendo sempre
vera intenzione di piacere in tutto al tuo solo Dio.
Ma nelle azioni che continuano qualche spazio di tempo, non
solamente nel principio è bene che tu ecciti in te questo
motivo, ma devi stare attenta a rinnovarlo spesso e a tenerlo
desto fino all'ultimo: altrimenti vi sarebbe pericolo di
incappare in un altro tranello pure dell'amor nostro naturale.
Essendo questo incline e propenso più verso se stesso che verso
Dio, molte volte con intervallo di tempo suole farci
inavvertitamente cambiare gli oggetti e mutare le intenzioni.
Il servo di Dio, che in ciò non è ben attento, spesso comincia
a fare qualche cosa per il solo motivo di piacere al suo
Signore; ma poi a poco a poco, quasi senza accorgersene, si va
talmente compiacendo in quella con il proprio senso che,
scordatosi della divina volontà, si rivolge e si attacca a tal
punto al gusto sensibile e all'utile e all'onore che gliene
possono venire, che se Dio mette impedimento a quell'azione con
qualche infermità o avversità o per mezzo di qualche creatura,
egli ne rimane tutto turbato e inquieto e alle volte cade nella
mormorazione e di questo e di quello, per non dire talora dello
stesso Dio. Segno assai chiaro che l'intenzione sua non era in
tutto di Dio, ma nasceva da radice e da fondo guasto e corrotto.
Perché chiunque si muove come spinto da Dio e per piacere a lui
solo non vuole più l'una che l'altra cosa; ma vuole solamente
averla se a Dio piacerà che l'abbia e nel modo e tempo che gli
sarà gradito; e avendola o non avendola ne resta ugualmente
pacifico e contento, poiché in ogni modo ottiene il suo intento
e consegue il fine che altro non era se non il beneplacito di
Dio.
Perciò sta' ben raccolta in te stessa e attenta a indirizzare
sempre le tue azioni a questo perfetto fine. E se talora (cosi
ricercando la disposizione dell'anima tua) tu ti muovessi a
operare il bene allo scopo di fuggire le pene dell'inferno o per
la speranza del paradiso, ancora in questo ti puoi proporre per
ultimo fine il gradimento e la volontà di Dio: egli si compiace
che tu non vada all'inferno, ma che entri nel suo regno.
Non c'è chi possa pienamente conoscere quanta forza ed
efficacia abbia questo motivo, poiché una cosa, sia pur bassa o
minima quanto si voglia, fatta allo scopo di piacere a Dio solo
e per sua gloria, per così dire vale infinitamente più di
molte altre di grandissimo pregio e valore che siano fatte senza
questo motivo. Pertanto gli è più gradito un solo denaro dato
a un poverello per questo solo motivo di far piacere a sua
divina Maestà che se con altra intenzione, anche di godere i
beni del cielo (che è fine non solo buono ma sommamente
desiderabile), qualcuno si privasse di tutti i suoi averi, per
copiosi che fossero.
Questo esercizio di fare tutto allo scopo di piacere puramente a
Dio sembrerà da principio arduo; ma esso diventerà agevole e
facile con la consuetudine, con il desiderare molte volte lo
stesso Dio e con l'aspirare a lui con vivi affetti del cuore
come a perfettissimo e unico nostro bene, il quale per se stesso
merita che tutte le creature lo cerchino, lo servano e lo amino
sopra qualunque altra cosa.
Quanto più profondamente e più spesso sarà fatta la
considerazione dell'infinito merito di Dio, tanto più ferventi
e frequenti saranno gli atti suddetti della volontà; e così
con maggior facilità e più presto acquisteremo l'abitudine di
fare ogni azione in segno di rispetto e di amore per quel
Signore che solo ne è degno.
Infine ti avviso che per conseguire questo divino obiettivo,
oltre a quanto ti ho detto, occorre che tu lo domandi a Dio con
preghiera insistente e che consideri spesso gli innumerevoli
benefici cheDio ci ha fatti e tuttora ci fa per puro amore e
senza suo interesse.
CAPITOLO
XI
Alcune considerazioni che inducono la volontà a volere in ogni
cosa il beneplacito di Dio
Inoltre per
indurre con maggior facilità la tua volontà a volere in tutte
le cose il beneplacito di Dio e il suo onore, ricordati spesso
che egli ti ha prima in vari modi onorata e amata. Nella
creazione, creandoti dal nulla a sua somiglianza e mettendo
tutte le altre creature a tuo servizio (cfr. Gen 1,26-28). Nella
redenzione, mandando non un angelo ma il suo unigenito Figliuolo
a redimerti, non con prezzo corruttibile di oro e di argento ma
con il suo sangue prezioso (cfr. Pt 1, 18-19) e con la sua
penosa e ignominiosa morte. Che poi ogni ora, anzi ogni momento
ti guardi dai nemici, combatta per te con la sua grazia, tenga
continuamente preparato per tua difesa e per tuo cibo il suo
diletto Figliuolo nel sacramento dell'altare non è segno di
incalcolabile stima e amore che l'immenso Dio ti porta? Sicché
nessuno può capire quanta considerazione così gran Signore
abbia di noi poverelli, della nostra bassezza e miseria, e
viceversa quello che noi siamo tenuti a fare per così alta
Maestà, che tali e tante cose ha operate per noi. Se i signori
della terra, quando sono onorati da persone anche povere e
umili, si sentono obbligati a rendere loro onore, cosa dovrà
fare la nostra viltà con il supremo re dell'universo da cui si
vede così altamente apprezzata e amata?
Oltre a quanto ho detto, abbi sempre sopra ogni cosa viva
memoria che la divina Maestà per se stessa merita infinitamente
di essere onorata e servita, semplicemente perché tale è il
suo desiderio.
CAPITOLO
XII
Molte volontà esistono nell'uomo. La guerra che si fanno tra
loro
Benché si possa
dire che in questo combattimento in noi esistano due volontà -
l'una della ragione, detta perciò ragionevole e superiore,
l'altra del senso, chiamata inferiore e sensuale, la quale con i
nomi di appetito, carne, senso e passione si suole significare
-, tuttavia, poiché siamo uomini per la ragione, anche se
diciamo che con il solo senso vogliamo qualche cosa, non si
intende che veramente la vogliamo, fintanto che non ci
incliniamo a volerla con la volontà superiore. Per cui tutta la
nostra battaglia spirituale consiste principalmente nel fatto
che la volontà ragionevole, essendo come interposta fra la
volontà divina che la sovrasta e la volontà inferiore che è
quella del senso, è continuamente combattuta dall'una e
dall'altra, mentre ciascuna di queste tenta di tirarla a sé e
rendersela soggetta e obbediente. Ma gran pena e fatica,
specialmente all'inizio, provano quelli che sono prigionieri
delle cattive abitudini quando decidono di migliorare la loro
vita corrotta e, liberandosi del mondo e della carne, di darsi
all'amore e al servizio di Gesù Cristo.
Questo perché i colpi, che la volontà superiore sostiene dalla
volontà divina e da quella sensuale che le stanno sempre
intorno battagliandola, sono possenti e forti e si fanno ben
sentire non senza grave pena. Il che non avviene a quelli che
sono già abituati alle virtù o ai vizi e sulla loro via
intendono continuare, perché i virtuosi facilmente consentono
alla volontà divina e i viziosi si piegano senza contrasto a
quella del senso.
Ma nessuno presuma di poter conseguire le vere virtù cristiane
né di servire Dio come si conviene, se non vuole farsi violenza
davvero e sopportare la pena che si sente nel lasciare non solo
i piaceri maggiori ma anche i piccoli, ai quali prima era
attaccato con affetto terreno. E la conseguenza di ciò è che
pochissimi raggiungono lo scopo della perfezione: dopo aver con
fatica superato i vizi maggiori, non vogliono poi farsi violenza
continuando a soffrire le punture e il travaglio che si provano
nel resistere a quasi infinite vogliette proprie e passioncelle
di minor conto, le quali, prevalendo ogni ora in essi, vengono
ad acquistare dominio e signoria sopra i loro cuori.
Fra questi se ne trovano alcuni che, se non rubano i beni
altrui, si affezionano in modo eccessivo a quelli che
giustamente possiedono; se non si procurano onori con mezzi
illeciti, non li aborriscono però come dovrebbero né smettono
di desiderarli e alcune volte di cercarli per vie diverse; se
osservano i digiuni di obbligo, non mortificano per questo la
gola nel mangiare superfluamente e nel desiderare cibi delicati;
vivendo nella continenza, non si staccano da certe amicizie di
loro gusto, che portano grande impedimento all'unione con Dio e
alla vita spirituale; essendo inoltre esse molto pericolose in
qualsiasi persona sia pur santa e più in chi meno le teme, sono
da fuggirsi da ciascuno quanto più si possa. Da tali cose
ancora ne consegue che le altre loro opere buone sono fatte con
tiepidezza di spirito e sono accompagnate da molti interessi e
imperfezioni occulte, da una certa stima di se stessi e dal
desiderio di esserne lodati e apprezzati dal mondo.
Costoro non solo non fanno progresso nella via della salvezza,
ma, tornando indietro, corrono il rischio di ricadere nei primi
mali in quanto non amano la vera virtù e si mostrano poco grati
al Signore, che li tolse dalla tirannia del demonio; inoltre
sono ignoranti e ciechi per vedere il pericolo in cui si
trovano, mentre si persuadono di essere come in stato sicuro. E
qui si scopre un inganno tanto più dannoso quanto meno
avvertito: cioè molti che attendono alla vita spirituale,
amando se stessi più di quanto dovrebbero (sebbene in verità
non sanno amarsi), per lo più praticano quegli esercizi che più
si confanno al loro gusto e lasciano gli altri che toccano sul
vivo la propria naturale inclinazione e i loro sensuali
appetiti, contro i quali ogni ragione vorrebbe che si rivolgesse
tutto lo sforzo.
Perciò, figlia mia diletta, ti avviso ed esorto a innamorarti
della difficoltà e della pena che comporta il vincere se
stessi: qui è tutto! E tanto più certa e sollecita sarà la
vittoria quanto più fortemente ti innamorerai della difficoltà,
che mostra ai principianti la virtù e la guerra; e se tu amerai
la difficoltà e il penoso combattere più delle vittorie e
delle virtù, più presto acquisterai ogni cosa.
CAPITOLO
XIII
Il modo di combattere contro gli impulsi del senso e gli atti
che la volontà deve fare per acquistare le abitudini alle virtù
Ogniqualvolta la
tua volontà ragionevole è combattuta da quella del senso da
una parte e da quella divina dall'altra, mentre ciascuna cerca
di riportare vittoria, è necessario che ti eserciti in più
modi perché in te prevalga in tutto la volontà divina.
Primo: quando sei assalita e battagliata dagli impulsi del
senso, devi opporre un'accanita resistenza perché la volontà
superiore non acconsenta a quelli.
Secondariamente: allorché essi sono cessati, eccitali di nuovo
in te per reprimerli con maggior impeto e forza. Dopo richiamali
alla terza battaglia, nella quale ti abituerai a scacciarli da
te con sdegno e ripugnanza. Questi due incitamenti a battaglia
si devono fare in ogni nostro appetito disordinato fuorché
negli stimoli carnali, dei quali tratteremo a suo tempo.
Infine devi fare atti contrari a ogni tua viziosa passione. Con
il seguente esempio ti si farà il tutto più chiaro.
Tu sei forse combattuta dagli stimoli dell'impazienza: se
rientrando in te stessa starai ben attenta, sentirai che essi
continuamente battono alla porta della volontà superiore perché
si inchini e acconsenta a loro. E tu come primo esercizio,
opponendoti a ciascun impulso, fa' ripetutamente quanto puoi
perché la tua volontà non vi dia il consenso. Né cessa mai da
questa battaglia finché non ti avveda che il nemico, quasi
stanco e come morto, si dia per vinto.
Ma vedi, figliuola, la malizia del demonio. Quando egli si
accorge che noi ci opponiamo fortemente agli stimoli di qualche
passione non solo resta a eccitarli in noi ma, quando sono
eccitati, tenta per il momento di acquietarli. E questo lo fa
perché con l'esercizio non acquistiamo l'abitudine alla virtù
contraria a quella passione e inoltre per farci cadere nei lacci
della vanagloria e della superbia, facendoci poi astutamente
convincere che noi da generosi soldati abbiamo subito calpestato
i nostri nemici.
Perciò tu passerai alla seconda battaglia, richiamandoti alla
memoria ed eccitando in te quei pensieri che ti cagionavano
l'impazienza, in modo da sentirti da essi commossa nella parte
sensitiva e da reprimere allora ripetutamente e con sforzo
maggiore di prima i suoi impulsi. E sebbene noi respingiamo i
nostri nemici sapendo di far bene e di piacere a Dio, tuttavia
se non li abbiamo del tutto in odio corriamo pericolo di essere
un'altra volta da essi superati: per questo tu devi farti loro
incontro con il terzo assalto e scacciarli lontano da te facendo
atti non solo di ripugnanza ma anche di indignazione, fino a
tanto che si rendano odiosi e abominevoli.
Infine, per ornare e perfezionare l'anima tua con le abitudini
alle virtù, devi produrre atti interiori che siano direttamente
contrari alle tue disordinate passioni. Ad esempio volendo tu
acquistare perfettamente l'abitudine alla pazienza, se uno
disprezzandoti ti porge l'occasione di essere impaziente, non
basta esercitarti nelle tre maniere di combattere di cui ti ho
detto, ma devi volere e amare per giunta il disprezzo ricevuto,
desiderando di essere di nuovo nello stesso modo e dalla stessa
persona oltraggiata, aspettando e proponendoti di sostenere
anche cose più gravi. La causa per cui tali atti contrari sono
necessari per perfezionarci nelle virtù è questa: gli altri
atti, pur essendo molti e forti, non sono sufficienti a
estirpare le radici che producono il vizio.
Pertanto (per continuare nello stesso esempio), benché noi,
quando siamo disprezzati, non consentiamo ai moti
dell'impazienza anzi combattiamo contro di essi con i tre modi
indicati sopra, nondimeno se non ci abitueremo con molti e
frequenti atti ad amare il disprezzo e a rallegrarcene, non ci
potremo mai liberare dal vizio dell'impazienza il quale, per la
nostra inclinazione alla reputazione propria, si fonda
nell'aborrimento del disprezzo. E finché resta viva, la radice
viziosa va sempre germogliando in maniera da rendere languida la
virtù, anzi talora da soffocarla in tutto e da tenerci inoltre
in continuo pericolo di ricadere in ogni occasione che ci si
presenti. Dalle quali cose ne segue che senza i detti atti
contrari non possiamo mai acquistare la vera abitudine alle virtù.
Si avverta per giunta che questi atti devono essere tanto
frequenti e in tale numero da potere del tutto distruggere
l'abitudine viziosa, la quale, siccome per molti atti viziosi ha
preso possesso nel nostro cuore, così con molti atti contrari
la si deve svellere da quello per introdurvi l'abitudine
virtuosa. Anzi dico di più: per fare l'abitudine virtuosa si
richiedono atti buoni più degli atti cattivi necessari per fare
l'abitudine viziosa; infatti quelli non sono aiutati, come
invece sono aiutati questi, dalla natura, corrotta dal peccato.
Oltre a quello che fin qui si è detto, aggiungo che se la virtù
che allora eserciti così richiede, devi anche fare atti
esteriori conformi agli interiori, come (per stare nel detto
esempio) usare parole di mansuetudine e di amore e servendo, se
puoi, chi ti è stato noioso e contrario in qualunque modo. E
quantunque questi atti tanto interiori quanto esteriori fossero
o ti paressero accompagnati da tanta debolezza di spirito da
sembrarti di farli contro ogni tua voglia, non per questo li
devi in alcun modo tralasciare: per quanto deboli essi siano, ti
tengono ferma e salda nella battaglia e ti agevolano la strada
alla vittoria.
Sta' ben attenta e raccolta in te stessa per combattere non solo
contro le voglie grandi ed efficaci, ma ancora contro le piccole
e deboli di ciascuna passione, perché queste aprono la strada
alle grandi, onde poi si generano in noi le abitudini viziose. E
dalla poca cura che alcuni hanno avuto di sradicare dai loro
cuori queste vogliette, dopo aver superato le maggiori della
medesima passione, è avvenuto loro che quando meno vi pensavano
sono stati assaliti e vinti dagli stessi nemici più
gagliardamente e rovinosamente di prima. Ti ricordo inoltre di
attendere a mortificare e rompere alle volte le tue voglie anche
di cose lecite non necessarie, perché da questo seguiranno per
te molti beni e ti renderai sempre più disposta e pronta a
vincerti nelle altre; ti farai forte ed esperta nella battaglia
delle tentazioni, fuggirai varie insidie del demonio e farai
cosa graditissima al Signore.
Figliuola, ti parlo chiaramente: se nel modo che ti ho detto
andrai continuando in questi leali e santi esercizi per
riformare e vincere te stessa, ti assicuro che in poco tempo
avanzerai molto e diventerai spirituale davvero e non solamente
di nome. Ma in altra maniera e con altri esercizi, benché
fossero, come tu credi, eccellenti e tanto dilettevoli al tuo
gusto da sembrarti di stare in essi tutta unita e in dolci
colloqui con il Signore, non persuaderti di acquistare mai virtù
e spirito vero. Il quale (come ti ho detto nel primo capitolo)
non consiste né nasce dagli esercizi piacevoli e conformi alla
nostra natura, ma da quelli che la mettono in croce con tutti i
suoi atti: onde, rinnovato l'uomo per mezzo delle abitudini alle
virtù evangeliche, lo congiungono al suo Crocifisso e Creatore.
Non v'è chi dubiti che siccome le abitudini viziose vengono a
farsi con molti e frequenti atti della volontà superiore mentre
cede agli appetiti del senso, così viceversa le abitudini alle
virtù evangeliche si acquistano facendo spesso e spessissime
volte atti conformi alla volontà divina, da cui siamo chiamati
ora a questa, ora a quell'altra virtù. E siccome la nostra
volontà non può mai essere viziosa e terrena per quanto sia
battagliata dalla parte inferiore e dal vizio finché a quella
non cede e s'inchina, così non sarà mai virtuosa e congiunta
con Dio, benché molto vivamente sia chiamata e combattuta dalle
ispirazioni e dalla grazia divina, finché quando ce n'è
bisogno non si conforma ad essa con gli atti interni e con
quelli esterni.
CAPITOLO
XIV
Quello che si deve fare quando la volontà superiore pare vinta
e soffocata in tutto da quella inferiore e dai nemici
Se talora ti
sembrasse che la volontà superiore non può nulla contro quella
inferiore e contro i suoi nemici per il fatto che non senti in
te un volere efficace contro di loro, sta' pur salda e non
lasciare la battaglia: infatti devi considerarti sempre
vittoriosa, finché non ti accorgi apertamente di aver ceduto.
Siccome la nostra volontà superiore non ha bisogno delle voglie
inferiori per produrre i suoi atti, così, se essa stessa non
vuole, non può essere mai costretta a darsi loro per vinta,
benché la contrastino molto aspramente. Perciò Dio ha dotato
la nostra volontà di libertà e di forza tale che se tutti i
sensi con tutti i demoni e il mondo insieme si armassero e
congiurassero contro di essa, combattendola e premendola con
tutto il loro sforzo, nondimeno essa può, a dispetto loro,
liberissimamente volere o non volere tutto ciò che vuole o non
vuole, e quante volte e per quanto tempo e in quel modo e per
quel fine che più le piace.
E se questi nemici a volte ti assalissero e ti stringessero con
tanta violenza che la tua volontà quasi soffocata non avesse
per così dire fiato per produrre nessun atto di voghe
contrarie, non ti perdere d'animo né gettare le armi a terra,
ma serviti in questo caso della lingua e difenditi dicendo: “Non
cedo a te, non ti voglio”; proprio come colui che, avendo
il nemico addosso che lo tiene oppresso, non potendo con la
punta lo percuote con il pomo della spada. E siccome questi
tenta di fare un salto indietro per poterlo ferire di punta, così
tu ritirati nella conoscenza di te stessa, che niente sei e
niente puoi; e con la fiducia in Dio, che tutto può, dà un
colpo alla passione nemica dicendo: “Aiutami, Signore;
aiutami, Dio mio; aiutami Gesù, Maria, perché non ceda ad essa”.
Potrai ancora, quando il nemico ti dà tempo, aiutare la
debolezza della volontà ricorrendo all'intelletto e
considerando diversi punti: per tale considerazione la volontà
viene poi a prendere fiato e forza contro i nemici. Per esempio:
in qualche persecuzione o in qualche altro travaglio tu sei
talmente assalita dall'impazienza, che la tua volontà quasi non
può oppure non vuole sopportarli; la conforterai dunque
discorrendo con l'intelletto intorno ai seguenti oppure intorno
ad altri punti.
Primo: considera se tu meriti quel male che patisci, perché
gliene hai dato l'occasione; e meritandolo, ogni dovere di
giustizia vuole che tu sopporti pazientemente quella ferita che
ti sei data con le tue mani.
Secondo: e non avendone tu colpa alcuna, rivolgi il pensiero
agli altri tuoi errori di cui Dio non ti ha ancora dato il
castigo e che tu non hai puniti come si deve. E vedendo che la
misericordia di Dio ti cambia la pena di essi, che sarebbe
eterna oppure temporale ma del purgatorio, con una piccola pena
presente, devi riceverla non solamente volentieri ma con
rendimento di grazie.
Terzo: e quando a te paresse d'aver fatto molta penitenza e
d'aver poco offeso la divina Maestà (cose, però, di cui non
devi mai persuaderti), devi pensare che nel regno dei cieli non
si entra che per la porta stretta delle tribolazioni (cfr. Mt
7,13-14).
Quarto: quantunque tu vi potessi entrare per altra via, per
legge d'amore non dovresti nemmeno pensarlo, essendovi il
Figluiolo di Dio entrato con tutti gli amici e con tutte le sue
membra per mezzo delle spine e delle croci.
Quinto: ma quello a cui tu devi mirare principalmente in questa
e in ogni altra occasione è la volontà del tuo Dio il quale,
per l'amore che ti porta, si compiacerà indicibilmente di ogni
atto di virtù e di mortificazione che ti vedrà fare da sua
fedele e generosa guerriera, per corrispondere a lui con amore.
E tieni per certo che quanto più in sé sarà irrazionale il
travaglio e più indegno per la sua provenienza e perciò a te
più molesto e grave da tollerare, tanto al Signore darai più
gusto approvando e amando, anche nelle cose in se stesse
disordinate e per te più amare, la sua divina volontà e
disposizione in cui ogni avvenimento, sia pure sregolato, ha la
sua regola e il suo ordine perfettissimo.
CAPITOLO
XV
Alcuni avvisi intorno al modo di combattere e specialmente
contro chi e con quale virtù si deve fare
Hai già visto,
figliuola, il modo con cui devi combattere per vincere te stessa
e ornarti delle virtù. Inoltre sappi ora che per riportare
vittoria sui tuoi nemici con maggior rapidità e facilità ti
conviene combattere, anzi è necessario che tu combatta ogni
giorno particolarmente contro l'amor proprio, abituandoti a
ricevere come cari amici i disprezzi e le molestie che il mondo
potesse darti. E dal non avvertire questa battaglia e dal farne
poco conto è avvenuto e avviene, come ho accennato sopra, che
le vittorie sono difficoltose, rare, imperfette e instabili.
Ti avviso per giunta che il tuo deve essere un combattere con
fortezza d'animo, che facilmente acquisterai se la domanderai a
Dio e se, considerando la rabbia, l'odio perenne e il grande
numero delle squadre e degli eserciti nemici, considererai
viceversa che infinitamente maggiori sono la bontà di Dio e
l'amore con cui ti ama e che molti più sono gli angeli del
cielo e le orazioni dei santi che combattono a nostro favore. E
da questa considerazione è proceduto che tante e tante fragili
donne hanno superato e vinto tutta la potenza e la sapienza del
mondo, tutti gli assalti della carne e tutta la rabbia
dell'inferno.
Perciò non devi mai spaventarti, benché a volte ti paia che la
battaglia dei nemici infierisca di più e possa durare per tutta
la tua vita e quasi ti minacci cadute certe da diverse parti:
infatti devi sapere, oltre a quanto ho detto, che ogni forza e
conoscenza dei nostri nemici sono nelle mani del nostro divin
Capitano, in onore del quale si combatte. Stimandolo
indicibilmente e chiamandoci egli stesso rigorosamente alla
battaglia, non solo non permetterà mai che ti sia fatta
violenza, ma, combattendo egli per te, ti darà la vittoria su
di loro quando a lui piacerà e con maggior tuo vantaggio, anche
se egli tardasse fino all'ultimo giorno della tua vita.
Questo solamente tocca a te: che tu combatta generosamente e
che, nonostante tu sia più volte ferita, non lasci mai le armi
né ti dia alla fuga. Infine, perché tu combatta valorosamente,
devi sapere che questa battaglia non si può evitare e chi non
vi combatte necessariamente vi resta coinvolto e muore. Oltre a
ciò abbiamo a che fare con nemici ripieni di tali qualità e di
odio, che non se ne può in nessun modo sperare né pace né
tregua.
CAPITOLO
XVI
In qual modo la mattina di buon'ora debba scendere in campo il
soldato di Cristo
Appena sveglia,
la prima cosa che dovranno osservare i tuoi occhi interiori è
il vederti dentro uno steccato chiuso con questa legge: chi non
vi combatte, vi resta morto per sempre.
In questo steccato immaginerai di vedere innanzi a te da una
parte quel nemico e quella tua cattiva inclinazione, già
individuati per espugnarli e che invece sono armati per ferirti
e darti la morte; e dal lato destro il tuo vittorioso Capitano
Cristo Gesù con la sua santissima madre Maria Vergine insieme
al suo carissimo sposo Giuseppe, con molte squadre di angeli e
santi e particolarmente con san Michele arcangelo; dal lato
sinistro, poi, crederai di vedere il demonio infernale con i
suoi per eccitare la suddetta tua passione, istigandoti a cedere
ad essa.
In tale steccato ti sembrerà di sentire una voce forse del tuo
angelo custode, che cosi ti dice: “Tu oggi devi combattere
contro questo e contro altri tuoi nemici. Non s'impaurisca il
tuo cuore né si perda d'animo, non ceda ad essi per timore o
per altro rispetto a cosa alcuna, perché nostro Signore e tuo
Capitano è qui con te con tutte queste gloriose squadre: egli
combatterà contro tutti i tuoi nemici, non permettendo che
prevalgano su di te in forze e capacità (cfr. Dt 20,3-4).
Sta' salda, fatti violenza e sopporta la pena che talora
sentirai nel farti violenza. Grida spesso dall'intimo del cuore
e chiama il tuo Signore, Maria Vergine e tutti i santi, perché
senza dubbio ne riporterai vittoria. Se tu sei fiacca, impedita
dalle tue cattive abitudini, e se i tuoi nemici sono molti e
forti, moltissimi sono gli aiuti di chi ti ha creata e redenta;
oltremodo e senza paragone alcuno più forte è il tuo Dio e ha
più voglia lui di salvarti che non il nemico di perderti.
Combatti pure e non ti rincresca talora la sofferenza, perché
dalla fatica, dalla violenza contro le tue cattive inclinazioni
e dalla pena che si sente per le cattive abitudini nascono la
vittoria e il grande tesoro con cui si compra il regno dei cieli
e l'anima si unisce per sempre con Dio”.
Nel nome del Signore comincerai a combattere con le armi della
diffidenza di te stessa e della confidenza in Dio, con
l'orazione e con l'esercizio chiamando a battaglia quel nemico e
quella tua inclinazione che, secondo l'ordine suddetto, ti sei
risoluta di vincere ora con la resistenza, ora con l'odio e ora
con gli atti della virtù contraria ferendoli più e più volte
a morte per far piacere al tuo Signore, che con tutta la chiesa
trionfante sta a vedere il tuo combattimento. Di nuovo ti dico
che non ti deve rincrescere di combattere, se consideri
l'obbligo che tutti abbiamo di servire e di piacere a Dio e la
necessità di combattere, non potendo fuggire da questa
battaglia senza ferite e senza morirne. Ti dico di più: quando
tu come ribelle volessi fuggire da Dio e darti al mondo e alle
delizie della carne, a tuo dispetto ti è necessario combattere
con tante e tante contrarietà, che spesse volte suderai in
volto e il cuore sarà penetrato da angosce mortali.
A questo punto considera che sorta di pazzia sarebbe il
sostenere quella fatica e quella pena che comportano maggior
fatica e pena insieme alla morte senza fine, se tu fuggissi
quella che, finendo invece presto, ci unisce alla vita eterna e
infinitamente beata dove godremo per sempre il nostro Dio.
CAPITOLO
XVII
L'ordine da osservare nel combattere contro le nostre passioni
viziose
E molto
importante sapere l'ordine da osservare per combattere come si
deve e non a caso e con superficialità, come fanno molti non
senza loro danno. L'ordine con cui si deve combattere contro i
nemici e le tue cattive inclinazioni è che tu, entrando nel tuo
cuore i veda con diligente esame da qual sorta di pensieri e di
affetti esso è circondato e da quale passione è più posseduto
e tiranneggiato; e contro quella principalmente tu prenda le
armi e ingaggi la battaglia.
E se avviene che tu sia assalita da altri nemici, devi sempre
combattere contro quello che attualmente e più da vicino ti fa
guerra, ritornando però poi all'impresa principale.
CAPITOLO
XVIII
Il modo di resistere agli impulsi improvvisi delle passioni
Non essendo
ancora assuefatta a parare i colpi improvvisi delle ingiurie o
di altra cosa contraria, per farvi l'abitudine impara a
prevederli e a volerli poi più e più volte, aspettandoli con
animo preparato. Il modo di prevederli è che, considerata la
condizione delle tue passioni, consideri anche le persone con le
quali tratterai e i luoghi che frequenterai: da questo
facilmente potrai congetturare quello che ti potrebbe avvenire.
E sopravvenendoti qualsiasi altra avversità non pensata, oltre
l'aiuto a te recato dal tenere l'animo preparato alle altre che
hai previsto, potrai maggiormente servirti di quest'altro modo.
Non appena tu cominci a sentire i primi colpi dell'ingiuria o
altra cosa penosa, sta' desta, fatti forza ed eleva la mente a
Dio, considerando la sua ineffabile bontà e l'amore verso di te
con cui ti manda quell'avversità, affinché, sopportandola per
suo amore, ti purifichi di più, ti accosti e ti unisca a lui. E
veduto quanto egli si compiace che tu la sopporti, rivolgiti a
te stessa riprendendoti e dicendo fra te: “Ah! Perché non
vuoi sostenere questa croce, che non questi o quegli ma il tuo
Padre celeste ti manda?”. Poi rivolta alla croce,
abbracciala con la maggior pazienza e allegrezza possibili,
dicendo: “O croce, fabbricata dalla provvidenza divina
prima che io fossi! O croce, addolcita dal dolce amore del mio
Crocifisso! Inchiodarmi ormai in te perché possa darmi a chi,
morendo in te, mi ha redenta”.
E se nel principio, prevalendo in te la passione non potessi
elevarti in Dio ma restassi ferita, cerca con tutto ciò di
farlo quanto prima come se ferita non fossi. Ma per efficace
rimedio contro questi impulsi improvvisi, toglierai ben presto
la causa da cui procedono. Ad esempio: se per l'affetto che hai
a qualche cosa, vedi che quando in essa vieni molestata sei
solita cadere nell'improvviso turbamento dell'animo, il modo di
provvedere a ciò per tempo è che tu ti abitui a toglierne
l'affetto. Se invece H turbamento procede non dalla cosa ma
dalla persona della quale, perché non ti sta a cuore, ogni
piccola azione ti infastidisce e ti turba, H rimedio è che tu
ti sforzi d'inclinare la volontà ad amarla e ad averla cara:
infatti oltre a essere creatura, come te formata dalla mano
sovrana e come te redenta dallo stesso sangue divino, se la
sopporterai, quella persona ti porge anche l'occasione di
renderti simile al tuo Signore amoroso e benigno con tutti.
CAPITOLO
XIX
Il modo di combattere contro il vizio della carne
Contro questo
vizio devi combattere in un modo particolare e diverso dagli
altri. Perciò, perché tu sappia combattere ordinatamente, devi
osservare tre tempi: prima di essere tentati, quando siamo
tentati e dopo che la tentazione è passata.
Prima della tentazione la battaglia sarà contro le cause che
sogliono cagionare questa tentazione. Anzitutto devi combattere
non affrontando il vizio, ma fuggendo con tutte le tue forze
qualsiasi occasione e persona da cui te ne possa venire un
minimo pericolo. E bisognando talora trattarci fallo molto
presto con un volto modesto e grave, e le parole devono avere
sapore di asprezza piuttosto che di amorevolezza e di eccessiva
affabilità.
Non ti fidare del fatto che tu non senta né abbia in tanti e
tanti anni di esperienza sentito stimoli carnali, perché questo
maledetto vizio quello che non ha fatto in molti anni lo fa in
un'ora e spesso ordisce le sue trame occultamente; e tanto più
nuoce e ferisce incurabilmente, quanto più si mostra innocuo e
meno dà sospetto di sé.
E molte volte vi è più da temere (come spesso l'esperienza ha
mostrato e mostra tuttora) dove l'abitudine è protratta sotto
pretesto di cose lecite, come di parentela o di debito ufficio
oppure di virtù che sia nella persona amata: infatti con il
troppo e imprudente praticare si va mescolando il velenoso
diletto del senso che, stillando inavvertitamente a poco a poco
e penetrando fino nell'essenza dell'anima, va offuscando sempre
più la ragione in modo che si cominciano a stimare come niente
le cose pericolose, gli sguardi amorevoli, le parole dolci
dell'una e dell'altra parte e i gusti della conversazione; e così,
passandosi dall'una all'altra parte, si viene poi a cadere in
rovina o in qualche tentazione dolorosa e difficile da superare.
Di nuovo ti dico di fuggire, perché tu sei paglia; e non ti
fidare del fatto che sei bagnata e ben piena d'acqua di buona e
forte volontà, risoluta e pronta piuttosto alla morte che
all'offesa divina: con la pratica frequente a poco a poco il
fuoco con il suo calore, asciugando l'acqua della buona volontà,
quando neppure vi si pensa le si attaccherà in modo che non
porterà rispetto né a parentela né ad amici; non temerà Dio,
non stimerà l'onore, né la vita, né tutte le pene
dell'inferno. Perciò fuggi, fuggi se davvero non vuoi essere
colta all'improvviso, presa e uccisa.
Secondo. Fuggi l'ozio e sta' vigilante e desta con i pensieri e
con le opere convenienti al tuo stato.
Terzo. Non fare mai resistenza, ma obbedisci facilmente ai tuoi
superiori, eseguendo con prontezza le cose imposte, e più
volentieri quelle che ti umiliano e sono più contro la tua
volontà e la tua naturale inclinazione.
Quarto. Non fare mai giudizio temerario verso il prossimo e
principalmente a proposito di questo vizio; e se manifestamente
fosse caduto, abbine compassione e non ti sdegnare contro di
esso; non schernirlo, ma ricavane frutto di umiltà e di
conoscenza di te stessa, sapendo di essere polvere e niente;
accostati a Dio con l'orazione e fuggi più che mai le
occasioni, dove sia anche solo ombra di pericolo. Che se tu
sarai facile a giudicare gli altri e a disprezzarli, Dio tuo
malgrado ti correggerà permettendo che tu cada nello stesso
difetto, affinché così ti avveda della tua superbia e,
umiliata, ponga rimedio ad ambedue questi vizi. E non cadendo né
mutando pensiero, sappi pure che vi è grandemente da dubitare
del tuo stato.
Quinto e ultimo. Avverti bene che, ritrovandoti con qualche dono
e gusto di delizie spirituali, tu non prenda un certo vano
compiacimento di te stessa persuadendoti di essere qualche cosa
e che i tuoi nemici non ti faranno più guerra, poiché ti pare
di guardarli con nausea, orrore e odio; e se in ciò sarai
incauta, cadrai facilmente.
Nel tempo della tentazione, considera se procede da causa
intrinseca o estrinseca. La causa estrinseca intendo io che sia
la curiosità degli occhi, delle orecchie, l'eccessiva pulizia
delle vesti, le familiarità e i colloqui che incitano a questo
vizio. In questi casi il rimedio è l'onestà, la modestia, non
volendo né vedere né sentire cose che incitano a questo vizio,
e la fuga come sopra ho detto. La causa intrinseca procede o
dalla vitalità del corpo o dai pensieri della mente, che ci
vengano dalle nostre cattive abitudini oppure per suggestione
del demonio. La sensualità del corpo si deve mortificare con
digiuni, discipline, cilizi, veglie e altre simili asprezze
secondo come insegnano la discrezione e l'obbedienza. Quanto ai
pensieri, da qualsiasi parte vengano, i rimedi sono questi:
l'essere occupati in diversi esercizi convenienti al proprio
stato, nell'orazione e nella meditazione.
L'orazione sia di questo tipo: quando tu cominci anche un poco
ad accorgerti non solo di tali pensieri ma dei loro primi
accenni, ritirati subito con la mente nel Crocifisso dicendo:
“Gesù mio, Gesù mio dolce, aiutami presto, perché io
non sia presa da questo nemico”. E abbracciando alle
volte la croce da cui pende il tuo Signore, bacia più volte le
piaghe dei suoi sacri piedi dicendo affettuosamente: “Piaghe
belle, piaghe caste, piaghe sante, ferite ormai questo misero e
impuro cuore, liberandomi dal pericolo di offendervi”.
Nel tempo in cui abbondano le tentazioni dei piaceri carnali,
non vorrei che la meditazione fosse intorno a certi punti
proposti da molti libri per rimedio a questa tentazione, come il
considerare la viltà di questo vizio, l'insaziabilità, le
molestie, le amarezze che ne seguono, i pericoli e la perdita
dei beni, della vita, dell'onore e cose simili. Perché questo
non è sempre sicuro mezzo per vincere la tentazione, anzi può
apportare danno: infatti se l'intelletto per una via scaccia
questi pensieri, per l'altra ci porge occasione e pericolo di
dilettarcene e di acconsentire al piacere; per cui il rimedio
vero è il fuggire in tutto non solo da essi, ma anche da ogni
cosa che ce li rappresenti benché sia loro contraria. Perciò
la tua meditazione, orientata a questo fine, verta sulla vita e
sulla passione del Signore crocifisso. E se meditando ti si
facessero innanzi contro tua voglia gli stessi pensieri e più
del solito ti molestassero, come facilmente ti avverrà, non per
questo ti sgomenterai né lascerai la meditazione né ti
rivolgerai ad essi per far loro resistenza; ma seguiterai la tua
meditazione quanto più intensamente ti sia possibile, non
curandoti di tali pensieri, come se non fossero tuoi; infatti
non vi è modo migliore di questo per opporsi loro, benché ti
facessero continua guerra.
Concluderai poi la meditazione con questa o con una domanda
simile: “Liberatemi, Creatore e Redentore mio, dai miei
nemici in onore della vostra passione e della vostra bontà
ineffabile”, non rivolgendo la mente al vizio, perché il
solo ricordo di esso non è senza pericolo. E con simile
tentazione non stare mai a disputare se tu abbia acconsentito o
no perché questo, sotto specie di bene, è inganno del demonio
per inquietarti e renderti sfiduciata e pusillanime; oppure
perché, tenendoti occupata in tali discorsi, spera di farti
cadere in qualche piacere. Perciò in questa tentazione, quando
il consenso non è chiaro, ti basti confessare il tutto con
brevità al tuo padre spirituale, restandone poi tranquilla con
il suo parere senza pensarci più. E fa' in modo di scoprire a
lui fedelmente ogni tuo pensiero, e non te ne trattenga mai
alcun rispetto o vergogna. Che se con tutti i nostri nemici
abbiamo bisogno della virtù dell'umiltà per vincerli, in
questo più che in altro dobbiamo umiliarci, essendo questo
vizio quasi sempre castigo di superbia.
Passato il tempo della tentazione, quello che devi fare è che,
pur sembrandoti di essere libera e del tutto sicura, tu stia con
la mente lontana affatto da quegli oggetti che ti cagionavano la
tentazione, benché per fine di virtù o di altro bene ti
sentissi muovere a fare altrimenti: infatti questa è frode
della natura viziosa e tranello del nostro sagace avversario,
che si trasforma in angelo di luce per indurci nelle tenebre.
CAPITOLO
XX
Il modo di combattere contro la negligenza
Perché tu non
cada nella misera schiavitù della negligenza, cosa che non solo
impedirebbe il cammino della perfezione ma ti darebbe in mano ai
nemici, devi fuggire ogni curiosità e attaccamento terreno e
qualunque occupazione non conveniente al tuo stato. Poi ti devi
sforzare per corrispondere presto a ogni buona ispirazione e a
qualunque ordine dei tuoi superiori, facendo ogni cosa quando e
come a loro piacerà.
Non ritardare neppure per un brevissimo momento, perché quel
solo primo indugietto porta appresso il secondo e questo il
terzo e gli altri ai quali il senso si piega e cede più
facilmente che ai primi, essendo già allettato e preso dal
piacere che ne ha gustato: per cui o si incomincia l'azione
troppo tardi o come noiosa alle volte la si lascia del tutto. E
così a poco a poco si va facendo l'abitudine alla negligenza ed
essa poi cresce talmente che, nel momento stesso in cui da
quella siamo tenuti legati, ci proponiamo di voler essere
un'altra volta molto solleciti e diligenti poiché ci
accorgiamo, con rossore di noi stessi, d'essere stati fino a tal
punto negligentissimi.
Questa negligenza scorre dappertutto e con il suo veleno non
solo infetta la volontà facendole aborrire l'opera, ma accieca
anche l'intelletto perché non veda quanto vani e mal fondati
siano i proponimenti di eseguire per l'avvenire presto e
diligentemente quello che, dovendosi effettuare allora,
volontariamente si lascia del tutto oppure si rimanda ad altro
tempo. Né basta eseguire presto l'opera dovuta, ma bisogna
farla nel tempo proprio richiesto dalla qualità e dall'essere
di quell'opera e con tutta quella diligenza ad essa conveniente,
perché abbia ogni possibile perfezione. Infatti non è
diligenza, ma finissima negligenza fare l'azione prima del tempo
e sbrigarsela presto e senza farla bene, perché poi quietamente
ci diamo al riposo accidioso, al quale era fisso il nostro
pensiero mentre con rapidità si compiva l'azione. Tutto questo
gran male avviene perché non si considera il valore della buona
opera fatta a suo tempo e con l'animo risoluto ad andare
incontro alla fatica e alla difficoltà, che il vizio della
negligenza porta ai principianti.
Tu dunque devi spesso considerare che una sola elevazione di
mente a Dio e una sola genuflessione fatta in suo onore vale più
di tutti i tesori del mondo; e che ogniqualvolta facciamo
violenza a noi stessi e alle passioni viziose, gli angeli
portano all'anima nostra dal regno del cielo una corona di
gloriosa vittoria. Che al contrario a poco a poco Dio va
togliendo ai negligenti le grazie loro concesse, e ai diligenti
le aumenta facendoli poi entrare nel suo proprio gaudio. Se tu
nei primi inizi non sei tanto forte da andare generosamente
incontro alla fatica e alla difficoltà, le devi nascondere in
modo che sembrino più piccole di quanto dai negligenti siano
giudicate.
Ammettiamo pure che il tuo esercizio richieda molti e molti atti
e una fatica diuturna per acquistare una virtù, e che i nemici
da espugnare ti paiano molti e forti. Tuttavia comincia tu a
produrre atti, quasi che ne abbia pochi da fare e che per pochi
giorni debba faticare; e combatti contro un nemico come se non
ve ne fossero altri da combattere, però con una confidenza
grande che tu con l'aiuto di Dio sei più forte di loro. Così
facendo, la negligenza comincerà a debilitarsi e a disporsi poi
in modo che vi entri di mano in mano la virtù contraria.
Lo stesso dico dell'orazione. Talvolta il tuo esercizio richiede
un'ora di orazione e questo sembra duro alla tua negligenza:
immergiti in essa quasi volessi pregare per lo spazio di un
ottavo d'ora, perché facilmente passerai all'altro e da questo
a quello che rimane. E se in ciò talora nel secondo o negli
altri ottavi sentissi ripugnanza e difficoltà troppo violente,
tralascia l'esercizio per non infastidirti; riprendi però di li
a poco di nuovo l'esercizio tralasciato.
Tale metodo devi osservare anche nelle opere esteriori quando ti
accade di dover fare più cose per le quali, parendo esse alla
tua negligenza molte e difficoltose, tu vieni a disturbarti
tutta. Con tutto ciò comincia coraggiosamente e tranquillamente
da una, come se non avessi altro da fare; così facendo
diligentemente, riuscirai a compierle tutte con molta minor
fatica di quello che ti sembrava nella tua negligenza. Se tu non
farai nel modo suddetto e non andrai incontro alla fatica e alla
difficoltà che ti si mostrano, il vizio della negligenza
prevarrà talmente su di te che la fatica e la difficoltà, che
comporta inizialmente l'esercizio delle virtù, ti terranno
ansiosa e insofferente non solo quando saranno presenti ma anche
quando saranno assenti: infatti temerai sempre di essere
tormentata e assalita dai nemici e di vederti qualcuno alle
spalle che ti imponga qualche cosa; per cui nella stessa
tranquillità vivresti inquieta.
Sappi, figliuola, che questo vizio della negligenza con il suo
nascosto veleno a poco a poco non solo fa marcire le prime e
piccole radici che dovevano produrre le abitudini virtuose, ma
anche quelle delle abitudini già acquisite. Come fa il tarlo
dentro il legno, così esso va rodendo e consumando
insensibilmente l'essenza della vita spirituale; e a ognuno, ma
particolarmente agli spirituali, il demonio tende insidie e
tranelli con questo mezzo.
Vigila, dunque, pregando e operando bene, e non aspettare a
tessere il panno per la veste nuziale allorquando dovrai esserne
ornata per incontrare lo sposo (cfr. Mt 2 5,6. 10). E ricordati
ogni giorno che chi ti dà la mattina non ti promette la sera,
e, se ti è data la sera, non ti viene promessa la mattina.
Perciò spendi tutti i momenti della giornata secondo il volere
di Dio proprio come se non ti fosse concesso altro tempo, tanto
più che di ogni momento dovrai rendere minutissimo conto.
Concludo avvertendoti di reputare come perduta quella giornata
in cui, pur avendo fatto molte faccende, non avrai ottenuto
parecchie vittorie contro le cattive inclinazioni e contro la
tua volontà, né avrai ringraziato il tuo Signore dei suoi
benefici e particolarmente della sua penosa passione sofferta
per te, nonché del paterno dolce castigo quando ti avrà fatta
degna del tesoro inestimabile di alcune tribolazioni.
CAPITOLO
XXI
Il modo di regolare i sensi esteriori e come da quelli si possa
passare alla contemplazione della divinità
Grande avvertenza
e continuo esercizio si richiedono nel reggere e nel regolare
bene i nostri sensi esteriori, perché l'appetito, che è come
capitano della nostra natura corrotta, è eccessivamente incline
a cercare i piaceri e le consolazioni. Non potendo per sé solo
farne acquisto, si serve dei sensi quasi fossero soldati suoi e
strumenti naturali per prendere i loro oggetti di cui stampa
nell'anima le idee, estraendole e tirandole a sé. Da questo
scaturisce il piacere il quale, per l'affinità esistente tra
l'anima e la carne, si diffonde per tutta quella parte dei
sentimenti che sono capaci di tale diletto: onde tanto l'anima
quanto il corpo subiscono un comune contagio, che corrompe il
tutto.
Tu vedi il danno: attendi al rimedio. Sta' ben attenta a non
lasciar andare liberamente i tuoi sensi dove vogliono e non
servirti di loro, qualora ti muova a farlo il solo piacere e non
qualche buon fine o utilità o necessità. Se non avvedendotene
essi fossero andati troppo avanti, li devi riportare indietro o
regolare in modo che, dove prima si facevano miseramente
prigionieri di vane consolazioni, ottengano da ciascun oggetto
nobile preda e la portino dentro l'anima onde essa, raccolta in
se stessa, spieghi le ali delle potenze verso il cielo alla
contemplazione di Dio. Il che potrai fare in questo modo.
Quando a uno qualsiasi dei tuoi sensi esteriori si rappresenta
qualche oggetto, con il pensiero separa dalla cosa creata lo
spirito che è in quella e pensa che essa da sé non ha niente
di tutto ciò che soggiace ai tuoi sensi, ma che tutto è opera
di Dio che con il suo spirito invisibilmente le dà
quell'essere, quella bontà o quella bellezza e ogni altro bene
che in essa di trova. E quivi rallegrati che il tuo solo Signore
sia causa e principio di tante e così varie perfezioni di cose
e che in se stesso le contenga tutte eminentemente, non essendo
esse che un minimo grado delle sue perfezioni.
Quando ti accorgerai di essere occupata nel mirare cose che
hanno un nobile essere, con il pensiero ridurrai al suo niente
la creatura fissando l'occhio della mente nel sommo Creatore ivi
presente che le ha dato quell'essere e, in lui solamente
prendendo diletto, dirai: “O essenza divina sommamente
desiderabile! Quanto godo che tu sola sia principio infinito di
ogni essere creato!”. Similmente scorgendo alberi, erbe e
cose simili, vedrai con l'intelletto che quella vita che hanno,
non l'hanno da sé, ma dallo spirito che non vedi e che solo le
vivifica; e potrai dire così: “Ecco qui la vera vita da
cui, in cui e per cui vivono e crescono tutte le cose. O vivo
gaudio di questo cuore!”. Così dalla vista degli animali
bruti ti leverai con la mente a Dio che dà loro il senso e il
moto, dicendo: “O primo motore che, muovendo il tutto, sei
immobile in te stesso, quanto mi rallegro della tua stabilità e
fermezza!”.
E sentendoti allettare dalla bellezza delle creature, separa
quello che vedi dallo spirito che non vedi e considera che tutto
ciò che di bello appare fuori è solo dello spirito invisibile,
da cui è cagionata quella bellezza esterna, e di' tutta lieta:
“Ecco i rivoli del fonte increato; ecco le piccole gocce
del mare infinito di ogni bene. Oh! come gioisco nell'intimo del
cuore pensando all'eterna immensa bellezza, che è origine e
causa d'ogni bellezza creata!”. E scorgendo in altri bontà,
sapienza, giustizia e altre virtù, dirai al tuo Dio dopo aver
fatto la detta separazione: “O ricchissimo tesoro di virtù!
Quanto mi compiaccio che unicamente da te e per te derivi ogni
bene e che tutto, a confronto delle tue divine perfezioni, sia
come niente! Ti ringrazio, Signore, di questo e d'ogni altro
bene fatto al mio prossimo: ricordati, Signore, della mia povertà
e del grande bisogno che ho della virtù della N. ” [N.
sta per “nome”. Lo Scupoli invita a chiedere a Dio nella
preghiera quella virtù giudicata volta per volta più urgente e
necessaria al singolo lettore].
Accingendoti poi a fare qualche cosa, pensa che Dio è causa
prima di quell'azione e tu non sei altro che vivo strumento di
lui, al quale, innalzando il pensiero, dirai a questo modo: “Supremo
Signore di tutto, quanta è la gioia che provo in me stessa di
non poter fare nulla senza di te (cfr. Gv 15,5); anzi
godo che tu sia il primo e principale artefice di tutte le cose!”.
Gustando cibo o bevanda, considera che è Dio a dar loro quel
sapore e, dilettandoti in lui solo, potrai dire: “Rallegrati,
anima mia: come fuori del tuo Dio non v'è nessuna vera gioia,
così in lui solo ti puoi unicamente dilettare in ogni cosa”
(cfr. Fil 4,4).
Se ti compiacerai nell'odorare qualche cosa gradita al senso,
non fermandoti in quel compiacimento, passa con il pensiero al
Signore da cui ha la sua origine quell'odore, e sentendo di ciò
interna consolazione dirai: “Fa', Signore, che come io
gioisco che da te proceda ogni soavità, così l'anima mia,
spogliata e nuda di ogni piacere terreno, ascenda in alto e
renda gradito odore alle tue divine narici”.
Quando odi qualche armonia di suoni e canti, rivolta con la
mente al tuo Dio dirai: “Quanto godo, Signore e Dio mio,
delle tue infinite perfezioni che tutte insieme non solo in te
stesso sprigionano sovraceleste armonia, ma fanno anche
meraviglioso concerto unitamente negli angeli, nei cieli e in
tutte le creature!”.
CAPITOLO
XXII
Le cose medesime ci servono per regolare i nostri sensi,
passando alla meditazione dei Verbo incarnato nei misteri della
sua vita e della sua passione
Sopra ti ho
mostrato come dalle cose sensibili noi possiamo elevare la mente
alla contemplazione della divinità. Ora apprendi un modo di
trarre spunto dalle stesse per meditare sul Verbo incarnato,
considerando i sacratissimi misteri della sua vita e della sua
passione.
Tutte le cose dell'universo possono servire a questo scopo, se
consideri in esse, come sopra dicevo, il sommo Dio come sola
prima causa che ha dato loro tutto quell'essere, quella bellezza
e quella superiorità che hanno; e da questo passa poi a
considerare quanto grande e immensa sia la sua bontà: pur
essendo unico principio e Signore di tutto il creato, ha voluto
discendere a tanta bassezza da farsi uomo, patire e morire per
l'uomo, permettendo che gli stessi uomini si armassero contro di
lui per crocifiggerlo.
Molte cose poi particolarmente ci portano davanti agli occhi
della mente questi santi misteri, come armi, funi, flagelli,
colonne, spine, canne, chiodi, martelli e altre che furono
strumenti della sua passione.
Le abitazioni povere ci ricorderanno la stalla e il presepio del
Signore. Quando piove ci verrà in mente quella sanguinosa
divina pioggia che nell'orto, stillando dal suo sacratissimo
corpo, irrigò la terra; le pietre che mireremo ci
rappresenteranno quelle che si spezzarono nel momento della sua
morte; la terra ci raffigurerà quel movimento che fece allora e
il sole quelle tenebre che l'oscurarono (cfr. Mt 27,51; Mc
15,38; Lc 23,44); e vedendo le acque, ci ricorderemo di quella
che uscì dal suo sacratissimo costato (cfr. Gv 19,34). Il che
dico allo stesso modo di altre cose simili.
Gustando il vino o altra bevanda, ricordati dell'aceto e del
fiele del tuo Signore (cfr. Gv 19,29). Se la soavità degli
odori ti alletta, ricorri con la mente al fetore dei corpi morti
da lui sentito sul monte Calvario; quando ti vesti, ricordati
che il Verbo eterno si vestì di carne umana per vestire te
della sua divinità; quando ti spogli, pensa al tuo Cristo
denudato per essere flagellato e confitto in croce per te;
udendo rumori e grida di gente, ricordati di quelle abominevoli
voci: “Crucifige, crucifige; tolle, tolle” (cfr. Gv
19,6), che rimbombarono nelle sue divine orecchie. Ogni volta
che batte l'orologio, ti sovvenga di quell'affannoso battito di
cuore che al tuo Gesù piacque sentire, quando nell'orto cominciò
a temere della sua vicina passione e morte; ovvero ti paia di
sentire quelle dure percosse con le quali fu inchiodato sulla
croce.
In qualunque occasione in cui ti si presentino mestizia e dolori
tuoi o altrui, pensa che sono come niente rispetto alle
indicibili angosce che trafissero e afflissero il corpo e
l'anima del tuo Signore.
CAPITOLO
XXIII
Altri modi per regolare i nostri sensi secondo le diverse
occasioni che ci si presentano
Abbiamo visto
come si debba innalzare l'intelletto dalle cose sensibili alla
divinità e ai misteri del Verbo incarnato. Qui aggiungerò
altri modi per ricavarne diverse meditazioni, perché, come sono
differenti tra loro i gusti delle anime, così abbiano molti e
diversi cibi. Inoltre ciò potrà servire non solo alle persone
semplici, ma anche a quelle che sono d'ingegno elevato e più
avanti nella via dello spirito, il quale in chicchessia non è
sempre egualmente disposto e pronto alle più alte speculazioni.
Tu devi dubitare di confonderti in questa varietà di cose, se
ti atterrai alla regola della discrezione e al consiglio altrui,
il quale intendo tu debba seguire con umiltà e confidenza non
solamente in questo, ma in ogni altro avvertimento che ti venga
da me.
Nel mirare tante cose gradevoli alla vista e preziose sulla
terra, considerale tutte vilissime e come sterco rispetto alle
celesti ricchezze, alle quali aspira con ogni affetto
disprezzando tutto il mondo. Rivolgendo lo sguardo verso il
sole, pensa che più di quello è lucida e bella l'anima tua se
sta in grazia del tuo Creatore; altrimenti pensala più oscura e
abominevole delle tenebre infernali. Alzando gli occhi del corpo
al cielo che ti copre, penetra con quelli dell'anima più sopra
nel cielo empireo e li soffermati con il pensiero come nel luogo
per te preparato per eterna felicissima dimora, se in terra
vivrai innocentemente. Sentendo il canto degli uccelli o altri
canti, eleva la mente a quelli del paradiso dove risuona un
continuo alleluia e prega il Signore che ti faccia degna di
lodarlo in perpetuo insieme con quegli spiriti celesti.
Quando ti accorgi di prendere diletto delle bellezze della
creatura, guarda attentamente con l'intelletto che ivi nascosto
giace il serpente infernale tutto intento e pronto a ucciderti o
almeno a ferirti. Contro di lui così potrai dire: “Ah,
maledetto serpente, come sei insidiosamente preparato per
divorarmi!”. Poi rivolta a Dio, dirai: “Benedetto
sii tu, Dio mio, che mi hai scoperto il nemico e mi hai liberato
dalle sue rabbiose fauci”. E dall'attrattiva fuggi subito
nelle piaghe del Crocifisso, occupando la mente in esse e
considerando quanto soffrì il Signore nella sua sacratissima
carne per liberarti dal peccato e renderti odiosi i piaceri
della carne. Ti ricordo un altro modo per fuggire questa
pericolosa attrattiva, ed è che tu ti addentri bene nel pensare
quale sarà dopo la morte quell'oggetto che piace fino a tal
punto.
Mentre cammini, ricordati che per ogni passo che muovi ti vai
avvicinando alla morte. Così vedendo volare gli uccelli e
scorrere le acque, pensa che con maggior velocità la tua vita
se ne va volando verso il suo fine. Quando si levano venti
impetuosi o quando folgora e tuona, ti sovvenga del tremendo
giorno del giudizio; e posta in ginocchio, adora Dio pregandolo
che ti conceda grazia e tempo di prepararti bene, per comparire
allora davanti alla sua altissima Maestà.
Nella varietà dei casi che possono capitare a una persona, così
ti eserciterai: ad esempio, quando sei oppressa da qualche
dolore o malinconia, o patisci caldo, freddo o altro, solleva la
mente a quell'eterna volontà alla quale per il tuo bene è
piaciuto che in tal misura e tempo tu senta quell'incomodo.
Perciò tu, lieta per l'amore che ti mostra il tuo Dio e per
l'opportunità di servirlo in tutto quello che più gli piace,
dirai nel tuo cuore: “Ecco in me il compimento del divino
volere, che ab aeterno amorosamente ha disposto che io
al presente sostenga questo travaglio. Ne sia lodato sempre il
mio benignissimo Signore”. E quando nella tua mente si
crea un pensiero di cosa buona, subito rivolgiti a Dio,
riconoscilo come proveniente da lui e rendigliene grazie.
Quando leggi, ti sembri di vedere il Signore sotto quelle parole
e ricevile come se venissero dalla sua bocca divina.
Contemplando la santa croce, considera che essa è lo stendardo
del tuo esercito: se da esso ti allontani, cadrai nelle mani dei
crudeli nemici; se lo segui, giungerai in cielo carica di
gloriosi bottini.
Nel vedere la cara immagine di Maria Vergine, rivolgi il cuore a
lei che regna in paradiso; ringraziala per essere stata sempre
pronta alla volontà del tuo Dio; per aver partorito, allattato
e nutrito il Redentore del mondo, e perché nel nostro conflitto
spirituale non ci priva mai del suo favore e del suo aiuto.
Le immagini dei santi ti rappresentino tanti campioni che,
avendo compiuto valorosamente il loro assalto, ti hanno aperto
la strada. Camminando per tale strada, anche tu insieme a loro
sarai coronata di perpetua gloria. Quando vedrai le chiese, fra
le altre devote considerazioni potrai pensare che l'anima tua è
tempio di Dio e perciò, come sua stanza, la devi conservare
pura e monda.
Sentendo in qualunque tempo i tre segni della salutazione
angelica (cfr. Lc 1,28), potrai fare le seguenti brevi
meditazioni conformi a quelle sacre parole che sogliono dirsi
prima di ciascuna di queste orazioncelle celesti.
Al primo segno ringrazia Dio di quell'ambasciata che dal cielo
mandò in terra e che fu il principio della nostra salvezza. Al
secondo rallegrati con Maria Vergine per le sue grandezze, alle
quali fu elevata per la sua singolare profondissima umiltà. Al
terzo segno, insieme alla beatissima madre e all'angelo
Gabriele, adora il divino Fanciullo appena concepito. E non ti
dimenticare di inchinare così un poco il capo per riverenza in
ciascun segno e alquanto di più nell'ultimo.
Queste meditazioni, divise secondo i tre segni, servono per
tutti i tempi.
Le seguenti sono fatte per la sera, la mattina e il mezzogiorno
e vertono sulla passione del Signore. Infatti noi abbiamo il
dovere di ricordarci spesso dei dolori che a causa di quella
sostenne nostra Signora; e se non lo facciamo, ci mostreremo
ingrati.
La sera richiama alla tua memoria le angosce della Vergine pura
per il sudore di sangue, per la cattura nell'orto e per i dolori
occulti del suo benedetto Figliuolo in tutta quella notte. La
mattina compassionala nelle sue afflizioni per la presentazione
di Gesù a Pilato e a Erode, per la sentenza della sua morte e
per aver dovuto portare la croce. A mezzogiorno penetra con il
pensiero nella spada di dolore che trafisse il cuore della
sconsolata Madre per la crocifissione e morte del Signore e per
la crudelissima lanciata nel suo sacratissimo costato.
Queste meditazioni dei dolori della Vergine potrai farle dalla
sera del giovedì fino al mezzogiorno del sabato e le altre
negli altri giorni. Mi rimetto però alla tua particolare
devozione e all'opportunità che le cose esteriori ci
porgeranno. E per concluderti in breve il modo con cui devi
regolare i sensi, ti dico: sii desta sicché in ogni cosa e in
ogni avvenimento tu sia mossa e attirata non dall'amore o dalla
ripugnanza per loro, ma dalla sola volontà di Dio; e
abbracciando e aborrendo soltanto quelli che Dio vuole che tu
abbracci e aborrisca.
Fa' attenzione che io non ti ho dato i suddetti modi di reggere
i sensi perché tu ti occupi in questi, dovendo stare quasi
sempre raccolta nella tua mente con il tuo Signore, il quale
vuole che con frequenti atti attenda a vincere i tuoi nemici e
le passioni viziose sia resistendo loro sia facendo gli atti
delle virtù contrarie. Invece te li ho insegnati affinché
sappia regolarti quando ce n'è bisogno. Infatti devi sapere che
si fa poco frutto quando si intraprendono molti esercizi i
quali, benché in se stessi siano buonissimi, ben spesso però
sono confusione mentale, amor proprio, instabilità e tranelli
del demonio.
CAPITOLO
XXIV
Il modo di regolare la lingua
La lingua
dell'uomo ha grande bisogno di essere ben regolata e tenuta a
freno (cfr. Gc 1,26), perché ognuno è grandemente inclinato a
lasciarla correre e discorrere di quelle cose che più dilettano
i nostri sensi. Il molto parlare ha radice per lo più in una
certa superbia con la quale, persuadendoci noi di sapere molto e
compiacendoci nei nostri concetti ci sforziamo ripetutamente di
imprimerli negli animi degli altri per atteggiarci a maestri su
di loro quasi che abbiano bisogno d'imparare da noi.
Non si possono esprimere con poche parole i mali che nascono
dalle molte parole. La loquacità è madre dell'accidia,
argomento di ignoranza e di pazzia, porta della detrazione,
ministra di bugie e raffreddamento del devoto fervore. Le molte
parole danno forza alle passioni viziose e da questo, poi, la
lingua è indotta a continuare tanto più facilmente nel parlare
indiscreto. Non ti allargare in lunghi ragionamenti con chi ti
ascolta mal volentieri, per non infastidirli; e fa' la stessa
cosa con chi ti dà ascolto, per non eccedere i termini della
modestia.
Fuggi il parlare con eloquenza e ad alta voce, perché l'una e
l'altra cosa è assai odiosa ed è indizio di presunzione e di
vanità. Di te, dei fatti tuoi e dei tuoi congiunti non parlare
mai, se non per pura necessità e quanto più brevemente e
ristrettamente potrai. Se ti pare che un altro parli di sé
eccessivamente, sforzati di trarne buon concetto ma non
imitarlo, sebbene le sue parole tendano alla propria umiliazione
e all'accusa di se stesso. Del prossimo tuo e delle cose
appartenenti a lui ragiona il meno possibile, fuorché per dirne
bene dove lo richieda l'occasione. Parla volentieri di Dio,
particolarmente del suo amore e della sua bontà; fallo, però,
con timore di poter errare anche in questo e ti piaccia stare
piuttosto attenta quando un altro ne ragiona, conservando le sue
parole nell'intimo del tuo cuore. Delle altre solamente il suono
della voce percuota le tue orecchie e la mente stia sollevata al
Signore; se poi bisogna ascoltare colui che ragiona per
intendere e rispondere, non lasciare per questo di dare qualche
occhiata col pensiero al cielo dove abita il tuo Dio; però
osserva la sua altezza e come egli sempre guarda la tua umiltà
(cfr. Lc 1,48).
Le cose che ti cadono in cuore per dirle, siano da te
considerate prima che passino alla lingua, perché di molte
t'accorgerai che sarebbe bene che da te non fossero mandate
fuori. Ma ti avverto inoltre; non poche ancora di quelle cose
che allora penserai essere bene che tu dica, sarebbe molto
meglio se le seppellissi con il silenzio. E questo lo conoscerai
pensandovi, dopo che sarà passata l'opportunità di parlarne.
Il silenzio, figliuola mia, è una gran fortezza della battaglia
spirituale e una certa speranza della vittoria. Il silenzio è
amico di chi diffida di se stesso e confida in Dio; è custode
della santa orazione e aiuto meraviglioso per l'esercizio delle
virtù.
Per abituarti a tacere considera spesso i danni e i pericoli
della loquacità e i grandi beni del silenzio; prendi amore per
questa virtù e, per farti l'abitudine, taci per qualche tempo
anche dove non sarebbe male parlare purché questo non sia a te
o ad altri di pregiudizio. Perciò ti gioverà pure lo stare
lontana dalle conversazioni, perché invece degli uomini avrai
per compagnia gli angeli, i santi e lo stesso Dio. Finalmente
ricordati del combattimento che hai per le mani, perché,
vedendo quanto in questo hai da fare, ti verrà voglia di
lasciare le eccessive parole.
CAPITOLO
XXV
Per ben combattere contro i nemici, il soldato di Cristo deve
fuggire con tutte le sue forze i turbamenti e le inquietudini
del cuore
Siccome, avendo
perduto la pace del cuore, dobbiamo fare tutto quello che è
possibile per recuperarla, così devi sapere che non può
succedere nessun avvenimento al mondo che ce la debba
ragionevolmente togliere oppure turbare. Dobbiamo, sì
rammaricarci dei nostri peccati, ma con un dolore pacifico nel
modo in cui sopra in più di un luogo ho dimostrato; così,
senza inquietudine d'animo, si compassioni con pio affetto di
carità ogni altro peccatore e si piangano almeno interiormente
le sue colpe.
Quanto agli altri avvenimenti gravi e faticosi come infermità,
ferite, morti anche dei nostri più stretti parenti, pesti,
guerre, incendi e simili mali, benché siano per lo più
rifiutati dalle persone del mondo come molesti alla natura, pur
tuttavia possiamo con la divina grazia non solo volerli, ma
oltre a questo tenerli cari come giuste pene per gli scellerati
e come occasioni di virtù per i buoni; per questi motivi se ne
compiace anche il nostro Signore Dio e se noi asseconderemo la
sua volontà, passeremo con l'animo quieto e tranquillo fra
tutte le amarezze e le contrarietà di questa vita. E renditi
pur certa che ogni nostra inquietudine dispiace ai suoi occhi
divini, perché essa, qualunque ne sia l'origine, è sempre
accompagnata da imperfezione e procede sempre da qualche cattiva
radice d'amor proprio.
Perciò tieni sempre desta una guardia, la quale, appena scopre
qualsiasi cosa che possa turbarti e inquietarti, ti avverta
acciocché tu prenda le armi della difesa considerando che tutti
quei mali e molti altri simili, benché appaiano così
all'esterno, non sono però veri mali né possono toglierci i
veri beni. Tieni presente che tutti li ordina o permette Dio per
i suddetti retti fini o per altri a noi sconosciuti, ma senza
dubbio giustissimi e santissimi. Così, rimanendo l'animo
tranquillo e in pace in qualunque avvenimento benché dannoso,
si può fare molto bene; altrimenti ogni nostro esercizio riesce
poco o per niente fruttuoso.
C'è da dire inoltre che mentre il cuore è inquieto, è sempre
esposto ai diversi colpi dei nemici; e per giunta non possiamo
noi in tale stato scorgere bene il diritto sentiero e la via
sicura della virtù.
Il nostro nemico, che aborrisce moltissimo questa pace come
luogo dove abita lo spirito di Dio per operarvi cose grandi,
spesse volte sotto amiche insegne tenta di levarcela servendosi
di diversi desideri che hanno apparenza di bene, ma il loro
inganno si può, tra gli altri segni, conoscere dal fatto che ci
tolgono la quiete del cuore. Onde per riparare a tanto danno,
quando la sentinella ti preavvisa d'alcun nuovo desiderio, non
aprirgli la porta del cuore se prima non lo presenti a Dio
libera da qualunque proprietà e volere e, confessando la tua
cecità e ignoranza, non lo preghi insistentemente di farti
vedere con la sua luce se viene da lui oppure dall'avversario. E
ricorri ancora quando puoi al giudizio del tuo padre spirituale.
Anche se il desiderio fosse da Dio, prima di realizzarlo fa' in
modo di mortificare al tua eccessiva vivacità, perché l'opera,
preceduta da tale mortificazione, certamente gli sarà molto più
gradita che se fosse fatta con l'avidità della natura; anzi
alcune volte gli piacerà più la mortificazione che l'opera
stessa. Così, scacciando da te i desideri non buoni e non
effettuando quelli buoni se prima non avrai represso gli stimoli
naturali, terrai in pace e al sicuro la rocca del tuo cuore. E
per conservarlo in tutto pacifico occorre anche che tu lo
difenda e lo custodisca da certi rimproveri e da rimorsi
interiori contro te stessa: essi alcune volte sono dal demonio,
sebbene, per il fatto che ti accusano di qualche mancanza,
paiono essere da Dio. Dai loro frutti conoscerai da dove
procedono.
Se ti abbassano, ti fanno diligente nell'operare bene e non ti
tolgono la confidenza in Dio dal quale li devi ricevere con
rendimento di grazie. Ma se ti confondono e ti fanno
pusillanime, diffidente, pigra e lenta nel bene, tieni pure per
cosa certa che vengono dall'avversario; tu, però, non dando
loro ascolto, continua il tuo esercizio.
Siccome, oltre a quello che ti ho detto, più comunemente nasce
nel nostro cuore l'inquietudine dovuta all'accadere di cose
contrarie, per difenderti da questi colpi devi fare due cose.
L'una consiste nel considerare e nel vedere a chi sono contrari
quegli avvenimenti: se allo spirito oppure all'amor proprio e
alle proprie voglie. Se essi sono contrari alle proprie voglie e
all'amore di te stessa, tuo capitale e principale nemico, non
devi chiamarli contrari; anzi devi ritenerli per favori e
soccorsi dell'altissimo Dio, per cui devono essere ricevuti con
cuore allegro e con rendimenti di grazie. Ed essendo contrari
allo spirito, non per questo si deve perdere la pace del cuore,
come sarai edotta nel capitolo seguente.
L'altra cosa consiste nell'elevare la mente a Dio accettando
tutto a occhi chiusi, senza voler sapere altro, dalla mano
pietosa della divina provvidenza come cosa piena di diversi
beni, che tu per il momento non conosci.
CAPITOLO
XXVI
Quello che dobbiamo fare quando siamo feriti
Quando ti trovi
ferita per esser caduta in qualche difetto per debolezza tua
ovvero anche talora per volontà e malizia, non diventare
pusillanime e non inquietarti per questo, ma rivolgendoti subito
a Dio digli così: “Ecco, mio Signore, che io mi sono
comportata da quella che sono: né da me ci si poteva aspettare
altro che cadute”. E qui con un poco di sosta umiliati
agli occhi tuoi, addolorati dell'offesa fatta al Signore e,
senza confonderti, muoviti a sdegno contro le tue viziose
passioni e principalmente contro quella che ti ha causato la
caduta. Continua poi: “Né qui, Signore, mi sarei fermata,
se tu per tua bontà non mi avessi trattenuta”. E qui
rendigli grazie e amalo più che mai provando stupore di tanta
clemenza poiché, da te offeso, ti porge la mano destra perché
tu non cada di nuovo.
Infine dirai con grande confidenza nella sua infinita
misericordia: “Fa' tu, Signore, da quello che sei;
perdonami, non permettere che io viva mai separata e lontana da
te né che più ti offenda”. Ciò fatto, non ti dare a
pensare se Dio ti abbia o no perdonato: questo non è altro che
superbia, inquietudine di mente, perdita di tempo e inganno del
demonio sotto apparenza di diversi buoni pretesti. Perciò
lasciandoti liberamente nelle mani pietose di Dio, continua il
tuo esercizio come se non fossi caduta. E se molte volte al
giorno tornassi a cadere e restassi ferita, fa' questo che ti ho
detto con non minore fiducia la seconda, la terza e anche
l'ultima volta più della prima; e disprezzando sempre più te
stessa e odiando di più il peccato, sforzati di vivere più
prudentemente.
Questo esercizio dispiace molto al demonio sia perché vede che
è graditissimo a Dio sia perché ne viene a rimanere confuso,
trovandosi superato da chi prima egli aveva vinto. E perciò con
diversi fraudolenti modi si adopera perché noi lo tralasciamo,
e molte volte l'ottiene per nostra trascuratezza e poca
vigilanza su noi stessi. Per la qual cosa se tu in ciò troverai
difficoltà, a maggior ragione ti devi fare violenza ripigliando
questo esercizio più d'una volta anche in una sola caduta.
Se dopo il difetto ti sentissi inquieta, confusa e sfiduciata,
la prima cosa che devi fare è recuperare nello stesso tempo la
pace, la tranquillità del cuore e la confidenza; e fornita di
queste armi, rivolgiti poi al Signore perché l'inquietudine che
si prova per il peccato non ha per oggetto l'offesa di Dio, ma
il proprio danno.
Il modo di recuperare questa pace è che tu per il momento
dimentichi del tutto la caduta e ti metta a considerare
l'ineffabile bontà di Dio; come egli oltre ogni dire è pronto
e desidera perdonare qualunque peccato, benché grave, chiamando
il peccatore in vari modi e per molte vie, perché ricorra a lui
e si unisca a lui, per essere santificato in questa vita con la
sua grazia e reso eternamente beato nell'altra con la gloria.
Siccome con queste o simili considerazioni avrai pacificato la
mente, ti volgerai alla tua caduta facendo come di sopra ho
detto. Poi nel tempo della confessione sacramentale, che ti
esorto a fare frequentemente, riprendi tutte le tue cadute; e
con nuovo dolore, con dispiacere dell'offesa di Dio e con il
proponimento di non offenderlo più, scoprile sinceramente al
tuo padre spirituale.
CAPITOLO
XXVII
L'ordine seguito dal demonio nel combattere e nell'ingannare sia
quelli che vogliono darsi alla virtù
sia quelli che già si trovano nella schiavitù del peccato
Devi sapere,
figliuola, che il demonio non attende ad altro che alla nostra
rovina e che non con tutti combatte allo stesso modo.
Per cominciare a descriverti alcuni dei suoi combattimenti, dei
suoi metodi e dei suoi inganni, ti pongo innanzi diversi stati
dell'uomo.
Alcuni si trovano nella schiavitù del peccato senza darsi
nessun pensiero di liberarsene. Altri vogliono liberarsene, ma
non cominciano l'impresa. Altri credono di camminare per la via
della virtù, e invece se ne allontanano. Altri finalmente, dopo
l'acquisto delle virtù, cadono con maggior rovina. E di tutti
discorreremo distintamente.
CAPITOLO
XXVIII
Il combattimento e gli inganni usati dal demonio con quelli che
tiene nella schiavitù del peccato
Tenendo qualcuno
nella schiavitù del peccato, il demonio non attende ad altro
che ad accecarlo sempre più e a rimuoverlo da qualunque
pensiero che possa indurlo alla cognizione della sua
infelicissima vita. Né lo rimuove solamente dai pensieri e
dalle ispirazioni che lo chiamano alla conversione con altri
pensieri contrari, ma con pronte e sollecite occasioni lo fa
cadere nello stesso peccato o in altri maggiori. Perciò
diventando più folta e cieca la sua cecità, più viene a
precipitarsi e ad abituarsi nel peccato; così da questa a
maggior cecità e da questa a maggior colpa, quasi in un circolo
vizioso scorre la sua misera vita fino alla morte, se Dio non vi
provvede con la sua grazia.
Il rimedio a ciò, per quanto tocca a noi, è che colui il quale
si ritrova in questo infelicissimo stato sia sollecito nel dare
spazio al pensiero e alle ispirazioni che dalle tenebre lo
chiamano alla luce, gridando con tutto il cuore al suo Creatore:
“Signor mio, aiutami, aiutami presto e non mi lasciare più
in queste tenebre di peccato”. Né lasci di replicare più
volte e di gridare in questo o in un modo somigliante.
Se è possibile, corra subito subito da un padre spirituale
chiedendo aiuto e consiglio per potersi liberare dal nemico. E
non potendo andarvi subito, ricorra con ogni sollecitudine al
Crocifisso, buttandosi innanzi ai suoi sacri piedi con la faccia
a terra; come pure ricorra a Maria Vergine, chiedendo
misericordia e aiuto. E sappi che in questa sollecitudine sta la
vittoria, come nel seguente capitolo intenderai.
CAPITOLO
XXIX
L'arte e gli inganni con cui il demonio tiene legati quelli che,
conoscendo il loro male, vorrebbero liberarsene.
Perché i nostri propositi spesso non hanno il loro effetto
Quelli che già
conoscono la vita corrotta che conducono e vorrebbero cambiarla,
di solito vengono ingannati e vinti dal demonio con le seguenti
armi: poi, poi; cras, cras come dice il corvo. Voglio
prima risolvere questa faccenda e liberarmi di queste
sciocchezze e poi dedicarmi con maggior calma alla vita
spirituale.
Questo laccio ha preso e prende tuttora molti. La causa di ciò
è la nostra negligenza e la nostra inettitudine, perché in un
affare che riguarda la salvezza dell'anima e l'onore di Dio non
si prende con prontezza quell'arma tanto possente: ora, ora!
E perché poi? Oggi, oggi! E perché cras, dicendo a se
stesso: “Ma quando mi si concedesse il poi e il cras,
sarebbe via questa di salvezza e di vittoria il voler prima
ricevere delle ferite e provocare nuovi disordini?”.
Sicché tu vedi, figliuola, che per fuggire sia da questo
inganno sia da quello del capitolo precedente e per superare il
nemico, il rimedio consiste nella pronta obbedienza ai pensieri
e alle ispirazioni divine. Parlo di prontezza e non di
propositi, perché questi spesso vengono meno e molti in essi
sono rimasti ingannati per diverse ragioni.
La prima, accennata anche sopra, è che i nostri propositi non
hanno per fondamento la diffidenza di noi stessi e la confidenza
in Dio. Né questo ci lascia vedere la nostra grande superbia,
da cui procedono questo inganno e questa cecità. La luce per
conoscerli e l'aiuto per rimediarvi vengono dalla bontà di Dio,
il quale permette che noi cadiamo e per mezzo della caduta ci
chiama a passare dalla confidenza in noi stessi alla sola
confidenza in lui, e dalla nostra superbia alla conoscenza di
noi stessi. Pertanto, se vuoi che i tuoi propositi siano
efficaci, c'è bisogno che siano forti; e allora saranno forti,
quando nulla avranno di confidenza in noi stessi e tutti saranno
umilmente fondati nella confidenza in Dio.
L'altra ragione è che quando noi ci accingiamo a formulare dei
propositi, miriamo alla bellezza e al valore della virtù, la
quale tira a sé la nostra volontà benché sia fiacca e debole;
quindi parandosele poi innanzi la difficoltà che è
indispensabile per l'acquisto della virtù, essa manca e si tira
indietro essendo fiacca e inesperta. Però tu abituati a
innamorarti molto più delle difficoltà che l'acquisto delle
virtù comporta, anziché delle virtù stesse; e di queste
difficoltà va sempre nutrendo la tua volontà ora con poco e
ora con molto cibo, se vuoi veramente possedere le virtù. E
sappi che tanto più presto e più profondamente vincerai te
stessa e i nemici tuoi, quanto più generosamente abbraccerai le
difficoltà e più ti saranno care.
La terza causa è che i nostri propositi a volte non tendono né
alla virtù né alla volontà divina, ma al proprio interesse.
Il che accade nei propositi che solitamente si fanno nel tempo
delle delizie spirituali e delle tribolazioni che molto ci
opprimono e per le quali non troviamo altro sollievo che
proporre di volerci dare tutti a Dio e agli esercizi virtuosi.
Tu, per non cadere in questo, nel tempo delle delizie spirituali
sii molto cauta e umile nei propositi, particolarmente nelle
promesse e nei voti; e quando ti trovi tribolata, i tuoi
propositi siano orientati a sopportare pazientemente la croce
secondo come Dio vuole e ad esaltarla rifiutando ogni sollievo
terreno e talora anche quello del cielo. Una sia la domanda e
uno il tuo desiderio: che tu sia da Dio aiutata a sopportare
ogni cosa avversa senza macchiare la virtù della pazienza e
senza disgustare il tuo Signore.
CAPITOLO
XXX
L'inganno di quelli che pensano di camminare verso la perfezione
Vinto già il
nemico nel primo e nel secondo assalto e inganno di cui parlavo
sopra, il maligno ricorre al terzo. Esso consiste nel far sì
che noi, dimentichi dei nemici che attualmente ci combattono e
ci danneggiano, ci teniamo occupati in desideri e propositi di
alti gradi di perfezione. Ne consegue che siamo continuamente
piagati né curiamo le piaghe; stimando poi tali propositi come
se fossero già in atto, in vario modo ci insuperbiamo. Onde non
volendo sopportare una coserella o una parolina in contrario,
consumiamo poi il tempo in lunghe meditazioni sui propositi di
soffrire grandi pene, talora anche quelle del purgatorio, per
amor di Dio. Siccome in questo la parte inferiore non sente
ripugnanza come se fosse cosa lontana, noi miseri ci convinciamo
di aver raggiunto il grado di quelli che pazientemente
sostengono di fatto cose grandi.
Tu dunque, per fuggire questo inganno, proponi e combatti con i
nemici che da vicino e realmente ti fanno guerra; così
chiarirai a te stessa se i tuoi propositi sono veri o falsi,
forti o deboli, e camminerai verso la virtù e la perfezione per
la via regale e già battuta da altri. Ma contro i nemici dai
quali non sei solita essere tormentata, non consiglio di
intraprendere la battaglia se non quando prevedi verosimilmente
che da un momento all'altro potrebbero assalirti: per essere
allora preparata e forte, ti conviene fare prima dei propositi.
Però non giudicare mai i tuoi propositi alla stregua di
risultati già ottenuti, sebbene per qualche tempo con i dovuti
modi ti fossi esercitata nelle virtù: in essi sii umile, temi
te stessa e la tua debolezza e, confidando in Dio, con frequenti
preghiere ricorri a lui perché ti fortifichi e ti guardi dai
pericoli e in modo particolare da ogni minima presunzione e
confidenza in te stessa.
In questo caso, sebbene non si possano superare alcuni piccoli
difetti che talvolta il Signore ci lascia per farci umilmente
conoscere e per salvaguardare qualche bene, ci è lecito
nondimeno proporre di raggiungere un più alto grado di
perfezione.
CAPITOLO
XXXI
L'inganno e la battaglia che il demonio usa, perché noi
lasciamo la via che conduce alla virtù
Il quarto inganno
proposto sopra, con cui il maligno demonio ci assalta quando
vede che noi camminiamo diritto verso la virtù, è costituito
da diversi buoni desideri che va eccitando in noi, perché
dall'esercizio delle virtù cadiamo nel vizio.
Una persona, trovandosi inferma, con paziente volontà va
tuttavia sopportando l'infermità. Il sagace avversario, il
quale conosce che così possa acquistare l'abitudine alla
pazienza, le pone davanti molte opere buone che potrebbe fare in
uno stato diverso e si sforza di convincerla che, se fosse sana,
meglio servirebbe Dio giovando a sé e anche agli altri. E dopo
che ha mosso in lei queste voglie, le va a poco a poco
aumentando talmente da renderla inquieta per non poterle mandare
a effetto come vorrebbe. E quanto in lei si vanno facendo
maggiori e più gagliarde tanto cresce l'inquietudine, da cui
poi pian piano il nemico la va abilmente conducendo a
spazientirsi dell'infermità non come infermità, ma come
impedimento di quelle opere che ansiosamente bramava di eseguire
per maggior bene.
Quando poi l'ha spinta fino a questo punto, con la stessa
prontezza le toglie dalla mente il fine del servizio divino e
delle buone opere e le lascia il nudo desiderio di liberarsi
dall'infermità. Non succedendo ciò secondo il suo volere, si
turba in modo da diventare completamente impaziente. E così,
dalla virtù che esercitava, viene a cadere nel suo vizio
contrario senza avvedersene.
Il modo di guardarsi e di opporsi a questo inganno è che quando
ti trovi in qualche stato tormentoso, tu sia ben attenta a non
dare luogo ai desideri di ogni bene che, non potendo allora
effettuare, verosimilmente ti turberebbero. E in ciò devi con
ogni umiltà, pazienza e rassegnazione credere che i tuoi
desideri non avrebbero quell'effetto di cui ti convincevi,
essendo tu più vile e instabile di quanto ti stimi. Oppure
pensa che Dio nei suoi occulti giudizi o a causa dei tuoi
demeriti non vuole da te quel bene, ma piuttosto che ti abbassi
e ti umili pazientemente sotto la dolce e potente sua mano (cfr.
1Pt 5,6).
Parimenti, essendo impedita dal padre spirituale o da altra
causa in modo da non poter fare quando vuoi le tue devozioni e
particolarmente la santa comunione, non ti lasciar turbare e
agitare dal desiderio di esse; ma, spogliata d'ogni tua proprietà,
rivestiti del beneplacito del tuo Signore dicendo a te stessa:
“Se l'occhio della divina provvidenza non vedesse in me
ingratitudini e difetti, io non sarei ora impedita di ricevere
il santissimo sacramento; però vedendo io che il mio Signore
con questo mi scopre la mia indegnità, ne sia egli sempre
lodato e benedetto. In verità confido, Signor mio, nella tua
somma bontà: fa' che io, assecondandoti e compiacendoti in
tutto, ti apra il cuore disposto a ogni tuo volere perché tu,
entrando in esso spiritualmente, lo consoli e lo fortifichi
contro i nemici che cercano di allontanarlo da te. Così sia
fatto tutto quello che è bene agli occhi tuoi. Creatore e
Redentore mio, la tua volontà sia ora e sempre il mio cibo e il
mio sostegno. Questa sola grazia ti chiedo, Amore caro: che
l'anima mia, purificata e libera da qualunque cosa a te non
gradita, stia sempre ornata di sante virtù e con esse stia
preparata alla tua venuta e a quanto a te piacerà disporre di
me”.
Se ti fiderai di questi insegnamenti, sappi con certezza che in
qualsiasi desiderio di bene che non potrai realizzare, a causa
della natura o del demonio, per turbarti e allontanarti dal
cammino della virtù, o talora anche di Dio per provare la tua
rassegnazione alla sua volontà, avrai sempre occasione di
accontentare il tuo Signore nel modo che più piace a lui. E
proprio in questo consiste la vera devozione e il servizio, che
Dio vuole da noi.
Perché tu non perda la pazienza nei travagli, da qualunque
parte provengano, ti avverto ancora che tu, usando i mezzi
leciti solitamente adoperati dai servi di Dio, non li usi con il
desiderio e lo scopo di esserne liberata, ma perché Dio vuole
che si usino; né sappiamo noi se piace a sua divina Maestà di
liberarci con questo mezzo. Se tu facessi altrimenti, cadresti
in più mali: facilmente cadresti nell'impazienza, non
succedendo la cosa secondo il tuo desiderio e la tua intenzione;
oppure la tua pazienza sarebbe difettosa, non tutta accetta a
Dio e di poco merito.
Finalmente ti avverto qui di un occulto inganno del nostro amor
proprio, che in certe circostanze suole coprire e difendere i
nostri difetti. Per esempio: essendo qualche infermo poco
paziente per l'infermità, nasconde la sua impazienza sotto il
velo di qualche zelo di bene apparente. Egli dice che il suo
affanno non è veramente impazienza per il travaglio dovuto alla
malattia, ma ragionevole dispiacere perché egli stesso gliene
ha dato occasione oppure perché altri, per la servitù che gli
fanno o per altre cause, ne provano fastidio e danno.
Allo stesso modo l'ambizioso, che si turba per la dignità non
ottenuta, non attribuisce ciò alla sua propria superbia e vanità,
ma ad altri motivi dei quali si sa molto bene che in altre
occasioni, che a lui non danno noia, non tiene nessun conto.
Come nemmeno l'infermo si preoccupa se quegli stessi, per i
quali diceva di dolersi molto che tribolassero per lui,
sostengano lo stesso travaglio e lo stesso danno per l'infermità
di qualche altro.
Questo è segno assai chiaro che la radice del lamento di
costoro non è da vedere in altri o in altro motivo, se non
nella ripugnanza che hanno delle cose contrarie alle loro
voglie. Tu però per non cadere in questo e in altri errori,
sopporta sempre pazientemente qualunque travaglio e pena da
qualsiasi causa essi provengano, come ti ho detto.
CAPITOLO
XXXII
L'ultimo assalto e inganno proposti sopra, con cui il demonio
tenta perché le virtù acquistate ci siano occasione di rovina
L'astuto e
maligno serpente non manca di tentarci con i suoi inganni anche
nelle virtù da noi acquistate perché ci siano occasione di
rovina mentre, compiacendoci di quelle e di noi medesimi, ci
innalziamo per cadere poi nel vizio della superbia e della
vanagloria.
Per guardarti tu dunque da questo pericolo, combatti sempre
sedendo nel campo piano e sicuro di una vera e profonda
conoscenza del fatto che niente sei, niente sai, niente puoi e
niente altro hai se non miserie e difetti né altro meriti che
l'eterna dannazione. Fermata e stabilita entro i termini di
questa verità, non te ne lasciar mai allontanare neanche un
poco da qualsivoglia pensiero o cosa che ti avvenga, tenendo per
certo che tutti siano tanti nemici tuoi, a causa dei quali
rimarresti o morta o ferita se tu cadessi nelle loro mani.
Per esercitarti bene a correre nel suddetto campo della vera
conoscenza della tua nullità, serviti di questa regola. Quante
volte ti rifai alla considerazione di te stessa e delle tue
opere, considerati sempre in rapporto a ciò che ti appartiene e
non in rapporto a quello che appartiene a Dio e alla sua grazia;
e poi stima te stessa tale quale ti ritrovi ad essere in
rapporto a ciò che è tuo.
Se consideri il tempo precedente alla tua esistenza, vedrai che
in tutto quell'abisso di eternità sei stata un puro niente, e
che niente hai operato né potuto operare perché tu avessi
l'essere. Poi in questo tempo in cui tu esisti per sola bontà
di Dio, lasciando a lui quello che gli appartiene, cioè la cura
continua con cui ogni momento ti conserva, che altro sei con
quello che è tuo se non parimenti un niente? Infatti non v'è
alcun dubbio che tu ritorneresti in un istante al tuo primo
niente, da cui ti trasse la sua mano onnipotente, se egli ti
lasciasse per un solo piccolissimo momento. E' cosa chiara,
dunque, che in questa esistenza naturale, considerandoti in
rapporto a quello che ti appartiene, non hai ragione di stimarti
o di voler essere da altri stimata.
Per quanto poi riguarda il beneficio dovuto alla grazia e
l'operare il bene, qual cosa buona e meritoria potrebbe mai fare
da se stessa la tua natura priva dell'aiuto divino? Considerando
d'altra parte i molti tuoi errori passati e anche il molto altro
male che da te sarebbe proceduto se Dio non ti avesse trattenuta
con la sua pietosa mano, troverai che le tue iniquità, per la
moltiplicazione non solo dei giorni e degli anni ma anche degli
atti e delle abitudini cattive (poiché un vizio chiama e tira
con sé l'altro vizio), sarebbero giunte a un numero quasi
infinito e tu saresti diventata un altro Lucifero infernale. Per
cui non volendo tu essere ladra della bontà di Dio ma rimanere
sempre con il tuo Signore, ti devi reputare peggiore di giorno
in giorno.
Fa' bene attenzione che questo giudizio che fai di te stessa sia
accompagnato dalla giustizia, perché altrimenti ti sarebbe di
non piccolo danno. Che se quanto alla cognizione della tua
malvagità superi qualcuno che per la sua cecità si considera
qualche cosa, tu perdi però molto e ti rendi peggiore di lui
nelle opere della volontà se vuoi essere dagli uomini reputata
e trattata per quella che sai di non essere.
Se vuoi, dunque, che la conoscenza della tua malizia e della tua
viltà tenga lontani i tuoi nemici e ti renda cara a Dio, fa' sì
che non solo disprezzi te stessa come indegna di ogni bene e
meritevole di tutti i mali, ma che dagli altri preferisca essere
disprezzata aborrendo gli onori, godendo dei vituperi e
disponendoti quando occorre a fare tutto quello che gli altri
disprezzano. Per non lasciare questa santa pratica non devi
stimare affatto il giudizio altrui, purché ciò sia fatto da te
per il solo fine del tuo abbassamento e per esercitarti in esso;
e non per una certa presunzione d'animo e per una non ben
conosciuta superbia, per la quale talora sotto altri buoni
pretesti si tiene poco o nessun conto della opinione altrui.
Se a volte ti capita, per qualche bene a te concesso da Dio, di
essere amata e lodata da altri come buona, sta' ben raccolta
dentro di te e non allontanarti per niente dalla suddetta verità
e giustizia, ma rivolgiti prima a Dio dicendogli con il cuore:
“Non sia mai, Signore, che io sia ladra dell'onore e delle
tue grazie; a te la lode, l'onore e la gloria, a me la
confusione”. Rivolgiti poi a colui che ti loda e parla
così interiormente: “Come mai costui mi tiene per buona,
mentre invece è buono solo il mio Dio (cfr. Mc 10, 18) e
le sue opere?”. Facendo in questo modo e rendendo al
Signore il suo, allontanerai i nemici e ti disporrai a ricevere
maggiori doni e favori da Dio. E quando il ricordo delle opere
buone ti mette nel pericolo di cadere nella vanità, subito
mirandole non come cosa tua ma di Dio, quasi parlando loro
potrai dire nell'animo tuo: “Io non so in qual modo voi
siate apparse e abbiate cominciato a esistere nella mia mente
dal momento che non sono io la vostra origine, ma il buon Dio
con la sua grazia vi ha create, nutrite e conservate. Lui solo
dunque voglio riconoscere come vero e principale Padre, lui
voglio ringraziare e a lui voglio darne ogni lode” (cfr.
2Mac 7,22.30).
Considera, poi, una cosa: tutte le opere da te compiute sono
state non solamente poco corrispondenti alla luce e alla grazia
a te concesse per conoscerle ed eseguirle, ma per altro sono
ancora molto imperfette e purtroppo lontane da quella pura
intenzione, dal debito fervore e dalla diligenza con cui
dovevano essere accompagnate e compiute. Perciò, se vi pensi
bene, ci sarebbe piuttosto da vergognartene che da compiacertene
vanamente. E' purtroppo vero: le grazie che da Dio riceviamo
pure e perfette, nella realizzazione sono macchiate dalle nostre
imperfezioni.
Inoltre paragona le tue opere con quelle dei santi e degli altri
servi di Dio. Alla luce di tale confronto conoscerai con
chiarezza che le migliori e le più grandi opere tue sono di
molto bassa lega e di molto scarso valore. Se poi le paragoni
con quelle che Cristo nei misteri della sua vita e della sua
continua croce operò per te; se le consideri solamente in se
stesse senza la persona divina i sia per l'affetto e sia per la
purezza dell'amore con cui furono fatte, ti accorgerai che tutte
le tue opere sono appunto come un niente. Se infine leverai la
mente alla divinità e all'immensa Maestà del tuo Dio e al
servizio che merita, vedrai chiaramente che da qualunque opera
tua deriva non vanità ma tremore grande. Onde per tutte le vie
in ogni opera tua, per santa che essa sia, con tutto il cuore
devi dire al tuo Signore: “O Dio, sii propizio a me
peccatrice” (cfr. Lc 18,13).
Ti avverto ancora di non voler essere facile a scoprire i doni
ricevuti da Dio: questo dispiace quasi sempre al tuo Signore,
come ben ci dichiara egli stesso con la seguente dottrina. Una
volta egli, assumendo le sembianze di un fanciullo e di una pura
creatura, apparve a una sua devota che con ingenua semplicità
lo invitò a recitare la salutazione angelica. Egli cominciò
prontamente dicendo: “Ave, Maria, piena di grazia, il
Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne”; e poi
si fermò, perché non volle con le altre parole che seguivano
lodare se stesso. E mentre ella lo pregava di proseguire,
nascondendosi, egli lasciò nella consolazione la sua serva
manifestandole con il suo esempio questa celeste dottrina.
Figliuola, impara anche tu ad abbassarti conoscendoti per quel
niente che sei con tutte le opere tue: questo è il fondamento
di tutte le altre virtù. Prima che noi fossimo, Dio ci creò
dal nulla; ora che esistiamo per lui, vuole fondare tutto
l'edificio spirituale sulla cognizione del nostro nulla. E
quanto più ci sprofondiamo in esso, tanto più in alto si
eleverà l'edificio spirituale; e nella misura in cui andremo
scavando la terra delle nostre miserie, il divino architetto vi
porrà tante fermissime pietre per mandare avanti l'edificio.
Non convincerti, figliuola, di poterti mai abbassare tanto che
basti; anzi abbi di te questa stima che se cosa infinita si
potesse dare in una creatura, tale sarebbe la tua viltà. Con
questa cognizione ben radicata possediamo ogni bene; senza di
essa siamo poco più di niente, anche se facessimo le opere di
tutti i santi e stessimo sempre occupati in Dio.
O beata cognizione, che ci fa felici in terra e gloriosi in
cielo!
O luce che, uscendo dalle tenebre, rende le anime lucide e
chiare!
O gioia non conosciuta, che risplende tra le nostre immondizie!
O niente che, conosciuto, ci fa padroni del tutto!
Non mi sazierei mai di parlarti di ciò: se vuoi lodare Dio,
accusa te stessa e brama di essere accusata dagli altri.
Umiliati con tutti e sotto di tutti, se vuoi in te esaltare lui
e te in lui. Se desideri ritrovarlo, non ti innalzare perché
egli fuggirà. Abbassati e abbassati quanto puoi, perché egli
verrà a trovarti e ad abbracciarti. E tanto ti accoglierà e ti
stringerà più teneramente a sé con amore, quanto più ti
renderai vile agli occhi tuoi e ti compiacerai di essere
umiliata da tutti e rigettata come cosa abominevole.
Stimati indegna di tanto dono che il tuo Dio, per te disonorato,
ti fa per unirti a sé; non mancare di rendergli spesso grazie e
di tenerti obbligata a chi te ne ha dato occasione, e di più a
quelli che ti hanno oltraggiata oppure pensano che tu mal
volentieri e di non buona voglia lo sopporti. Anche se così
fosse, non devi darlo a vedere all'esterno.
Se nonostante tante considerazioni purtroppo vere, l'astuzia del
demonio, l'ignoranza e la nostra cattiva inclinazione,
prevalessero in noi in modo che i pensieri di autoesaltazione
non cessassero di turbarci e di fare impressione nel nostro
cuore, pure allora è tempo d'umiliarci tanto più agli occhi
nostri quanto più vediamo che dalla prova abbiamo poco
profittato nella via dello spirito e nella leale conoscenza di
noi stessi, poiché non possiamo liberarci da siffatte molestie
che hanno radice nella nostra vana superbia. Così dal veleno
caveremo miele, e sanità dalle ferite.
CAPITOLO
XXXIII
Alcuni avvertimenti per vincere le passioni viziose e acquistare
nuove virtù
Benché ti abbia
detto molto sul modo da seguire per superare te stessa e ornarti
delle virtù, tuttavia mi rimane d'avvertirti di altre cose.
Primo. Volendo acquistare delle virtù, non lasciarti mai
convincere a preferire quegli esercizi spirituali ai quali con
superficialità sono assegnati i giorni della settimana, uno per
una virtù e gli altri per le altre. Ma l'ordíne della
battaglia e dell'esercizio sia di fare guerra a quelle passioni
che ti hanno sempre danneggiata e tuttora spesso ti assaltano e
ti danneggiano, e di ornarti delle virtù ad esse contrarie e
quanto più perfettamente sia possibile. Perché acquistando tu
queste virtù, tutte le altre con facilità e con pochi atti le
acquisterai subito quando ti si presentano le occasioni, che non
mancano mai in quanto le virtù vanno sempre congiunte insieme,
e chi ne possiede una perfettamente ha tutte le altre pronte
alla porta del cuore.
Secondo. Non determinare mai il tempo per l'acquisto delle virtù,
né giorni, né settimane, né anni; ma sempre, quasi fossi
allora nata e come novello soldato, combatti e tendi sempre
verso il culmine della loro perfezione. Non ti fermare nemmeno
per un attimo, perché il fermarsi nel cammino delle virtù e
della perfezione non significa prendere fiato e forza ma tornare
indietro o diventare più fiacca di prima. Per fermarsi io
intendo il credere d'aver acquistato la virtù interamente e il
fare alle volte poco conto delle occasioni, che ci chiamano a
nuovi atti di virtù, e delle piccole mancanze. Perciò sii
sollecita, fervente e accorta a non perdere neppure una minima
occasione di virtù. Ama dunque tutte le occasioni che inducono
alla virtù e molto più quelle che sono difficili a superarsi,
perché gli atti compiuti per vincere le difficoltà più presto
e più profondamente determinano le abitudini, e ama
affettuosamente quelli che te le porgono.
Terzo. Sii prudente e discreta in quelle virtù, che possono
cagionare danno al corpo: come, ad esempio, affliggerlo con
discipline, con cilizi, con digiuni e veglie, con meditazioni e
altre cose somiglianti, perché queste virtù si devono
acquistare a poco a poco e per gradi, come appresso diremo. Poi
per quanto riguarda le altre virtù totalmente interne come
amare Dio, disprezzare il mondo, umiliarsi agli occhi propri,
odiare le passioni viziose e il peccato, essere paziente e
mansueta, amare tutti, anche chi ti offende, e altri simili, non
c'è bisogno del poco a poco per acquistarle né di salire per
gradi alla loro perfezione; ma sforzati pure di fare ogni atto
quanto più perfettamente sia possibile.
Quarto. Tutto il tuo pensiero, il desiderio e il cuore altro non
pensino, desiderino o bramino che vincere quella passione che
combatti e acquistare la sua virtù contraria. Questo sia tutto
il mondo, il cielo e la terra; questo ogni tesoro tuo e tutto
allo scopo di piacere a Dio. Se mangi e digiuni, se ti
affatichi, se riposi, se vegli, se dormi, se sei in casa, se
fuori di casa, se attendi alle devozioni e se alle opere
manuali, tutto sia indirizzato a superare e vincere la detta
passione e acquistare la sua virtù contraria.
Quinto. Sii nemica senza eccezione dei diletti terreni e delle
comodità, perché a questo modo, essendo con poca forza, sarai
assalita dai vizi che hanno tutti per radice il diletto. Per
cui, tagliata questa radice con l'odio di noi stessi, quelli
vengono a perdere le forze e il valore. Che se vorrai far guerra
da una parte a qualche vizio e diletto particolare e dall'altra
attendere ad altri diletti terreni, benché non siano mortali ma
veniali, dura e sanguinosa sarà la guerra e molto incerta e
rara la vittoria. Perciò terrai sempre a mente quelle sentenze
divine: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua
vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv
12,25). “Così dunque fratelli, noi siamo
debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne;
poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con
l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo,
vivrete” (Rm 8,12-13).
Sesto. E per ultimo ti avviso che sarebbe bene e forse
necessario che tu facessi prima una confessione generale con
tutti quei dovuti modi, per assicurarti maggiormente di stare in
grazia del tuo Signore, da cui si devono aspettare tutte le
grazie e tutte le vittorie.
CAPITOLO
XXXIV
Le virtù si devono acquistare a poco a poco, esercitandosi per
gradi e attendendo prima all'una e poi all'altra
Benché il vero
soldato di Cristo che aspira al culmine della perfezione non
debba mai porre alcun termine al suo progresso, tuttavia alcuni
fervori di spirito devono essere frenati con una certa
discrezione. Abbracciati massimamente all'inizio con troppo
ardore, essi poi vengono meno e ci lasciano a mezza strada.
Perciò oltre a quello che si è detto intorno alla moderazione
circa gli esercizi esterni, si sappia per giunta che anche le
virtù interne si devono acquistare a poco a poco e secondo i
loro gradi, perché così il poco diventa subito molto e
duraturo. Per esempio nelle avversità non dobbiamo
ordinariamente esercitarci nel rallegrarcene e nel desiderarle,
se prima non siamo passati per i gradi più bassi della virtù
della pazienza. E non ti consiglio di attendere principalmente a
tutte né a molte virtù insieme, ma a una sola e poi alle
altre, perché così si pianta più agevolmente e fermamente
nell'anima l'abitudine virtuosa. Infatti con l'esercizio
continuo d'una sola virtù la memoria corre più prontamente a
quella in ogni occasione; l'intelletto si va facendo sempre più
acuto nel trovare nuovi modi e nuove ragioni per acquistarla; la
volontà vi s'inclina più facilmente e con maggior affetto:
cosa che queste potenze farebbero pochissimo, se si occupassero
nell'acquisto di parecchie virtù.
E gli atti riguardanti una sola virtù, per la conformità che
hanno tra loro, si vengono a fare meno faticosi con questo
uniforme esercizio, poiché l'uno chiama e aiuta l'altro suo
simile; e per questa somiglianza si imprimono maggiormente in
noi, trovando la sede del cuore già pronta e disposta a
ricevere quelli che di nuovo si producono, come prima diede
luogo agli altri ad essi conformi.
Queste ragioni hanno tanta maggior forza, quanto più sappiamo
con certezza che chiunque si esercita bene in una virtù
apprende anche il modo di esercitarsi nell'altra; e così con
l'aumento di una, crescono tutte insieme per l'inseparabile
legame che hanno tra loro, essendo raggi procedenti da una
stessa divina luce.
CAPITOLO
XXXV
I mezzi con i quali si acquistano le virtù. Come ce ne dobbiamo
servire per attendere a una sola virtù per qualche spazio di
tempo
Per acquistare le
virtù, oltre quello che dicemmo sopra, si richiedono un animo
generoso e grande e una volontà non fiacca né rilassata, ma
risoluta e forte, insieme al presupposto certo di dover passare
per molte cose contrarie e aspre. Inoltre bisogna avere verso le
virtù particolare inclinazione e affezione, che si potranno
conseguire considerando spesso quanto piacciano a Dio, quanto
siano nobili ed eccellenti in se stesse e a noi utili e
necessarie, poiché da esse ha principio e in esse ha fine ogni
perfezione.
Si facciano ogni mattina efficaci proponimenti di esercitarsi
nelle virtù secondo le cose che verosimilmente capiteranno in
quel giorno nel quale più volte ci dobbiamo esaminare se li
abbiamo eseguiti o no, rinnovandoli poi più vivamente. E tutto
ciò particolarmente intorno alla virtù che allora vogliamo
praticare. Allo stesso modo gli esempi dei santi, le nostre
preghiere, le meditazioni della vita e della passione di Cristo
tanto necessarie in ogni esercizio spirituale, tutto serva
principalmente per quella stessa virtù nella quale allora ci
eserciteremo.
La medesima cosa si faccia in tutte le occasioni sia pure
diverse tra loro, come dimostreremo in modo particolare più
avanti. Cerchiamo di abituarci talmente agli atti virtuosi
interni ed esterni, da farli con quella prontezza e quella
facilità con cui prima facevamo gli altri conformi alle voglie
naturali. E quanto più saranno a queste contrari, come dicemmo
in altro luogo, tanto più presto introdurranno l'abitudine
virtuosa nell'anima nostra.
I sacri detti della divina Scrittura, espressi con la voce o
almeno con la mente nel modo conveniente, hanno una forza
meravigliosa per aiutarci in questo esercizio. Perciò se ne
abbiano a disposizione molti intorno alla virtù che stiamo
praticando e si dicano durante il giorno e specialmente quando
insorge la passione contraria. Per esempio: se stiamo attendendo
all'acquisto della pazienza, potremo dire i seguenti detti o
altri simili: “Figli, sopportate con pazienza la collera
che da Dio è venuta su di voi” (Bar 4,25); “La
speranza degli afflitti non resterà delusa” (Sal 9,19);
“Il paziente val più di un eroe, chi domina se stesso val
più di chi conquista una città” (Pro 16,32); “Con
la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc
21,19); “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta
davanti” (Eb 12, 1).
Parimenti per lo stesso scopo potremo dire le seguenti o simili
orazioncelle: “Quando, Dio mio, questo mio cuore sarà
armato dello scudo della pazienza? Quando, per dare gioia al mio
Signore, sopporterò con animo tranquillo ogni travaglio? O pene
troppo care, che mi fanno simile al mio Signore Gesù per me
torturato! Sarà mai, unica vita dell'anima mia, che per tua
gloria io viva contenta tra mille angosce? Me beato, se in mezzo
al fuoco delle tribolazioni arderò dalla voglia di sostenere
cose maggiori!”.
Ci serviremo di queste e di altre orazioncelle, che siano
conformi al nostro progresso nelle virtù e che lo spirito della
devozione insegnerà. Queste orazioncelle si chiamano
giaculatorie, perché sono come giavellotti e dardi che si
lanciano verso il cielo e hanno grande forza per eccitarci alla
virtù e penetrare fino nel cuore di Dio se sono accompagnate da
due cose, quasi da due ali. L'una è la vera conoscenza della
gioia che Dio prova per il nostro esercizio delle virtù.
L'altra è un vero e ardente desiderio di acquistarle al solo
scopo di essere graditi a sua divina Maestà.
CAPITOLO
XXXVI
Nell'esercizio della virtù si deve camminare con sollecitudine
continua
Fra tutte le cose
più importanti e necessarie per l'acquisto delle virtù, oltre
a quelle insegnate sopra, una è questa: per raggiungere il fine
che qui ci proponiamo, bisogna continuare andando sempre avanti,
altrimenti con il solo fermarsi si torna indietro. Perché
quando noi cessiamo dagli atti virtuosi, ne segue
necessariamente che, per violenta inclinazione dell'appetito
sensitivo e delle altre cose che esteriormente ci muovono, si
generino in noi molte passioni disordinate. Queste distruggono o
almeno diminuiscono le virtù e inoltre restiamo privi di molte
grazie e doni, che avremmo potuto ottenere dal Signore se
avessimo fatto progresso. Perciò il cammino spirituale è
differente dal cammino che fa il viandante per terra: in questo
con il fermarsi non si perde niente del viaggio già fatto,
mentre invece si perde in quello. E inoltre la stanchezza di chi
fa il cammino a piedi aumenta con la continuazione del movimento
corporale; mentre nella via dello spirito quanto più si cammina
avanti, tanto più si acquista sempre maggior forza e vigore.
Questo capita perché con l'esercizio virtuoso la parte
inferiore, che con la sua resistenza rendeva aspro e faticoso il
sentiero, si debilita sempre più; invece la parte superiore,
nella quale risiede la virtù, si stabilisce e si fortifica di
più. Perciò progredendo nel bene, va scemando qualche pena che
vi si sente, e una certa segreta giocondità, che per l'azione
divina si mescola con la stessa pena, in ogni ora si va facendo
maggiore. A questo modo, continuando ad andare sempre con più
facilità e diletto di virtù in virtù, si arriva finalmente
alla sommità del monte dove l'anima, diventata perfetta, opera
poi senza fastidio; anzi opera con gusto e giubilo perché,
avendo già vinto e domato le passioni sregolate ed elevandosi
sopra tutto il creato e sopra se stessa, vive felicemente nel
cuore dell'Altissimo e quivi prende riposo soavemente faticando.
CAPITOLO
XXXVII
Dovendosi sempre continuare nell'esercizio delle virtù, non si
devono fuggire le occasioni che ci si presentano per acquistarle
Abbiamo visto
assai chiaramente che nel viaggio tendente alla perfezione, ci
conviene camminare sempre avanti senza fermarsi. Per fare
questo, stiamo bene attenti e vigilanti a non lasciarci sfuggire
qualunque occasione che ci si presenti per acquistare le virtù.
Per cui non pensano bene quelli che si allontanano quanto
possono dalle cose contrarie che potrebbero servire a questo
scopo.
Per non discostarmi dal solito esempio, ti dico: desideri
acquistare l'abitudine alla pazienza? Non è bene che ti
allontani da quelle persone, da quelle azioni e da quei pensieri
che ti muovono all'impazienza. E perciò non devi evitare di
trattare con qualcuno, benché ti sia molesto; ma, conversando e
trattando con chiunque ti procuri noia, tieni sempre disposta e
pronta la volontà a tollerare qualsiasi cosa ti possa capitare
di increscioso e di molesto; se facessi diversamente, non ti
abitueresti mai alla pazienza.
Parimenti se un'azione ti reca fastidio o per se stessa o per
chi te l'ha imposta o perché ti svia dal fare altra cosa a te
più gradita, non esitare a intraprenderla e a continuarla anche
se te ne sentissi inquieta e ne potessi trovare quiete
lasciandola. In tal modo non impareresti mai a patire e la tua
non sarebbe vera quiete, non procedendo da un animo purificato
dalla passione e ornato di virtù. La stessa cosa ti dico dei
pensieri noiosi, che alcune volte travagliano e conturbano la
tua mente: non li devi scacciare del tutto da te, perché, con
la pena che ti danno, ti servono nello stesso tempo per
assuefarti alla tolleranza delle contrarietà. E chi ti dice
diversamente ti insegna piuttosto a fuggire il travaglio che ne
senti, anziché a conseguire la virtù che desideri.
E ben vero che conviene, massimamente al giovane soldato,
temporeggiare e destreggiarsi nelle dette occasioni con
avvertenza e con abilità, ora affrontandole ora scansandole
secondo che più o meno va acquistando virtù e forza di
spirito. Ma non si deve mai in tutto voltare le spalle e
ritirarsi in modo da lasciarsi completamente dietro ogni
occasione di contrarietà, perché, se per allora ci salvassimo
dal pericolo di cadere, per l'avvenire saremmo esposti con
maggior rischio ai colpi dell'impazienza, non essendoci prima
armati e fortificati con l'uso della virtù contraria.
Questi moniti però non hanno luogo nel vizio della carne, di
cui abbiamo già trattato dettagliatamente.
CAPITOLO
XXXVIII
Bisogna aver care tutte le occasioni di combattere per
l'acquisto delle virtù, particolarmente quelle che comportano
più difficoltà
Figliuola, non mi
contento che tu non schivi le occasioni che ti si fanno incontro
per l'acquisto della virtù, ma voglio che come cosa di gran
valore e di grande stima siano a volte da te cercate e
abbracciate sempre lietamente, appena si presentano; e voglio
che tu reputi più preziose e care quelle che sono più
spiacevoli per la tua sensibilità: questo ti verrà concesso
con l'aiuto divino, se ti imprimerai bene nella mente le
seguenti considerazioni.
L'una è che le occasioni sono mezzi proporzionati, anzi
necessari, per acquistare le virtù. Per cui quando tu chiedi
queste al Signore, di conseguenza chiedi anche quelle,
altrimenti la tua preghiera sarebbe vana e tu verresti a
contraddire te stessa e a tentare Dio, poiché egli
ordinariamente non dà la pazienza senza le tribolazioni né
l'umiltà senza i disprezzi.
La stessa cosa si può dire di tutte le altre virtù, che si
conseguono senza dubbio per mezzo delle contrarietà. Essi ci
sono di tanto maggior aiuto per questo scopo, che ci devono
essere perciò tanto più care e gradite quanto più sono
faticose: infatti gli atti che noi facciamo in tali casi più
sono generosi e forti, più agevolmente e più presto ci aprono
la strada alla virtù. Sono però da stimare e da non lasciare
senza il loro esercizio anche le minime occasioni, come di uno
sguardo o di una parola contro la nostra volontà, poiché gli
atti che vi si fanno sono più frequenti benché meno intensi di
quelli che sono da noi prodotti nelle difficoltà importanti.
L'altra considerazione accennata anche sopra è questa: tutte le
cose che ci succedono vengono da Dio per nostro beneficio e
perché noi ne ricaviamo frutto. E quantunque di queste cose
alcune che sono mancanze nostre o di altri, come dicemmo pure in
altro luogo, non si può dire che siano di Dio, che non vuole il
peccato, sono però da Dio in quanto egli le permette e non le
impedisce, pur potendolo fare. Tutte le afflizioni e le pene che
ci capitano o per nostri difetti o per malignità altrui sono da
Dio e di Dio, poiché egli in quelle interviene. E ciò che non
vorrebbe che si facesse in quanto contiene deformità
grandemente odiosa ai suoi occhi purissimi, vuole che si patisca
per quel bene di virtù che noi ne possiamo trarre e per altre
giuste cause a noi occulte.
Perciò, essendo noi più che certi che il Signore vuole che
sosteniamo volentieri qualunque molestia ci venga dalle altrui o
anche dalle nostre ingiuste azioni, il dire, come per una
siffatta scusa della loro impazienza dicono molti, che Dio non
vuole anzi aborrisce le cose mal fatte, non è altro che coprire
la propria colpa con un vano pretesto e rifiutare la croce:
infatti non possiamo negare che a lui piace che noi la portiamo
(cfr. Lc 9,23).
Anzi dico di più: in confronto al resto, il Signore ama più in
noi la sopportazione di quelle pene che derivano dall'iniquità
degli uomini, specialmente se sono stati prima serviti e
beneficati, anziché le molestie che procedono da altre penose
circostanze. E ciò sia perché ordinariamente più in quelle
che in queste la natura superba si reprime e sia ancora perché,
sostenendole noi volentieri, accontentiamo ed esaltiamo
pienamente il nostro Dio, cooperando con lui in una cosa dove
sommamente splendono la sua ineffabile bontà e onnipotenza:
essa consiste nel cogliere dal pestifero veleno della malizia e
del peccato il prezioso e saporito frutto della virtù e del
bene.
Perciò sappi, figliuola, che non appena il Signore scopre in
noi il vivo desiderio di riuscire davvero e di attendere come si
deve a così glorioso acquisto, subito ci prepara il calice
delle più forti tentazioni e delle occasioni più dure
possibili perché a suo tempo lo prendiamo. E noi, riconoscendo
in ciò l'amore suo e il nostro proprio bene, lo dobbiamo
ricevere volentieri a occhi chiusi e berlo tutto fino in fondo
sicuramente e prontamente, poiché è medicina composta da una
mano che non può errare, con ingredienti tanto più utili
all'anima quanto più in se stessi sono amari.
CAPITOLO
XXXIX
Come possiamo valerci di diverse occasioni per l'esercizio di
una stessa virtù
Si è visto sopra
come per qualche tempo sia più fruttuoso l'esercizio di una
sola virtù che di molte insieme e che secondo quella bisogna
regolare le occasioni che si incontrano, benché tra loro
diverse. Ora considera come ciò si possa eseguire assai
facilmente.
Forse accadrà in uno stesso giorno e anche nella stessa ora
d'essere ripresi per un'azione che tuttavia è buona, o che per
altro si mormori di noi; che ci sia duramente negato qualche
favore da noi richiesto o qualsivoglia ben piccola cosa; che si
pensi male di noi senza ragione; che ci sopravvenga qualche
dolore corporale; che ci sia imposta qualche faccenda noiosa;
che ci sia offerta una vivanda mal condita o che ci avvengano
altre cose più importanti e dure da tollerare, delle quali è
piena la miserabile vita umana. Pur potendo produrre diversi
atti di virtù nella varietà di questi o di simili avvenimenti,
nondimeno, volendo osservare la regola mostrata, ci andremo
esercitando con atti tutti conformi alla virtù che allora
avremo per le mani.
Per esempio: se nel tempo in cui verranno le dette occasioni ci
eserciteremo nella pazienza, produrremo atti che siano
finalizzati a sopportarle tutte volentieri e con allegrezza
d'animo. Se il nostro esercizio sarà di umiltà, in tutte
quelle contrarietà ci conosceremo degni di ogni male. Se di
obbedienza, ci sottoporremo prontamente alla mano potentissima
di Dio e per sua compiacenza (poiché egli così vuole) alle
creature ragionevoli e anche inanimate, dalle quali ci vengono
queste contrarietà. Se di povertà, ci contenteremo di essere
spogliati e privi di ogni consolazione o grande o piccola di
questo mondo. Se di carità, produrremo atti d'amore e verso il
nostro prossimo, come strumento del bene che possiamo
acquistare, e verso il Signore Dio, come principale e amorosa
causa, da cui procedono o sono permessi quegli incomodi per
nostro esercizio e spirituale profitto.
E da quanto diciamo intorno ai diversi avvenimenti che possono
avvenire per ciascun giorno, si comprende nello stesso tempo
come in una sola occasione d'infermità o di altro travaglio
lungamente protratti possiamo andare facendo atti di quella virtù
in cui allora ci stiamo esercitando.
CAPITOLO
XL
Il tempo da impiegare nell'esercizio di ciascuna virtù e i
segni del nostro profitto
Quanto al tempo
nel quale bisogna continuare nell'esercizio di ciascuna virtù
non sta a me determinarlo, poiché ciò si deve regolare in base
allo stato e al bisogno dei singoli, al progresso che si va
facendo nella via dello spirito e al giudizio di chi ci guida
per quella via. Ma se vi si attendesse davvero con quei modi e
con quella sollecitudine di cui abbiamo parlato, senza dubbio in
non molte settimane ci si avvantaggerebbe moltissimo.
E' segno d'aver fatto progresso nella virtù quando nell'aridità,
fra le tenebre e le angustie dell'anima e nella privazione dei
gusti spirituali saldamente si va continuando negli esercizi
virtuosi. Di ciò darà anche assai chiaro indizio il contrasto
che, nel produrre gli atti della virtù, ci farà la sensualità:
quanto questa andrà perdendo di forze, tanto sarà da stimare
d'aver avanzato in quella. Perciò non provando contraddizione e
ribellione nella parte sensuale e inferiore, massimamente fra
gli assalti subitanei e improvvisi, sarà segno, questo, che
abbiamo già conseguito la virtù. E quanto i nostri atti
saranno accompagnati da maggior prontezza e allegrezza di
spirito, tanto più potremo pensare di aver progredito in questo
esercizio.
Si avverta però che non dobbiamo mai convincerci, come se fosse
cosa certa, di essere possessori delle virtù e del tutto
vittoriosi su alcuna nostra passione, benché dopo molto tempo e
molte battaglie non avessimo sentito i suoi stimoli: infatti qui
possono ancora insinuarsi l'astuta azione del demonio e la
nostra natura ingannevole. Per cui alle volte è vizio quello
che per occulta superbia pare virtù. Inoltre se miriamo alla
perfezione alla quale Dio ci chiama, pur avendo fatto molto
cammino nella via della virtù, dovremo persuaderci di non
essere nemmeno entrati nei suoi primi confini.
Perciò tu, come novella guerriera e quasi bambina proprio
allora nata per combattere, ripiglia sempre come da principio i
tuoi esercizi quasi che nulla avessi precedentemente fatto. E ti
ricordo, figliuola, di attendere piuttosto ad andare avanti
nelle virtù che a fare un esame minuzioso del proprio profitto,
perché il Signore Dio, vero e solo scrutatore dei nostri cuori,
ad alcuni fa conoscere ciò e ad alcuni no, secondo che vede se
a tale cognizione seguirà o umiliazione o superbia; e, come
Padre amorevole, agli uni toglie il pericolo e agli altri porge
occasione di crescere nelle virtù. E perciò, benché l'anima
non si avveda del suo progresso, seguiti pure nei suoi esercizi,
perché lo vedrà quando piacerà al Signore, per suo maggior
bene.
CAPITOLO
XLI
Non dobbiamo lasciarci prendere dalla voglia di essere liberi
dai travagli che sosteniamo pazientemente.
Il modo di regolare tutti i nostri desideri perché siano
virtuosi
Quando ti ritrovi
in qualunque cosa sia pure penosa e la sostieni con animo
paziente, sta' attenta a non lasciarti mai persuadere dal
demonio o dal tuo amor proprio a desiderarne la liberazione,
perché da ciò ti verrebbero due danni principali.
L'uno è che, qualora questo desiderio non ti togliesse sul
momento la virtù della pazienza, almeno a poco a poco ti
andrebbe disponendo all'impazienza.
L'altro è che la tua pazienza si renderebbe difettosa e sarebbe
ricompensata da Dio solamente per quello spazio di tempo in cui
tu patissi. Invece se tu non avessi desiderato la liberazione,
ma ti fossi del tutto rimessa alla sua divina bontà, benché in
effetti il tuo patire fosse stato di un'ora sola e anche meno,
il Signore lo avrebbe riconosciuto per un servizio di
lunghissimo tempo.
Perciò in questa e in tutte le cose abbi per regola universale
di tenere i tuoi desideri così lontani da ogni altro oggetto,
da mirare puramente e semplicemente al loro vero e unico scopo,
che è il volere di Dio. In tal modo essi saranno giusti e retti
e tu in qualunque contrarietà starai non solo quieta ma
contenta: non potendo accadere nessuna cosa senza la suprema
volontà, volendo tu quella, ti disporrai a volere insieme e a
ricevere tutto ciò che desideri e che succede in ogni
circostanza.
Questo, che non si intende dei peccati tuoi o altrui poiché Dio
non li vuole, avviene in ogni pena causata dai peccati stessi o
da qualche altro motivo, anche se essa fosse tanto violenta e
penetrasse così addentro che, toccando il fondo del cuore,
quasi seccasse le radici della vita naturale: anche questa è
croce con cui Dio si compiace favorire talora i suoi amici più
intimi e cari.
E ciò che dico della sofferenza che incontri in ogni caso,
intendilo riferito anche a quella parte di ciascun travaglio che
rimane, e che il Signore desidera che noi sosteniamo, dopo aver
usato tutti i mezzi leciti per liberarcene. Anche questi si
devono regolare in base alla disposizione e alla volontà di
Dio, il quale li ha ordinati allo scopo che ce ne serviamo,
perché egli così vuole, e non con attaccamento a noi stessi, né
perché amiamo e desideriamo la liberazione dalle cose moleste
più di quanto, appunto, il suo servizio e il suo beneplacito
richiedono.
CAPITOLO
XLII
Il modo di opporsi al demonio, mentre cerca di ingannarci con
l'indiscrezione
Quando il sagace
demonio si avvede che con vivi e ben ordinati desideri
camminiamo dritto per la via delle virtù, non potendoci tirare
dalla sua parte con aperti inganni si trasfigura in angelo di
luce. Quindi con amichevoli pensieri, con sentenze della
Scrittura e con esempi dei santi in modo importuno ci sollecita
a camminare con indiscrezione verso il culmine della perfezione,
per farci poi cadere nel precipizio. Perciò ci esorta a
castigare aspramente il corpo con discipline, astinenze, cilizi
e altre simili afflizioni perché o ci insuperbiamo sembrandoci
(come capita particolarmente alle donne) di fare cose grandi o
perché, sopraggiungendo qualche infermità, diventiamo inabili
alle opere buone, o perché per troppa fatica e pena ci vengano
a noia e ripugnanza gli esercizi spirituali. Così, a poco a
poco, intiepiditi nel bene, con maggiore avidità di prima ci
daremo in preda ai diletti e ai passatempi terreni: questo è
avvenuto a molti che, seguendo con presunzione di spirito
l'impeto di uno zelo indiscreto e oltrepassando con
sproporzionati patimenti esteriori la misura della propria virtù,
sono periti nelle loro invenzioni e sono diventati motivo di
derisione per i maligni demoni. Il che non sarebbe loro
successo, se avessero bene considerato le cose suddette e che
questa specie di atti penosi, sebbene siano lodevoli e apportino
frutto qualora vi siano forze corporali e umiltà di spirito
corrispondenti, ha bisogno di misura conforme alla qualità e
alla natura di ciascuno.
A chi non può in questa vita aspra tribolare con i santi, non
mancano altre occasioni per imitarne la vita con grandi ed
efficaci desideri e con orazioni ferventi, aspirando alle più
gloriose corone dovute ai veri combattimenti per Gesù Cristo
col disprezzare il mondo intero e anche se stesso; col darsi al
silenzio e alla solitudine; con l'essere umile e mansueto con
tutti; col patire il male e fare il bene a chiunque gli è più
contrario e con il guardarsi da ogni colpa anche leggera. Questa
è cosa più gradita a Dio degli esercizi che affliggono il
corpo: in essi io ti consiglio di essere piuttosto discretamente
parca per poterli accrescere nel bisogno, anziché con certi
eccessi ridurti al punto di doverli abbandonare.
Infatti già io credo che non stai affatto per cadere
nell'errore di alcuni, ritenuti per altro spirituali, i quali,
allettati e ingannati dalla lusinghevole natura, sono troppo
diligenti nel conservare la loro salute corporale. E se ne
mostrano tanto gelosi e ansiosi, che per una minima cosa stanno
sempre in dubbio e nel timore di perderla: infatti non vi è
cosa che pensino e trattino più volentieri di come regolarsi in
questa parte della loro vita. Perciò attendono continuamente a
procurarsi cibi conformi più al gusto che al loro stomaco, il
quale molte volte si indebolisce per eccessiva delicatezza. E
mentre si fa questo sotto pretesto di poter meglio servire Dio,
non è altro che voler accordare insieme senza alcun vantaggio,
anzi con danno dell'uno e dell'altro, due nemici capitali che
sono spirito e corpo, poiché, con siffatta sollecitudine, a
questo si toglie sanità e a quello devozione.
E perciò è più sicuro e giovevole sotto ogni aspetto un certo
modo di vivere libero, non disgiunto però da quella discrezione
di cui ho parlato, avendo riguardo per le diverse condizioni e
costituzioni fisiche, che non soggiacciono tutte a una stessa
regola. Inoltre aggiungo che non solo nelle cose esteriori, ma
anche nell'acquistare le virtù interiori dobbiamo procedere con
qualche moderazione, come si è precedentemente dimostrato a
proposito della conquista graduale delle virtù.
CAPITOLO
XLIII
Quanto possano in noi la nostra cattiva inclinazione e
l'istigazione del demonio per indurci a giudicare temerariamente
il prossimo.
Il modo di fare loro resistenza
Dal suddetto
vizio della propria stima e reputazione ne nasce un altro, che
ci porta gravissimo danno ed è il giudizio temerario sul nostro
prossimo che consideriamo vile, disprezziamo e abbassiamo.
Questo difetto, siccome ha la sua origine nella cattiva
inclinazione e nella superbia, così da essa viene volentieri
fomentato e nutrito. Insieme a tale difetto, anche la superbia
si va accrescendo, compiacendo e ingannando insensibilmente:
infatti senza avvedercene tanto più presumiamo di innalzare noi
stessi, quanto più nella nostra opinione deprimiamo gli altri
sembrandoci di essere lontani da quelle imperfezioni che
crediamo di trovare in essi.
Il sagace demonio, scorgendo in noi siffatta pessima
disposizione d'animo, vigila continuamente per aprirci gli occhi
e tenerci svegli per vedere, esaminare e ingrandire le mancanze
altrui. Le persone superficiali non credono e non conoscono
quanto egli si adoperi e studi per imprimere nelle nostre menti
i piccoli difetti di questo e di quello, non potendovi imprimere
i grandi. Però se egli vigila a tuo danno, sta' desta anche tu
per non cadere nei suoi lacci; e appena ti presenta qualche
errore del tuo prossimo, ritira subito da quello il pensiero, e
se pure ti senti muovere al giudizio, non ti lasciar indurre ad
esso. Considera, invece, che a te non è stata data questa
facoltà (cfr. Mt 7, 1; Lc 6,3 7; 1 C or 4,5): benché così
fosse, non potresti darne un giudizio retto, trovandoti
attorniata da mille passioni e purtroppo inclinata a pensar male
senza giusto motivo.
Ma per efficace rimedio di ciò ti ricordo di essere occupata
col pensiero nei bisogni del tuo cuore, perché sempre più ti
andrai accorgendo di avere tanto da fare e da tribolare in te e
per te, che non ti avanzerà tempo né avrai voglia di badare ai
fatti altrui. Inoltre attendendo a tale esercizio nel modo
conveniente, purificherai sempre più il tuo occhio interiore da
quei cattivi umori da cui procede questo vizio pestifero. E
sappi che quando malauguratamente pensi alcun male del fratello,
qualche radice dello stesso male è nel tuo cuore, il quale,
secondo che si trova mal disposto, così riceve in sé ogni
oggetto simile che gli si fa incontro.
Perciò quando ti senti spinta a giudicare gli altri di qualche
difetto, sdegnata contro di te come se fossi colpevole di quello
stesso difetto, dirai nell'animo tuo: “Essendo io misera
sepolta in questo e in più gravi difetti, come avrò l'ardire
di levare il capo per vedere e giudicare quelli degli altri?”.
E così le armi che, indirizzate contro altri venivano a ferire
te, adoperate contro di te porteranno salute alle tue piaghe.
Che se l'errore commesso è chiaro e manifesto, scusalo con
affetto pietoso e credi che in quel fratello vi siano delle virtù
nascoste. Per custodirle il Signore permette che egli cada o
abbia per qualche tempo quel difetto, perché si mantenga più
umile agli occhi suoi e a causa anche del disprezzo altrui ne
ricavi frutto di umiliazione e si renda più gradito a Dio. E
così il guadagno suo sarà maggiore della perdita.
Se il peccato è non solo manifesto ma grave e dovuto a un cuore
ostinato, ricorri con il pensiero ai tremendi giudizi di Dio.
Alla luce di essi vedrai che uomini prima scelleratissimi hanno
poi raggiunto una grande santità; mentre vedrai che altri dal
più sublime stato di perfezione, al quale pareva fossero
pervenuti, sono caduti in un miserevole precipizio. Perciò vivi
sempre in timore e tremore di te stessa (cfr. Fil 2,12), più
che di alcun altro.
E convinciti che tutto quel bene che credi del tuo prossimo e
per il quale gioisci, è effetto dello Spirito Santo; mentre
ogni disprezzo, giudizio temerario e asprezza contro di lui
provengono dalla propria malizia e dalla suggestione diabolica.
Però se qualche imperfezione altrui avesse fatto in te
impressione, non ti rassegnare mai né da' sonno agli occhi tuoi
finché non te la levi dal cuore per quanto ti è possibile.
CAPITOLO
XLIV
L'orazione
Se la diffidenza
di noi stessi, la confidenza in Dio e l'esercizio in questo
combattimento sono tanto necessari quanto fin qui si è
dimostrato, soprattutto è necessaria l'orazione (che
è la quarta cosa e la quarta arma proposte all'inizio), con la
quale non solo possiamo conseguire da Dio Signore nostro le cose
dette, ma ogni altro bene. Infatti l'orazione è strumento per
ottenere tutte le grazie, che da quel fonte divino di bontà e
di amore piovono sopra di noi.
Se te ne servirai bene, con l'orazione porrai la spada in mano a
Dio perché combatta e vinca per te. E per servirtene bene, c'è
bisogno che tu sia abituata o che ti sforzi di esserlo nelle
seguenti cose.
Primo: in te viva sempre un desiderio vero di servire in tutto
sua divina Maestà e nel modo che ad essa più piace. Per
accenderti di questo desiderio, considera bene che Dio, a causa
dei suoi sovrammirabilí attributi, cioè per la sua bontà,
maestà, sapienza, bellezza e per altre sue infinite perfezioni,
è sovradegnissimo di essere servito e onorato. Considera che
egli per servire te, ha penato e faticato trentatré anni; ha
medicato e sanato le tue fetide piaghe avvelenate dalla malignità
del peccato non con olio e vino e stracci di panno, ma con il
prezioso liquore uscito dalle sue sacratissime vene e con le sue
carni purissime lacerate dai flagelli, dalle spine e dai chiodi.
E pensa inoltre quanto sia importante questo servizio, poiché
veniamo a farci padroni di noi stessi, superiori al demonio e
figli dello stesso Dio.
Secondo: deve essere in te una viva fede e una viva fiducia che
il Signore voglia darti tutto ciò che ti necessita per il suo
servizio e per il tuo bene. Questa santa confidenza è il vaso
che la misericordia divina riempie dei tesori delle sue grazie:
quanto più esso sarà grande e capace, tanto più ricca fluirà
l'orazione nel nostro intimo. E come l'immutabile onnipotente
Signore potrà mancare di farci partecipi dei suoi doni,
avendoci egli stesso comandato di chiederli (cfr. Mt 7,7-11) e
promettendoci anche il suo Spirito se lo richiederemo con fede e
perseveranza (cfr. Lc 11,9-13; Gv 14,16s e 26; 16,7-11 e 13s;
2Cor 1,21s)?
Terzo: ti devi accostare all'orazione con l'intenzione di volere
la sola volontà divina e non la tua, così nel domandare come
nell'ottenere quel che domandi. Cioè tu devi muoverti a pregare
perché Dio lo vuole e devi desiderare d'essere esaudita in
quanto egli pure così voglia. Insomma l'intenzione tua
dev'essere di congiungere la volontà tua con la divina e non di
tirare alla tua quella di Dio. E questo perché, essendo la tua
volontà infetta e guasta per l'amor proprio, ben spesso sbaglia
né sa quello che domanda; invece la divina è sempre congiunta
a bontà ineffabile né può mai sbagliare. Quindi essa è
regola e regina di tutte le altre volontà e merita e vuole da
tutte essere seguita e obbedita: perciò si devono domandare
sempre cose conformi al divino volere e, dubitando che alcuna
tale non sia, la domanderai a condizione di volerla se vuole il
Signore che tu l'abbia. E quelle che sai con certezza che gli
piacciono, come ad esempio le virtù, le richiederai più per
soddisfare e servire a lui che per altro fine o motivo sia pure
spirituale.
Quarto: all'orazione devi andare ornata di opere corrispondenti
alle domande e dopo l'orazione ti devi affaticare sempre più
per farti degna della grazia e delle virtù che desideri.
Infatti l'esercizio dell'orazione dev'essere talmente
accompagnato dall'esercizio di superare noi stessi, che l'uno
segua con ordine l'altro; altrimenti il domandare qualche virtù
e non adoperarsi per averla sarebbe piuttosto un tentare Dio che
altro.
Quinto: alle domande devono precedere per lo più i
ringraziamenti per i benefici ricevuti, in questo o in un modo
simile: “Signore mio, che per tua bontà mi hai creata e
redenta e tante innumerevoli volte che io stessa non conosco mi
hai liberata dalle mani dei miei nemici, soccorrimi adesso e non
mi negare quello che io ti chiedo benché ti sia stata sempre
ribelle e ingrata”. E se stai per chiedere qualche virtù
particolare e ti è capitata qualche contrarietà, per
esercitarti in quella non dimenticare di rendere grazie al
Signore dell'occasione che ti ha data: anche questo è non
piccolo suo beneficio.
Sesto: poiché l'orazione attinge la sua forza e la sua potenza
di piegare Dio ai nostri desideri dalla naturale bontà e
misericordia di lui, dai meriti della vita e della passione del
suo unigenito Figliuolo e dalla promessa a noi fatta di
esaudirci, concluderai le tue domande con una o più delle
seguenti espressioni: “Concedimi, Signore, questa grazia
per la tua somma pietà. Possano presso di te i meriti del tuo
Figliuolo impetrarmi quello che io ti chiedo. Ricordati, Dio
mio, delle tue promesse e volgiti alle mie preghiere”. E
altre volte domanderai ancora grazie per i meriti di Maria
Vergine e di altri santi che possono molto presso Dio e molto
sono da lui onorati, perché in questa vita onorarono la sua
divina Maestà.
Settimo: c'è bisogno che tu continui a perseverare
nell'orazione, perché l'umile perseveranza vince l'Invincibile.
Se l'assiduità e l'importunità della vedova evangelica
piegarono alle sue richieste il giudice colmo di ogni malvagità
(cfr. Lc 18,1-8), come non avranno forza di trarre alle nostre
preghiere la stessa pienezza di tutti i beni?
Perciò, anche se dopo l'orazione il Signore tardasse a venire e
ad esaudirti, anzi ti mostrasse segni contrari, continua pure a
pregare e a tenere ferma e viva la fiducia nel suo aiuto:
infatti in lui non mancano mai, anzi sovrabbondano in misura
infinita tutte quelle cose necessarie per concedere grazie agli
altri. Per cui se il difetto non è dalla tua parte, sta pur
sicura di ottenere sempre tutto ciò che chiederai o altro per
te più utile, oppure quello e questo insieme.
E quanto più ti sembrasse di essere respinta, tanto più
umiliati agli occhi tuoi, e considerando i tuoi demeriti, con il
pensiero fermo nella divina pietà, aumenta sempre in essa la
tua confidenza. La quale, mantenendosi viva e salda, quanto più
sarà contrastata tanto più piacerà a nostro Signore.
Rendigli poi sempre grazie riconoscendolo per buono, sapiente e
amoroso persino quando alcune cose ti sono negate, come se ti
fossero concesse, restando in qualunque avvenimento stabile e
allegra nell'umile sottomissione alla sua divina provvidenza.
CAPITOLO
XLV
Che cos'è l'orazione mentale
L'orazione
mentale è un'elevazione della mente a Dio con attuale o
virtuale domanda di quello che si desidera.
La domanda attuale si fa quando con parole mentali si chiede la
grazia in questo modo o in uno simile: “Signore Dio mio,
concedimi questa grazia a onore tuo”. Ovvero così: “Signore
mio, io credo che ti piaccia e sia tua gloria che ti domandi e
abbia questa grazia; compi dunque ormai in me il tuo divino
beneplacito”.
E quando sei di fatto combattuta dai nemici, pregherai in questo
modo: “Dio mio, sii pronto ad aiutarmi perché non ceda ai
nemici”. Oppure: “Dio mio, rifugio mio, fortezza
dell'anima mia, soccorrimi presto perché non cada”. E
continuando la battaglia, continua anche tu questo modo di
pregare e resisti sempre virilmente a chi combatte contro di te.
Terminata poi l'asprezza della guerra e rivolta al tuo Signore,
mostragli il nemico che ti ha combattuta e la tua svogliatezza
nel resistergli, dicendo: “Ecco, Signore, la creatura
opera delle tue mani e per somma tua bontà redenta dal tuo
sangue. Ecco il tuo nemico, che tenta di levarla da te e
divorarla. Signore mio, a te ricorro, confido in te solo che sei
onnipotente, buono, e vedi la mia impotenza e la prontezza a
rendermi volontariamente soggetta al nemico senza il tuo aiuto.
Aiutami dunque, speranza mia e fortezza dell'anima mia”.
La domanda virtuale si ha quando alziamo la mente a Dio per
ottenere qualche grazia, mostrandogliene il bisogno senza dire o
ragionare di nulla. Come quando, ad esempio, io elevo la mente a
Dio, e alla sua presenza mi riconosco impotente a difendermi dal
male e a fare il bene e, acceso del desiderio di servirlo,
aspettando con umiltà e fede il suo aiuto, guardo attentamente
lo stesso Signore. Questa siffatta conoscenza, questo ardente
desiderio e questa fede davanti a Dio è un'orazione che
virtualmente chiede quello di cui ho bisogno; e quanto più la
suddetta conoscenza sarà chiara e sincera e il suddetto
desiderio acceso e viva la fede, tanto più efficacemente si
chiederà.
Vi è anche un altro genere più preciso di orazione virtuale,
che si fa con un semplice sguardo della mente a Dio perché ci
soccorra. Tale sguardo non è altro che un tacito ricordo e una
tacita domanda di quella grazia che precedentemente avevamo
richiesta.
Figliuola, fa' in modo d'apprendere bene questa specie di
orazione e di rendertela familiare, perché, come l'esperienza
ti mostrerà, è un'arma che facilmente in ogni occasione e in
ogni luogo puoi avere a disposizione ed è di maggior valore e
giovamento di quanto io ne sappia dire.
CAPITOLO
XLVI
L'orazione sotto forma di meditazione
Volendo pregare
per qualche spazio di tempo, ad esempio di mezz'ora o di un'ora
intera e più, all'orazione aggiungerai la meditazione della
vita e della passione di Gesù Cristo applicando sempre le sue
azioni a quella virtù che desideri. Così, se desideri ottenere
la grazia della virtù della pazienza, prenderai ad esempio a
meditare alcuni punti del mistero della flagellazione.
Primo. Come dopo l'ordine dato da Pilato, con grida e scherni il
Signore fu trascinato dai ministri della malvagità al luogo
designato per flagellarlo.
Secondo. Come con frettolosa rabbia fu da essi svestito e ne
restarono tutte scoperte e nude le sue carni purissime.
Terzo. Come le sue mani innocenti, strette con una ruvida corda,
furono legate alla colonna.
Quarto. Come il suo corpo fu tutto lacerato e strappato dai
flagelli, per cui grondarono fino a terra i rivoli del suo
sangue divino.
Quinto. Come, aggiungendosi percosse a percosse in uno stesso
luogo, si esacerbarono sempre più le piaghe già fatte.
Così avendoti proposto questi o simili punti da meditare per
acquistare la pazienza, applicherai prima i sensi a sentire il
più vivamente possibile le amarissime angosce e le pene acerbe
sostenute dal tuo caro Signore in ciascuna parte del suo
sacratissimo corpo e in tutte insieme. Quindi passerai alla sua
santissima anima, penetrando quanto si può nella pazienza e
nella mansuetudine con cui sopportava tante afflizioni, non
saziando però mai la fame di patire, in onore del Padre e per
nostro beneficio, maggiori e più atroci tormenti.
Contemplalo poi acceso di un vivo desiderio che tu voglia
sopportare il tuo travaglio, o vedi come ancora rivolto al Padre
prega per te che si degni farti la grazia di portare
pazientemente la croce, che allora ti tormenta, e qualunque
altra. Perciò tu, piegando più volte la volontà a voler
tollerare il tutto con animo paziente, volgi poi la men-te al
Padre; e ringraziandolo prima che per sua pura cari-tà ha
mandato al mondo il suo unigenito Figliuolo a sop-portare tanti
aspri tormenti e a pregare per te, domanda-gli poi la virtù
della pazienza in forza delle opere e delle preghiere del suo
Figliuolo.
CAPITOLO
XLVII
Un altro modo di pregare meditando
Potrai anche
pregare e meditare in un altro modo.
Dopo aver considerato attentamente le afflizioni del Si-gnore e
visto col pensiero la prontezza d'animo con cui le sosteneva,
dalla grandezza dei suoi travagli e dalla sua pazienza passerai
a due altre considerazioni: l'una del suo merito; l'altra del
compiacimento e della gloria che l'eter-no Padre riceveva dalla
perfetta obbedienza del suo Fi-gliuolo crocifisso (cfr. Fil 2,8;
Eb 5,8).
Presentando a sua divina Maestà queste due cose, in virtù di
esse chiederai la grazia che desideri. E potrai fare ciò non
solo in ciascun mistero della passione del Signo-re, ma in ogni
atto particolare interiore ed esteriore da lui fatto in ciascun
mistero.
CAPITOLO
XLVIII
Un modo di pregare per intercessione di Maria Vergine
Oltre a quelli
suddetti, vi è un altro modo di meditare e di pregare per
intercessione di Maria Vergine rivolgendo la mente prima
all'eterno Dio, poi al dolce Gesù e infine alla stessa
gloriosissima madre.
Rivolta a Dio, considera due cose. L'una sono i diletti che egli
“ab aeterno”, considerato in Maria, prendeva di se
stesso prima che ella fosse tratta dal nulla. L'altra sono le
virtù e le azioni di lei dopo essere venuta al mondo.
I diletti così li mediterai. Sollevati in alto col pensiero
sopra ogni tempo e sopra ogni creatura; entrata poi nella stessa
eternità e nella mente di Dio, considera le delizie che di se
stesso prendeva in Maria Vergine. Dopo aver trovato il medesimo
Dio tra questi diletti, in forza di essi chiedi con sicurezza
grazia e forza per la distruzione dei tuoi nemici e
particolarmente di quello che allora ti combatte. Passando poi
alla considerazione delle tante e così singolari virtù e
azioni della madre santissima e presentandole a Dio ora tutte
insieme, ora alcune di esse, in virtù di quelle chiedi alla sua
infinita bontà secondo ogni tuo bisogno.
Rivolgendo poi la mente al Figliuolo, gli ricorderai il seno
verginale che per nove mesi lo portò; la riverenza con la quale
dopo la nascita la Vergine lo adorò e lo riconobbe per vero
uomo e vero Dio, Figliuolo e Creatore suo; gli occhi pietosi che
lo videro tanto povero e le braccia che lo raccolsero; i cari
baci con cui ella lo baciò; il latte con cui lo nutrì, le
fatiche e le angosce per lui sostenute in vita e in morte. In
virtù di tutte queste cose farai dolce violenza al divin
Figliuolo, perché ti esaudisca.
Infine rivolta alla santissima Vergine, ricordale che
dall'eterna provvidenza e bontà è stata eletta madre di grazia
e di pietà e avvocata nostra. Perciò dopo il suo benedetto
Figliuolo non abbiamo più sicuro e potente rifugio che in lei.
Inoltre ricordale quella verità che di lei si scrive e alla
quale si è pervenuti per tanti e tanti interventi miracolosi:
cioè che mai nessuno l'abbia invocata con fede ed ella non gli
abbia pietosamente risposto. Finalmente le presenterai i
travagli che il suo unico Figliuolo tollerò per la nostra
salvezza, pregandola di impetrarti grazia da lui perché a sua
gloria e soddisfazione essi abbiano in te quell'effetto per il
quale egli li sostenne.
CAPITOLO
XLIX
Alcune considerazioni per ricorrere con fede e con confidenza a
Maria Vergine
Volendo tu
ricorrere a Maria Vergine con fede e con confidenza in ogni tuo
bisogno, potrai conseguirle tutte e due in forza delle seguenti
considerazioni.
Primo. Già si sa per esperienza che tutti quei vasi dove è
stato del muschio o qualche liquore prezioso ritengono un poco
del loro odore, benché essi non vi siano più; e questo tanto
più avviene quanto più spazio di tempo vi
fossero stati , e molto più se ancora in qualche modo ve ne
fossero rimasti: eppure il muschio è di virtù limitata e
finita, e così ogni liquore prezioso. Per lo stesso motivo chi
sta vicino a un gran fuoco ne ritiene per molto tempo il calore,
benché s'allontani da esso.
Essendo questo vero, di che fuoco di carità, di quali
sentimenti di misericordia e di pietà diremo noi che sia
bruciato, e sia pieno, l'intimo di Maria Vergine? Ella infatti
ha portato per nove mesi nel suo grembo verginale e sempre porta
nel cuore pieno d'amore il Figliuolo di Dio che è la stessa
carità, misericordia e pietà, non già di virtù finita e
limitata, ma infinita e senza termine alcuno.
Pertanto, come chi si accosta a un gran fuoco non può non
ricevere del suo calore, così e molto più ogni bisognoso
riceverà aiuti, favori e grazie, se con umiltà e con fede si
accosterà al fuoco di carità, di misericordia e di pietà che
sempre arde nel cuore di Maria Vergine; e tanto più ne riceverà,
quanto più spesso e con maggior fede e confidenza vi si
accosterà.
Secondo. Nessuna creatura ha mai amato tanto Gesù Cristo né fu
tanto conformata alla sua volontà, quanto la sua madre
santissima. Se dunque lo stesso Figliuolo di Dio, che ha speso
tutta la sua vita e tutto se stesso per i bisogni di noi
peccatori, ci ha dato la madre sua come nostra madre e avvocata
perché ci aiuti e sia dopo di lui mezzo di salvezza per noi, in
qual modo potrà mai questa madre e avvocata nostra mancarci e
diventare ribelle alla volontà del Figlio?
Figliuola, ricorri pure con confidenza in ogni tuo bisogno alla
santissima madre Maria Vergine, perché ricca e beata è questa
confidenza e sicuro è il rifugio in colei che tuttora concede
grazie e misericordie.
CAPITOLO
L
Un modo di meditare e di pregare per intercessione degli angeli
e di tutti i beati
Per servirti in
questo dell'aiuto e del favore degli angeli e dei santi del
cielo, potrai seguire due metodi.
Primo. Rivolgiti all'eterno Padre e presentagli sia l'amore e le
lodi con cui è esaltato da tutta la corte celeste, sia le
fatiche e le pene sofferte dai santi sulla terra per suo amore;
e a causa di tutte queste cose, chiedi alla sua divina Maestà
tutto ciò di cui hai bisogno.
Secondo. Ricorri agli spiriti gloriosi come a coloro che non
solo bramano la nostra perfezione, ma desiderano vivamente che
noi siamo collocati anche su di un trono più alto del loro; e
supplicali perché ti portino aiuto contro tutti i tuoi vizi e
contro tutti i tuoi avversari e ti proteggano nell'ora della
morte.
Alcune volte ti metterai a considerare le molte singolari grazie
che hanno ricevute dal sommo Creatore, eccitando in te un vivo
sentimento di amore e di gioia verso di loro in quanto sono
ricchi di tanti doni, come se fossero tuoi. Anzi ti rallegrerai,
se è possibile, che tali doni li abbiano più gli spiriti
gloriosi che non tu, poiché questa fu la volontà di Dio: ne
sia perciò egli lodato e ringraziato.
Per fare questo esercizio con ordine e facilità, potrai
dividere le schiere dei beati secondo i giorni della settimana
in questa maniera.
La domenica prenderai i nove cori angelici.
Il lunedì: san Giovanni Battista.
Il martedì: i patriarchi e i profeti.
Il mercoledì: gli apostoli.
Il giovedì: i martiri.
Il venerdì: i pontefici con gli altri santi.
Il sabato: le vergini con le altre sante.
Ma non lasciare mai in ciascun giorno di ricorrere spesso a
Maria Vergine, regina di tutti i santi, al tuo angelo custode, a
san Michele arcangelo e a tutti i tuoi santi avvocati.
E ogni giorno prega Maria Vergine, il Figliuolo suo, il Padre
celeste che ti facciano la grande grazia di darti per principale
avvocato e protettore san Giuseppe, sposo della stessa Vergine;
rivolta poi al medesimo santo, pregalo fiduciosamente di
riceverti sotto la sua protezione.
Si narrano molte cose di questo glorioso santo e molti favori
che da lui hanno ricevuto tutti quelli che hanno avuto devozione
per lui e a lui sono ricorsi non solamente nei bisogni
spirituali ma anche temporali, e specialmente nel formare le
persone pie a ben pregare e meditare. Se Dio tiene tanto conto
degli altri santi perché vivendo fra noi gli resero obbedienza
e onore, quanto dobbiamo credere che da Dio sia stimato e presso
Dio abbiano valore le preghiere di questo umilissimo e
beatissimo santo! Egli fu talmente onorato in terra dallo stesso
Dio, che volle sottomettersi a lui e come a padre obbedirgli e
servirlo (cfr. Lc 2,5 1).
CAPITOLO
LI
La meditazione della passione di Cristo per ricavarne diversi
affetti
Quello che ho
detto prima intorno alla passione del Signore, serve a pregare e
a meditare per mezzo di domande. Ora aggiungo come possiamo
trarre diversi affetti dalla stessa meditazione. Se per esempio
ti proponi di meditare la crocifissione, in tale mistero fra gli
altri punti puoi considerare i seguenti.
Primo. Come al Signore, che sul monte Calvario venne
furiosamente spogliato da quelle genti furibonde, gli si
strapparono a pezzi le carni attaccate ai vestiti per le
precedenti battiture.
Secondo. Come gli fu tolta dal capo la corona di spine la quale,
quando poi gli fu rimessa, fu per lui causa di nuove ferite.
Terzo. Come a colpi di martelli e di chiodi fu crudelmente
confitto in croce.
Quarto. Come le sue sacre membra, non arrivando alle aperture
fatte per conficcarvi i chiodi, furono tirate con tanta violenza
da quei cani che le ossa tutte slogate si potevano numerare a
una a una.
Quinto. Come pendendo il Signore sul duro legno e non avendo
altro sostegno che quello dei chiodi, per il peso del corpo che
scendeva in basso si allargarono e si inasprirono con indicibile
dolore le sue sacratissime piaghe.
Da questi o da altri punti, volendo eccitare in te sentimenti di
amore, studiati con la meditazione di essi di passare di
conoscenza in maggior conoscenza dell'infinita bontà e
dell'amore del tuo Signore verso di te: egli per te volle patire
assai, così che quanto aumenterà in te questa conoscenza,
tanto crescerà parimenti l'amore. Dalla stessa conoscenza della
bontà e dell'amore infinito a te mostrati dal Signore,
facilmente ne ricaverai contrizione e dolore di aver offeso
tante volte e con tanta ingratitudine il tuo Dio, che per le tue
iniquità è stato maltrattato e straziato in tante maniere.
Per indurti alla speranza, considera che in questo stato di
tanta calamità è caduto un Signore così grande per estinguere
il peccato e liberarti dai lacci del demonio e delle tue colpe
particolari; per renderti propizio il suo eterno Padre e per
darti fiducia di ricorrere a lui in ogni tuo bisogno. Allegrezza
sentirai passando dalle sue pene ai loro effetti, e cioè
considerando che per mezzo di quelle Gesù purifica i peccati di
tutto il mondo, placa l'ira del Padre, confonde il principe
delle tenebre, uccide la morte e riempie le sedie angeliche.
Inoltre muoviti ad allegrezza per la gioia che ne riceve la
santissima Trinità con Maria Vergine e la chiesa trionfante e
militante.
Per incitarti all'odio dei tuoi peccati, applica a questo solo
fine tutti i punti che mediterai come se il Signore non avesse
patito per altro scopo che per indurti all'odio delle tue
cattive inclinazioni, e di quella appunto che ti domina di più
e più dispiace alla sua divina bontà.
Per muoverti a meraviglia, considera qual cosa può essere
maggiore di questa: vedere il Creatore dell'universo, che dà
vita a tutte le cose, perseguitato a morte dalle creature;
vedere conculcata e umiliata la Maestà suprema, condannata la
giustizia, sputacchiata la bellezza di Dio. Vedere odiato
l'amore del Padre celeste; vedere ridotta in potere delle
tenebre quella luce increata e inaccessibile; veder reputata
disonore e vituperio del genere umano e inabissata nell'estrema
miseria la stessa gloria e felicità.
Per compassionare il tuo addolorato Signore, oltre a meditare le
sue pene esteriori, penetra col pensiero in altre senza paragone
maggiori che internamente lo tormentavano. Che se per quelle ti
affliggerai, sarebbe strano se per queste il tuo cuore non si
spezzasse per il dolore.
L'anima di Cristo vedeva l'essenza divina come ora la vede in
cielo; la conosceva degnissima oltre misura di ogni onore e di
ogni servizio e a questo, per il suo ineffabile amore verso Dio,
desiderava che tutte le creature si dedicassero con tutte le
loro forze. Perciò vedendola, al contrario, in modo così
assurdo offesa e disprezzata per le infinite colpe e abominevoli
scelleratezze del mondo, l'anima di Cristo era nello stesso
tempo trafitta da infinite punture di dolore. Queste tanto più
lo tormentavano, quanto maggiore era il suo amore e il desiderio
che così alta Maestà fosse da tutti onorata e servita.
E come la grandezza di questo amore e di questo desiderio non si
può capire, così non vi è chi possa arrivare a conoscere
quanto acerba e grave fosse l'afflizione interna del crocifisso
Signore. Inoltre amando egli indicibilmente tutte le creature,
nella misura di questo amore si addolorò sopra ogni dire per
tutti i loro peccati a causa dei quali stavano per separarsi da
lui: infatti per ogni peccato mortale che avevano e avrebbero
fatto tutti gli uomini che furono e saranno, tante volte quante
ciascuno peccava altrettante Cristo si separava dal Padre con il
quale era congiunto per amore. Separazione tanto più dolorosa
di quella delle membra corporali allorché si disgiungono dal
loro luogo naturale, quanto più l'anima, essendo puro spirito e
maggiormente nobile e perfetta del corpo, era capace di dolore.
Fra queste sofferenze a causa delle creature fu acerbissima
quella provata dal Signore per tutti i peccati dei dannati i
quali, non potendo mai più riunirsi a lui, stavano per patire
eterni incomparabili tormenti. E se l'anima, intenerita per il
suo caro Gesù, passerà più avanti con il pensiero, troverà
da compatire in lui pene anche troppo gravi non solo per i
peccati commessi, ma per quelli ancora che non furono mai
commessi: infatti non vi è dubbio che nostro Signore a prezzo
dei suoi preziosi travagli ci guadagnò il perdono di quelli e
la preservazione da questi.
Figliuola, non ti mancheranno altre considerazioni per dolerti
delle torture del tuo Crocifisso. Questo perché non c'è stato
né ci sarà mai dolore alcuno in qualsiasi creatura
ragionevole, che egli non abbia sentito in se stesso. Le
ingiurie e le tentazioni, le infamie, le penitenze, ogni
angustia e travaglio di tutti gli uomini del mondo tormentarono
l'anima di Cristo più vivamente di quanto non tormentassero
quegli stessi che le patirono. Infatti il pietosissimo nostro
Signore vide perfettamente e nella sua immensa carità volle
compatire e imprimere nel suo cuore tutte le loro grandi e
piccole afflizioni dell'anima e del corpo, persino un minimo
dolore di testa e una puntura d'ago.
Però non c'è chi possa spiegare quanto lo accorarono le pene
della sua santissima madre: in tutti i modi e per tutti i motivi
per cui il Signore si addolorò e patì, altrettanto in tutti si
addolorò e patì la Vergine santa in maniera acerbissima benché
non così intensamente. E gli stessi suoi dolori rinnovarono al
suo benedetto Figliuolo le piaghe interne al punto tale che il
suo dolcissimo cuore fu ferito come da tante frecce infuocate
d'amore. Questo cuore, per tanti tormenti di cui ho parlato e
per altri quasi infiniti a noi sconosciuti, ben si potrebbe dire
che fosse un amoroso inferno di volontarie pene, come scrive
un'anima devota, che con santa semplicità soleva così
chiamarlo (Il testo è preso dal libro della beata Camilla
Battista da Varano, Dolori mentali di Cristo, Il secondo
dolore, Parigi 1660, p. 282, ndr).
Figliuola, se consideri bene la causa di tutti i suddetti dolori
sopportati dal nostro crocifisso Redentore e Signore, altro non
troverai che il peccato.
La conseguenza chiara è questa: il vero principale compatimento
e il rendimento di grazie che egli da noi ricerca e che in
maniera indicibile gli dobbiamo, consistono nel dolerci
puramente per amor suo dell'offesa a lui arrecata, nell'odiare
sopra ogni odio il peccato e nel combattere generosamente contro
tutti i suoi nemici e le nostre cattive inclinazioni. E noi,
spogliatici dell'uomo vecchio e delle sue opere, ci vestiamo
dell'uomo nuovo (cfr. Ef 4,20-24) ornando l'animo nostro delle
virtù evangeliche.
CAPITOLO
LII
I frutti che si possono trarre dalla meditazione del Crocifisso.
L'imitazione delle sue virtù
Fra gli altri
frutti, e sono molti, che devi trarre da questa santa
meditazione, l'uno sia che non solo ti addolori dei tuoi peccati
passati, ma ti affligga anche perché in te vivono disordinate
passioni che hanno posto in croce il tuo Signore.
L'altro è che gli chieda perdono delle tue colpe e la grazia
del perfetto odio di te stessa per non offenderlo più, anzi per
amarlo e servirlo perfettamente per l'avvenire in ricompensa di
tanti affanni sofferti per te: il che senza quest'odio santo non
si può fare.
Il terzo è che tu con efficacia perseguiti a morte ogni tua
cattiva inclinazione benché piccola.
Il quarto è che con ogni possibile sforzo cerchi di imitare le
virtù del Salvatore che ha patito non solo per redimerci
soddisfacendo per le nostre iniquità, ma anche per darci
l'esempio onde noi seguiamo le sue sante orme (cfr. 1 Pt 2,2 1).
Qui ti propongo un modo di meditare che ti servirà a questo
scopo. Per esempio: desiderando tu dunque di conquistare la
pazienza per imitare il tuo Cristo, considera i seguenti punti.
Primo: quello che l'anima di Cristo, durante la sua passione, fa
verso Dio.
Secondo: quello che Dio fa verso l'anima di Cristo.
Terzo: quello che l'anima di Cristo fa verso se stessa e verso
il suo sacratissimo corpo.
Quarto: quello che Cristo fa verso di noi.
Quinto: quello che noi dobbiamo fare verso Cristo.
Considera dunque in primo luogo come l'anima di Cristo, stando
tutta intenta in Dio, stupisce nel vedere che quell'infinita
incomprensibile grandezza al cui confronto tutte le cose create
sono come un puro niente, è sottoposta (stando però immobile
nella sua gloria) a sopportare in terra trattamenti indegnissimi
per l'uomo, da cui non ha ricevuto altro che infedeltà e
ingiurie; e considera come l'adora, la ringrazia e tutta le si
offre.
Secondo. Guarda in seguito cosa Dio fa verso l'anima di Cristo;
come vuole e la spinge a sostenere per noi gli schiaffi, gli
sputi, le bestemmie, i flagelli le spine e la croce, scoprendole
il suo compiacimento di vederla tutta ricolmata di ogni sorta di
obbrobri e di afflizioni.
Terzo. Da questo passa all'anima di Cristo. Pensa come, con il
suo intelletto tutto lume scorgendo quanto sia grande in Dio
questo compiacimento e con l'affetto tutto fuoco amando sua
divina Maestà sopra ogni misura, sia per l'infinito suo merito
sia per gli obblighi immensi che aveva verso di essa, essendo
dalla suddetta Maestà invitata a patire per nostro amore e per
nostro esempio, contenta e lieta si dispone a obbedire
prontamente alla sua santissima volontà. E chi può penetrare
dentro quei profondi desideri, che di ciò aveva quell'anima
purissima e amorosissima? Quivi ella si trova quasi in un
labirinto di travagli, cercando sempre e non trovando come
vorrebbe nuovi modi e nuove vie di patimenti. E perciò
liberamente dà tutta se stessa e le sue innocentissime carni al
capriccio e in preda agli uomini iniqui e ai demoni
dell'inferno, perché ne facciano quello che vogliono.
Quarto. Dopo questo guarda il tuo Gesù che, rivolto verso di te
con occhi pietosi, ti dice: “Figliuola, per non volerti tu
fare un poco di violenza, ecco dove mi hanno condotto le tue
sregolate voglie. Ecco quanto patisco e quanto gioiosamente lo
faccio, per tuo amore e per darti esempio di vera pazienza.
Figliuola, per tutti i miei dolori ti prego di portare
volentieri questa e ogni altra croce che a me piaccia di più,
abbandonandoti completamente nelle mani di tutti i persecutori
che ti darò, pur essendo vili e crudeli quanto più si possa
contro il tuo onore e contro il tuo corpo. Se sapessi la
consolazione che ne proverò!
Ma puoi ben vederla in queste ferite che, come care gioie, ho
voluto ricevere per ornare di preziose virtù la povera anima
tua da me amata al di sopra di ogni tua valutazione. E se io per
questo sono ridotto in così estremo stato, perché, sposa mia
cara, non vorrai tu patire un poco per dare soddisfazione al mio
cuore e addolcire quelle piaghe causatemi dalla tua impazienza,
che così amaramente mi afflisse più delle stesse piaghe?”.
Quinto. Pensa poi bene chi sia colui il quale così ragiona con
te e vedrai che è lo stesso re di gloria, Cristo vero Dio e
vero uomo. Considera la grandezza dei suoi tormenti e obbrobri,
che sarebbero indegni del più infame ladro del mondo. Vedi il
tuo Signore rimanere non solo immobile e sorprendentemente
paziente fra tanti strazi, ma addirittura goderne come si
trattasse di sue nozze. Come con meno acqua meglio arde il
fuoco, così con l'aumento dei tormenti, considerati piccoli
dalla sua sovrabbondante carità, cresceva sempre più il
godimento e la brama di soffrirne di maggiori. Considera che il
clementissimo Signore ha patito e operato tutto ciò non per
forza né per suo interesse, ma, come egli ti ha detto, per
amore verso di te e perché tu a sua imitazione ti eserciti
nella virtù della pazienza. Penetrando ben addentro a quello
che egli vuole da te e alla gioia che gli darai esercitandoti in
questa virtù, produci atti di ardente desiderio di portare non
solo pazientemente ma con allegrezza la tua croce presente e
ogni altra, anche se più grave, per meglio imitare il tuo Dio e
dargli maggior conforto.
Ponendoti davanti agli occhi della mente le sue ignominie e
amarezze gustate per te e la sua costanza e sofferenza,
vergognati di ritenere che la tua sia anche soltanto ombra di
pazienza e che i tuoi siano veri dolori e obbrobri. Temi e trema
che anche un minimo pensiero di non voler patire per amore del
tuo Signore trovi modo di fermarsi sia pure un poco nel tuo
cuore.
Questo Signore crocifisso, figliuola mia, è il libro che io ti
do a leggere e dal quale tu potrai ricavare il vero ritratto di
ogni virtù: essendo libro di vita, non solo ammaestra
l'intelletto con parole, ma infiamma anche la volontà con il
vivo esempio. Di libri è pieno il mondo intero e nondimeno non
possono tutti insieme insegnare così perfettamente il modo di
acquistare tutte le virtù, come si fa invece fissando lo
sguardo in Dio crocifisso.
Figliuola, sappi una cosa: coloro i quali spendono molte ore nel
piangere la passione di nostro Signore e nel considerare la sua
pazienza, e poi nelle avversità che sopraggiungono si mostrano
così impazienti come se nell'orazione avessero appreso
tutt'altra cosa, sono simili ai soldati del mondo. Costoro,
sotto le tende, prima del tempo della battaglia, si ripromettono
cose grandi, ma poi al comparire dei nemici lasciano le armi e
si danno alla fuga. E qual cosa può essere più stolta e più
miserabile di questa: vedere come in lucido specchio le virtù
del Signore, amarle, ammirarle, e poi dimenticarsene del tutto o
non stimarle quando si presenta l'occasione di esercitarle?
CAPITOLO
LIII
Il santissimo sacramento dell'eucaristia
Come hai già
visto, figliuola, fin qui ti ho provveduta di quattro armi di
cui avevi bisogno per vincere i tuoi nemici e di molti
avvertimenti per maneggiarle bene. Ora però mi resta da
proportene un'altra, che è il santissimo sacramento
dell'eucaristia. E come questo sacramento supera tutti gli altri
sacramenti, così questa quinta arma è superiore a tutte le
altre.
Le quattro suddette prendono il valore dai meriti e dalla grazia
ottenutaci dal sangue di Cristo, ma quest'arma è il sangue
stesso e la carne con l'anima e la divinità di Cristo. Con
quelle si combatte contro i nemici con la virtù di Cristo. Con
questa combattiamo contro quelli insieme con Cristo e Cristo li
combatte insieme con noi, perché chi mangia la carne di Cristo
e beve il suo sangue rimane con Cristo e Cristo rimane con lui (cfr.
Gv 6,56-57).
E poiché quest'arma può essere maneggiata e questo santissimo
sacramento può essere ricevuto in due modi: sacramentalmente
una volta al giorno e spiritualmente ogni ora e ogni momento,
nel secondo modo devi usare spessissimo quell'arma e nel primo
modo ogniqualvolta ti concesso.
CAPITOLO
LIV
Il modo di ricevere il santissimo sacramento dell'eucaristia
Per diversi fini
possiamo noi accostarci a questo divinissimo sacramento e per
conseguirli dobbiamo fare diverse cose divise in tre tempi:
prima della comunione; quando stiamo per comunicarci e dopo la
comunione.
Prima della comunione, anche se la riceviamo per una qualsiasi
finalità, abbiamo bisogno di lavarci e di mondarci con il
sacramento della penitenza dalla macchia di peccato mortale
qualora vi fosse. Dopo è necessario che con tutto l'affetto del
cuore offriamo noi stessi con tutta l'anima, con tutte le forze
e con tutte le facoltà a Gesù Cristo e a quanto piace a lui,
poiché egli in questo santissimo sacramento dà a noi il suo
sangue e la sua carne con l'anima, con la divinità e con i suoi
meriti. E considerando che poco o quasi niente è il nostro dono
rispetto al suo, dobbiamo desiderare di avere quanto gli hanno
offerto e dato tutte le creature umane e celesti per offrirlo a
sua divina Maestà.
Perciò volendolo tu ricevere allo scopo che in te siano vinti e
distrutti i tuoi e i suoi nemici, prima della comunione comincia
dalla sera o quanto prima a considerare il desiderio che ha il
Figliuolo di Dio che tu gli faccia spazio nel tuo cuore con
questo santissimo sacramento, per unirsi con te a aiutarti a
espugnare ogni tua viziosa passione. Questo desiderio è così
grande e immenso in nostro Signore, che da creato intelletto non
può essere compreso.
Tu, per rendertene in qualche modo capace, t'imprimerai bene
nella mente due cose.
Una è l'ineffabile compiacimento di Dio sommamente buono di
starsene con noi: questo egli chiama sue delizie (cfr. Pro 8,3
1).
L'altra consiste nel considerare che egli odia sopra ogni cosa
il peccato, sia come impedimento e ostacolo alla sua unione con
noi da lui tanto bramata, sia come in tutto contrario alle sue
divine perfezioni. Essendo Dio sommo bene, pura luce e bellezza
infinita, non può non odiare e detestare infinitamente il
peccato: esso non è altro che tenebre, difetto e macchia
intollerabile delle nostre anime.
E' così ardente quest'odio del Signore contro il peccato, che
alla sua distruzione sono state ordinate tutte le opere
dell'Antico e del Nuovo Testamento, e particolarmente quelle
della sacratissima passione del suo Figliuolo, il quale, dicono
gli illuminati servi di Dio, per annullare in noi ogni nostra
ben piccola colpa di nuovo (se ve ne fosse bisogno) si
esporrebbe a ben mille morti.
Da queste considerazioni tu riuscirai a comprendere sia pure
molto imperfettamente il grande desiderio del Signore di entrare
nel tuo cuore, per scacciarne e abbattere del tutto i tuoi e i
suoi nemici: perciò accenderai in te una viva voglia di
riceverlo per lo stesso scopo. Diventata così tutta generosa e
animata dalla speranza della venuta in te del tuo celeste
Capitano, chiama più volte a battaglia la passione che hai
presa di mira per vincerla; reprimila poi con replicate avverse
voglie, producendo atti di virtù contrari a quella passione. E
così andrai continuando la sera e la mattina prima della
santissima comunione.
Quando poi stai per ricevere il santissimo sacramento, un poco
prima darai un breve sguardo alle tue mancanze a cominciare
dalla precedente comunione fino a ora. Esse sono state da te
commesse come se Dio non ci fosse né avesse tanto sopportato
per te nei misteri della croce, facendo tu più conto di una
vile soddisfazione e delle tue voglie che della volontà di Dio
e del suo onore. Quindi con vergogna di te stessa e con un santo
timore ti confonderai nella tua ingratitudine e nella tua
indegnità. Ma pensando poi che l'abisso smisurato della bontà
del tuo Signore chiama l'abisso della tua ingratitudine e della
tua poca fede, avvicinati a lui con fiducia dandogli largo
spazio nel cuore perché ne diventi padrone assoluto. E soltanto
allora gli darai largo spazio, quando da questo cuore manderai
via qualunque affetto per le creature, chiudendolo dopo perché
non vi entri altro che il tuo Signore.
Ricevuta la comunione, ritirati subito nel segreto del tuo
cuore: avendolo prima adorato, con ogni umiltà e riverenza
ragiona mentalmente così con il tuo Signore: “Tu vedi,
unico mio bene, quanto facilmente io ti offenda e quanto
prevalga contro di me questa passione da cui non posso liberarmi
da solo. Però questa battaglia è principalmente tua e da te
solo spero la vittoria, benché a me spetti ancora combattere”.
Rivolta poi all'eterno Padre, per rendimento di grazie e per la
vittoria di te stessa offrigli il suo benedetto Figliuolo, che
egli ti ha dato e che già tieni dentro di te. Combattendo
generosamente contro la suddetta passione, con fede aspetta la
vittoria da Dio: anche se la ritardasse essa non ti mancherà,
se da parte tua tu farai quanto potrai.
CAPITOLO
LV
Come ci dobbiamo preparare alla comunione per eccitare in noi
l'amore
Per stimolarti
con questo sovraceleste sacramento ad amare il tuo Dio, ti
volgerai col pensiero all'amore suo verso di te meditando dalla
sera precedente su questo punto: come quel grande e onnipotente
Signore, non contento di averti creata a sua immagine e
somiglianza (cfr. Gn 1,26), non contento di aver mandato in
terra il suo unigenito Figliuolo a patire trentatré anni per le
tue iniquità, a sopportare asprissimi travagli e la penosa
morte di croce per redimerti, volle anche lasciartelo per tuo
cibo e per tua utilità nel santissimo sacramento dell'altare.
Considera bene, figliuola, le incomprensibili superiorità di
questo amore: esse lo rendono perfettissimo e singolare in tutte
le sue parti.
Primo. Perché se miriamo al tempo, il nostro Dio ci ha amati
perpetuamente e senza alcun principio; e quanto egli è eterno
nella sua divinità, tanto ancora eterno è il suo amore con cui
prima di tutti i secoli fu stabilito nella sua mente di darci il
suo Figliuolo in questa maniera meravigliosa. Perciò
giubilandone a causa dell'interna letizia, così potrai dire:
“Dunque in quell'abisso di eternità la mia piccolezza era
tanto stimata e amata dal sommo Dio, che egli pensava a me e con
sentimenti di carità ineffabile bramava di darmi in cibo il suo
stesso Figliuolo?”.
Secondo. Inoltre tutti gli altri amori, anche se grandi, hanno
qualche termine né possono estendersi più in là, ma solo
questo di nostro Signore è senza misura. E volendo perciò
soddisfare in pieno se stesso, egli ha dato il proprio Figliuolo
uguale a lui nella maestà infinita, di una stessa sostanza e
natura. Per cui tanto è l'amore quanto il dono e tanto il dono
quanto l'amore; l'uno e l'altro sono così grandi, che nessun
intelletto può immaginare grandezza maggiore.
Terzo. Dio non è stato spinto ad amarci da alcuna necessità o
forza, ma unicamente la sua intrinseca naturale bontà l'ha
mosso a tale e tanto incomprensibile affetto verso di noi.
Quarto. Non ha potuto precedere nessun'opera oppure merito
nostro perché quell'immenso Signore mostrasse verso la nostra
meschinità un amore tanto eccessivo, ma per sua sola liberalità
egli si è donato completamente a noi indegnissime sue creature.
Quinto. E se ti rivolgi col pensiero alla purezza di questo
amore, vedrai che non è mescolato a interesse alcuno come gli
amori mondani: infatti nostro Signore non ha bisogno dei nostri
beni, essendo egli senza di noi felicissimo e gloriosissimo in
se stesso. Perciò la sua ineffabile bontà e carità sono state
puramente effuse in noi non per suo, ma per nostro beneficio.
Pensando bene a questo, tu dirai fra te medesima: “Com'è
possibile che a un Signore tanto sublime stia a cuore una
creatura cosi vile? Che vuoi tu, re di gloria; cosa aspetti da
me, che non sono altro che un po' di polvere? Dio mio, nella
luce della tua ardente carità io scorgo bene che tu hai un solo
disegno capace di scoprirmi più chiaramente la purezza del tuo
amore verso di me, poiché ti doni a me tutto in cibo non per
altro che per trasformarmi tutta in te. E questo non perché tu
abbia bisogno di me, ma perché, vivendo tu in me e io in te,
diventi te stesso per unione amorosa, e della viltà del mio
cuore terreno si faccia con te un solo divino cuore”.
Perciò tu, piena di gioioso stupore, vedendoti così altamente
apprezzata e amata da Dio e conoscendo che egli con il suo amore
onnipotente altro non intende né vuole da te che attirare in sé
tutto il tuo amore, allontanati prima da tutte le creature e poi
anche da te stessa che sei creatura, e offriti tutta al tuo
Signore in olocausto: da questo momento in poi il solo suo amore
e beneplacito divino muovano l'intelletto, la volontà, la tua
memoria, e reggano i tuoi sensi.
Vedendo poi che nessuna cosa possa produrre in te effetti così
divini come il ricercarlo degnamente nel santissimo sacramento
dell'altare, a tale scopo apri il cuore al Signore con le
seguenti preghiere giaculatorie e aspirazioni amorose: “O
cibo sovraceleste! Quando suonerà quell'ora in cui io mi
sacrifichi tutta a te non con altro fuoco che quello del tuo
amore? Quando, quando, o Amore increato? O pane vivo! Quando io
vivrò solamente in te, per te e con te? Quando, vita mia, vita
bella, gioconda ed eterna? O manna celeste! Quando, infastidita
io di qualunque altro cibo terreno, te solo bramerò e di te
solo mi pascerò? Quando sarà, dolcezza mia? Quando, unico mio
bene? Signore mio amoroso e onnipotente, libera ormai questo
misero cuore da ogni attaccamento e da ogni viziosa passione;
ornalo delle tue sante virtù e di quella pura intenzione di
fare ogni cosa solamente per piacere a te. A questo modo verrò
io ad aprirti il cuore, ti inviterò e ti farò dolce violenza
perché vi entri: per cui tu, o Signore, senza resistenza
opererai poi in me quegli effetti che hai sempre desiderati”.
E in questi amorosi affetti ti potrai esercitare la sera e la
mattina per la preparazione alla comunione.
Avvicinandosi quindi il tempo della comunione, pensa a che cosa
stai per ricevere: il Figliuolo di Dio d'incomprensibile maestà,
davanti alla quale tremano i cieli e tutte le potestà. Il Santo
dei santi, lo specchio senza macchia e la purezza
incomprensibile, al cui confronto nessuna creatura è monda.
Colui che come verme e feccia della plebe (cfr. SI 22,7) per
amor tuo volle essere rifiutato calpestato, deriso, sputacchiato
e crocifisso dalla malizia e dalla iniquità del mondo.
Dico che stai per ricevere Dio, nelle cui mani è la vita e la
morte di tutto l'universo Che tu al contrario, in te stessa, sei
un niente e che per il tuo peccato e la tua malizia ti sei fatta
inferiore a qualunque vilissima e immonda creatura irrazionale,
degna di essere confusa e derisa da tutti i demoni infernali. E
dico che invece di aver gratitudine per tanti immensi e
innumerevoli benefici, nei tuoi capricci e nelle tue voglie hai
disprezzato un tanto e tale alto amorevole Signore e hai
oltraggiato il suo prezioso sangue. Che con tutto ciò, nella
sua perpetua carità e nella sua immutabile bontà, egli ti
chiama alla sua divina mensa e talora ti costringe con minacce
di morte perché ci vada. Né ti chiude la porta della sua pietà
e nemmeno ti volta le sue divine spalle, benché tu per natura
sia lebbrosa, zoppa, idropica, cieca, indemoniata e ti sia data
a molti fornicatori.
Questo solo il Signore vuole da te.
Primo: che ti dolga di averlo offeso.
Secondo: che sopra ogni altra cosa abbia in odio il peccato sia
grave che leggero.
Terzo: che tutta ti offra e ti abbandoni, con l'affetto sempre e
con i fatti nelle occasioni, alla sua volontà e all'obbedienza
a lui.
Quarto: che speri poi e abbia ferma fede che egli ti perdonerà,
ti farà monda e ti guarderà da tutti i tuoi nemici.
Confortata da quest'amore ineffabile del Signore, ti avvicinerai
poi per comunicarti con un timore santo e amoroso dicendo: “Signore,
non sono degna di riceverti per tante e tante volte in cui ti ho
offeso gravemente, né ho ancora pianto come devo l'offesa tua.
Signore, non sono degna di riceverti, perché non sono affatto
monda dagli affetti ai peccati veniali. Signore, non sono degna
di riceverti, perché ancora non mi sono data sinceramente al
tuo amore, alla tua volontà e all'obbedienza a te. Signore mio
onnipotente e infinitamente buono, in virtù della tua bontà e
della tua parola fammi degna di riceverti con questa fede, amor
mio”.
Dopo esserti comunicata, rinchiuditi subito nel segreto del tuo
cuore e, dimentica di qualunque cosa creata, ragiona con il tuo
Signore in questo modo o in uno simile: “O altissimo re
del cielo! Chi ti ha condotto dentro di me, che sono miserabile,
povera, cieca e ignuda?”. Ed egli ti risponderà: “L'amore”.
E tu replicando dirai: “O Amore increato! O Amore dolce!
Che cosa vuoi tu da me?”. Egli ti dirà: “Non altro
che amore. Né altro fuoco voglio che arda sull'altare del tuo
cuore, nei tuoi sacrifici e in tutte le tue opere che il fuoco
del mio amore che, consumando ogni altro amore e ogni tua volontà,
mi dia odore soavissimo. Questo ho domandato e domando sempre,
perché bramo di essere tutto tuo e che tu sia tutta mia. Ciò
non avverrà giammai finché, non facendo di te quell'abbandono
che tanto mi diletta, sarai attaccata all'amore di te stessa, al
tuo parere e a ogni tua voglia e reputazione. Ti domando l'odio
di te stessa, per darti il mio amore; il tuo cuore, perché si
unisca con il mio che per questo mi fu aperto sulla croce (cfr.
Gv 19,33-34); e chiedo tutta te stessa, perché io sia tutto
tuo. Tu vedi che io sono d'incomparabile prezzo e tuttavia per
mia bontà valgo quanto vali tu. Comprami dunque ormai, anima
mia diletta, col dare te a me. Io voglio da te, mia dolce
figliuola, che tu niente voglia, niente pensi, niente intenda,
niente veda fuori di me e della mia volontà, affinché io in te
tutto voglia, pensi, intenda e veda in modo che il tuo niente,
assorto nell'abisso della mia infinità, in quella si converta.
Così tu sarai in me pienamente felice e beata, e io in te tutto
contento”.
Finalmente offrirai al Padre il suo Figliuolo prima per
rendimento di grazie e poi per i bisogni tuoi, di tutta la santa
chiesa, di tutti i tuoi, di quelli ai quali sei obbligata e per
le anime del purgatorio. Questa offerta la farai in ricordo e in
unione con quella che egli fece di se stesso quando, pendendo
dalla croce tutto sanguinante, si offri al Padre. E in questo
modo gli potrai ancora offrire tutti i sacrifici, che in quel
giorno si fanno nella santa chiesa romana.
CAPITOLO
LVI
La comunione spirituale
Benché non si
possa ricevere sacramentalmente il Signore più di una volta al
giorno, tuttavia spiritualmente si può ricevere (come ho detto)
ogni ora e ogni momento; e questo non ci può essere impedito da
nessuna creatura fuorché dalla negligenza o da altra nostra
colpa. E alle volte questa comunione sarà tanto fruttuosa e
cara a Dio, quanto forse non saranno molte altre comunioni
sacramentali per difetto di coloro che le ricevono.
Quante volte dunque ti disporrai e ti preparerai a tale
comunione, troverai pronto il Figliuolo di Dio, che con le
proprie mani ti ciba spiritualmente di se stesso. Per prepararti
a ciò, rivolgiti con la mente a lui con questo fine; e con un
breve sguardo alle tue mancanze addolorati con lui per averlo
offeso, e con ogni umiltà e fede pregalo che si degni venire
nella tua povera anima con nuova grazia, per sanarla e
fortificarla contro i nemici.
Oppure quando sei per farti violenza e mortificarti in qualunque
tuo appetito o stai per fare qualche atto di virtù, fa' tutto
allo scopo di preparare il tuo cuore per il Signore che
continuamente te lo chiede. E rivolgendoti poi a lui, chiamalo
col desiderio che venga con la sua grazia a sanarti e liberarti
dai nemici, perché egli solo possieda il tuo cuore. Ovvero
ricordandoti della passata comunione sacramentale, di' con cuore
acceso: “Quando, mio Signore, ti riceverò un'altra volta?
Quando, quando?”. Se vorrai prepararti e comunicarti
spiritualmente in modo più conveniente, indirizza dalla sera
precedente tutte le mortificazioni, gli atti virtuosi e ogni
altra opera buona allo scopo di ricevere spiritualmente il tuo
Signore.
Di buon mattino, considerando quale bene e quale felicità prova
quell'anima che degnamente riceve il santissimo sacramento
dell'altare (poiché in esso le virtù perdute si riacquistano,
l'anima ritorna alla primitiva bellezza e le si comunicano i
frutti e i meriti della passione dello stesso Figliuolo di Dio)
e quanto piace a Dio che noi lo riceviamo e abbiamo i detti
beni, studiati di accendere nel cuore tuo un desiderio grande di
riceverlo per piacere a lui.
E accesa che sarai di questo desiderio, rivolgiti a lui
dicendogli: “Signore, in questo giorno non mi è concesso
di riceverti sacramentalmente. Ma, o bontà e potenza increata,
dopo avermi perdonato ogni errore e avermi sanata, fa' che ti
riceva spiritualmente in maniera degna adesso, ogni ora e ogni
giorno col darmi nuova grazia e fortezza contro tutti i nemici,
e particolarmente contro questo a cui per piacere a te io faccio
guerra”.
CAPITOLO
LVII
Il rendimento di grazie
Perché tutto il
bene che abbiamo e facciamo è di Dio e da Dio, gli dobbiamo
rendere grazie di ogni nostro buon esercizio, di ogni vittoria e
di tutti i benefici particolari e comuni ricevuti dalla sua
pietosa mano. E per fare questo nel debito modo, si deve
considerare il fine per cui il Signore si muove a comunicarci le
sue grazie, perché da questa considerazione e da questa
conoscenza si impara in qual modo Dio voglia essere da noi
ringraziato.
Siccome in ogni beneficio il Signore principalmente intende
avere l'onore per sé e attirare noi all'amore e al servizio
suo, prima fa' con te stessa questa considerazione: “Con
quale potenza, sapienza e bontà il mio Dio mi ha concesso e mi
ha fatto questo beneficio e questa grazia!”.
Poi, vedendo che in te (come proveniente da te) non c'è cosa
degna di alcun beneficio, anzi non c'è altro che demeriti e
ingratitudine, con profonda umiltà dirai al Signore: “E
com'è, Signore, che ti degni guardare un cane morto, facendomi
tanti benefici? Sia benedetto il tuo nome nei secoli dei secoli”.
Finalmente, vedendo che con il beneficio egli vuole essere da te
amato e servito, infiammati d'amore verso un Signore tanto
amoroso e del desiderio sincero di servirlo come a lui piace. E
perciò a questo aggiungerai una piena offerta, che farai nel
seguente modo.
CAPITOLO
LVIII
L'offerta
Perché l'offerta
di te stessa sia gradita a Dio sotto tutti i punti di vista, ha
bisogno di due cose: una è l'unione con le offerte fatte da
Cristo al Padre; l'altra è che la tua volontà sia distaccata
da qualunque attaccamento alla creatura.
Per quanto riguarda la prima cosa, devi sapere che il Figliuolo
di Dio, quando viveva in questa valle di lacrime, non solo
offriva al Padre celeste se stesso e le opere sue, ma con se
stesso offriva anche noi e le opere nostre. Cosicché le nostre
offerte si devono fare in unione alle offerte di Cristo e con la
fiducia in esse.
Nella seconda cosa considera bene, prima di offrire te stessa,
se la tua volontà ha qualche attaccamento: qualora ci fosse,
essa si deve prima distaccare da ogni affetto. Perciò ricorri a
Dio perché, staccandoti egli con la sua destra, tu possa
offrirti alla sua divina Maestà sciolta e libera da ogni altra
cosa.
Sta' molto attenta a questo: se ti offri a Dio rimanendo
attaccata alle creature, non offri il tuo, ma quello degli
altri. Infatti così tu non sei tua, ma appartieni a quelle
creature a cui la tua volontà è attaccata, e ciò dispiace al
Signore quasi come se volessimo deriderlo. E in conseguenza di
ciò avviene che le tante offerte che di noi stessi facciamo a
Dio non solo ritornano a noi vuote e senza frutto, ma dopo
cadiamo anche in vari difetti e peccati.
Possiamo offrirci a Dio benché attaccati alle creature, ma allo
scopo che la sua bontà ce ne liberi, perché poi possiamo darci
totalmente alla sua divina Maestà e al suo servizio: e questo
dobbiamo farlo spesso e con grande affetto.
Sia dunque la tua offerta senza attaccamento ed espropriata di
ogni tuo volere, non mirando né ai beni terreni né a quelli
celesti, ma alla pura volontà e alla provvidenza divina a cui
ti devi tutta sottomettere e sacrificare in olocausto perpetuo,
e, dimentica di ogni cosa creata, dovrai dire: “Ecco,
Signore e Creatore mio, tutta me stessa e ogni mio desiderio in
mano alla tua volontà e alla tua eterna provvidenza; fa' di me
ciò che ti pare e piace in vita, in morte e dopo la morte, così
nel tempo come nell'eternità”.
Se farai sinceramente a questo modo (di ciò ti accorgerai
quando ti accadono cose contrarie), da terreno ti trasformerai
in evangelico e beatissimo mercante (cfr. Mt 13,45): infatti tu
sarai di Dio e Dio sarà tuo, essendo egli sempre di coloro che,
distaccandosi dalle creature e da se stessi, si danno e si
sacrificano completamente a sua Divina Maestà.
Ora tu vedi qui, figliuola, un modo potentissimo di vincere
tutti i tuoi nemici, perché se la suddetta offerta ti unisce
con Dio così che tu diventi tutta sua ed egli tutto tuo, quale
nemico e quale potenza ti potrà giammai nuocere? E quando
vorrai offrirgli qualche tua opera, come digiuni, orazioni, atti
di pazienza e altre cose buone, volgi prima la mente all'offerta
che Cristo faceva al Padre dei suoi digiuni, orazioni e altre
opere; confidando nel valore e nella virtù di queste, offri poi
le tue. E se vorrai offrire al Padre celeste le opere di Cristo
per i tuoi debiti, lo farai nel modo seguente.
Darai uno sguardo generale e talvolta distinto ai tuoi peccati.
E vedendo chiaramente che non è possibile che tu da te possa
placare l'ira di Dio né soddisfare la sua divina giustizia,
ricorrerai alla vita e alla passione del suo Figliuolo pensando
a qualche sua opera, come ad esempio a quando digiunava,
pregava, soffriva o spargeva il sangue. In ciò vedrai che, per
placarti il Padre e per pagare il debito delle tue iniquità con
la sua opera, Gesù gli offriva la sua passione e il suo sangue
dicendo quasi: “Ecco, eterno Padre, che secondo la tua
volontà io soddisfaccio sovrabbondantemente alla tua giustizia
per i peccati e per i debiti di N. Piaccia alla tua divina Maestà
di perdonarle e di riceverla nel numero dei tuoi eletti”.
Perciò offri per te all'eterno Padre questa stessa offerta e
queste stesse preghiere, supplicandolo di rimetterti ogni debito
in virtù di esse. E questo lo potrai fare non solamente
passando da uno a un altro mistero, ma anche dall'uno all'altro
atto di ciascun mistero; e questo modo di offerta ti potrà
servire non solo per te, ma anche per altri.
CAPITOLO
LIX
La devozione sensibile e l'aridità
La devozione
sensibile è causata ora dalla natura, ora dal demonio e ora
dalla grazia: dai suoi frutti potrai discernere donde proceda.
Se infatti non ne segue in te miglioramento di vita, devi
sospettare che proceda dal demonio o dalla natura e tanto più
quanto sarà accompagnata da maggior gusto, dolcezza,
attaccamento e da qualche stima di te stessa. Perciò quando ti
sentirai addolcire la mente dai gusti spirituali, non stare a
disputare da che parte ti vengano; non ti appoggiare ad essi né
lasciati allontanare dalla conoscenza del tuo niente. Con
maggior diligenza e odio di te stessa studiati di tenere libero
il tuo cuore da qualunque legame benché spirituale e desidera
solo Dio e il suo beneplacito perché a questo modo, sia che il
gusto provenga dalla natura sia che provenga dal demonio, ti si
cambierà in un effetto della grazia.
L'aridità può procedere parimenti dalle tre suddette cause.
Dal demonio, per intiepidire la mente e rivolgerla dall'impresa
spirituale ai trattenimenti e ai diletti del mondo. Da noi
stessi per le nostre colpe, per i nostri attaccamenti alla terra
e per le nostre negligenze. Dalla grazia o per avvisarci di
essere più diligenti nel lasciare ogni legame e ogni
occupazione che non sia Dio e a lui non termini; o affinché
conosciamo per esperienza che ogni nostro bene viene da lui; o
affinché per l'avvenire stimiamo di più i suoi doni e siamo più
umili e cauti nel conservarli; o per unirci più strettamente
con sua divina Maestà con la totale rinuncia a noi stessi anche
nelle delizie spirituali affinché, legato a queste il nostro
affetto, non dividiamo il cuore che il Signore vuole tutto per sé;
oppure perché egli si compiace per nostro bene di vederci
combattere con tutte le nostre forze e con l'aiuto della sua
grazia.
Dunque se ti sentirai arida, entra in te stessa a vedere per
quale tuo difetto ti sia stata sottratta la devozione sensibile
e contro quello comincia la battaglia non per recuperare la
sensibilità della grazia, ma per togliere da te quello che
dispiace a Dio. E non trovando il difetto, ritieni tua devozione
sensibile la vera devozione consistente nella rassegnazione
pronta alla volontà di Dio. E perciò per nessun motivo
tralascia i tuoi esercizi spirituali, ma continuali con ogni
sforzo, anche se ti paiono infruttuosi e insipidi, bevendo
volentieri il calice di amarezze che nell'aridità ti porge
l'amorosa volontà di Dio.
Se l'aridità talora fosse accompagnata da tante e cosi folte
tenebre di mente da non sapere dove rivolgerti né che partito
prendere, non ti sgomentare. Sta' invece solitaria e salda sulla
croce, lontana da ogni diletto terreno, benché ti fosse offerto
dal mondo o dalle creature. Nascondi la tua passione a qualunque
persona eccetto che al tuo padre spirituale, al quale la
scoprirai non per alleggerire la pena, ma per apprendere il modo
di sopportarla secondo come a Dio piace.
Non usare le comunioni, le orazioni e gli altri esercizi per
scendere dalla croce, ma per ricevere forza di esaltare questa
croce a maggior gloria del Crocifisso. Non potendo meditare e
pregare a modo tuo per la confusione mentale, medita come meglio
puoi. E quello che non puoi eseguire con l'intelletto, fatti
violenza per eseguirlo con la volontà e con le parole parlando
con te stessa e con il Signore, perché ne vedrai effetti
mirabili e così il tuo cuore riprenderà fiato e forza.
Potrai dire dunque in tal caso: “Perché ti rattristi,
anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò
lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio” (Sal
42,6). “Perché, Signore, stai lontano, nel tempo
dell'angoscia ti nascondi? Non abbandonarmi mai” (Sal 10,
1).
Ricordandoti di quella sacra dottrina infusa da Dio al tempo
delle tribolazioni nella sua diletta Sara, moglie di Tobia,
servitene anche tu dicendo con viva voce: “Chiunque ti
serve ha per certo che la sua vita riceverà la corona delle
prove sostenute e la liberazione dalle tribolazioni; e pure se
castigato, potrà contare sulla tua misericordia. Tu infatti non
godi della nostra perdizione, perché dopo la tempesta concedi
la pace e dai gioia dopo le lacrime e il pianto. O Dio di
Israele, sia benedetto il tuo nome nei secoli” (Tb
3,20-23 Volgata).
Ti ricorderai ancora del tuo Cristo, che nell'orto e sulla croce
per sua gran pena fu abbandonato dal Padre celeste nella parte
sensibile, e sopportando con lui la croce dirai di tutto cuore:
“Sia fatta la tua volontà” (Mt 26,42). Se così
farai, la tua pazienza e la tua orazione faranno salire le
fiamme del sacrificio del tuo cuore fino al cospetto di Dio e tu
rimarrai vera devota essendo, come ti ho detto, la vera
devozione una viva e ferma prontezza di volontà a seguire
Cristo con la croce in spalla (cfr. Lc 9,23) per qualunque via
ne inviti e chiami a sé; e a volere Dio per Dio e lasciare
talvolta Dio per Dio.
Se molte persone che attendono allo spirito e massimamente le
donne misurassero il loro profitto da questa e non dalla
devozione sensibile, non sarebbero ingannate da loro stesse né
dal demonio; nemmeno si addolorerebbero inutilmente, anzi
ingratamente, di un tanto bene fatto ad esse dal Signore, ma
attenderebbero con maggior fervore a servire sua divina Maestà
che tutto dispone o permette a gloria sua e per nostro bene.
In questo ancora si ingannano le donne, che con timore e
prudenza si guardano dalle occasioni di peccato. Talora essendo
esse molestate da orribili, brutti e spaventevoli pensieri e
talora da visioni ancora più brutte, si confondono e si perdono
d'animo e si convincono di essere abbandonate da Dio e
completamente lontane da lui, non potendo persuadersi che, in
una mente piena di siffatti pensieri, possa abitare il suo
divino spirito.
Restando così molto abbattute, tali donne quasi sono sul punto
di disperarsi e di ritornarsene nell'Egitto dopo aver lasciato
ogni loro buon esercizio. Queste non comprendono bene la grazia
concessa loro dal Signore, il quale le fa assalire da questi
spiriti di tentazione per indurle alla conoscenza di se stesse e
perché si accostino a lui come bisognose di aiuto. Perciò
ingratamente si addolorano per quello di cui dovrebbero essere
riconoscenti all'infinita bontà.
Quello che tu devi fare in tali avvenimenti è di sprofondarti
nella considerazione della tua inclinazione perversa. Per il tuo
bene Dio vuole che tu conosca che essa è pronta a ogni
gravissimo male, e che senza il suo soccorso tu precipiteresti
in estrema rovina. E da questo acquista speranza e confidenza
che egli ti aiuterà, poiché ti fa vedere il pericolo e ti
vuole attirare più vicino a sé con l'orazione e con il ricorso
a lui, al quale perciò ne devi rendere umilissime grazie.
Tieni per certo che simili spiriti di tentazione e simili brutti
pensieri meglio si cacciano con una paziente tolleranza della
pena e con un deciso volgere di spalle, anziché con una
resistenza troppo ansiosa.
CAPITOLO
LX
L'esame di coscienza
Per l'esame di
coscienza considera tre cose: le cadute di quel giorno; la loro
causa; l'animo e la prontezza che dimostri per far loro guerra e
acquistare le virtù ad esse contrarie.
Intorno alle cadute, farai quanto ti ho detto nel capitolo XXVI,
dove ho indicato quello che bisogna fare quando siamo feriti.
Ti sforzerai di abbattere e di mandare a terra la causa di esse.
Fortificherai la volontà per fare questo e per acquistare le
virtù con la diffidenza di te stessa, con la confidenza in Dio,
con l'orazione e con numerosi atti, con i quali tu possa provare
l'odio del vizio e desiderare la virtù contraria.
Le vittorie e le opere buone che avrai fatte ti siano sospette.
Inoltre ti consiglio di non considerarle molto, per il pericolo
quasi inevitabile almeno di qualche motivo nascosto di
vanagloria e di superbia. Perciò, quali che siano, dopo averle
tutte affidate alla misericordia divina, indirizza il tuo
pensiero al molto più che ti rimane da fare.
Per quanto tocca poi il rendimento di grazie per i doni e i
favori a te fatti dal Signore in quel giorno, riconoscilo come
artefice di ogni bene e ringrazialo di averti liberata da tanti
nemici manifesti e molto più da quelli occulti; di averti dato
pensieri buoni e occasioni per praticare le virtù; infine
ringrazialo per qualunque altro beneficio che tu stessa ignori.
CAPITOLO
LXI
In questa battaglia bisogna continuare a combattere sempre fino
alla morte
Fra le altre cose
richieste in questo combattimento, una è la perseveranza con la
quale dobbiamo attendere a mortificare sempre le nostre passioni
che in questa vita non muoiono mai, anzi germogliano ogni ora
come erba cattiva. E questa è battaglia che siccome non finisce
se non con la vita, così non può essere da noi evitata; e
chiunque in essa si rifiuta di combattere, necessariamente o
viene preso oppure vi perisce.
Oltre a ciò si ha da fare con nemici che ci portano odio
continuo: perciò non se ne può giammai sperare pace né
tregua, poiché uccidono più crudelmente chi più cerca di
farsi loro amico.
Non ti devi però spaventare per la loro potenza e per il loro
numero, perché in questa battaglia non può essere superato se
non chi vuole. E tutta la forza dei nostri nemici sta in mano al
Capitano, in onore del quale dobbiamo combattere. Non solo egli
non permetterà che essi prevalgano su di te, ma prenderà anche
le armi per te; ed essendo più potente di tutti i tuoi
avversari, ti darà la vittoria in mano se tu, combattendo
virilmente insieme a lui, confiderai non in te ma nella sua
potenza e nella sua bontà.
Se il Signore non ti concedesse così presto la palma, non ti
perdere d'animo Infatti devi essere più certa di una cosa e
questo ti gioverà anche per combattere fiduciosamente: se ti
comporterai da fedele e generosa guerriera, egli trasformerà in
tuo beneficio e in tuo vantaggio tutte le cose che ti si faranno
incontro e quelle che più ti sembreranno lontane anzi contrarie
alla tua vittoria, di qualunque genere siano.
Tu dunque, figliuola, seguendo il tuo celeste Capitano che per
te ha vinto il mondo e ha consegnato se stesso alla morte,
attendi con magnanimo cuore a questa battaglia e alla totale
distruzione di tutti i tuoi nemici: se ne lasciassi vivo anche
uno solo, ti sarebbe come fuscello negli occhi e lancia nei
fianchi e ti impedirebbe il corso di così gloriosa vittoria.
CAPITOLO
LXII
Il modo di prepararci contro i nemici che ci assaltano nel
momento della morte
Benché tutta la
nostra vita sia una guerra continua sopra la terra (cfr. Gb 7,1
Volgata), tuttavia la principale e più segnalata giornata la
vivremo nell'ultima ora del gran passaggio: infatti chiunque
cade in quel punto, non si alza più. Quello che devi fare per
trovarti allora ben preparata è che in questo tempo a te
concesso tu combatta virilmente, perché chi combatte bene in
vita facilmente ottiene vittoria in punto di morte per
l'abitudine buona già fatta.
Oltre a ciò pensa spesse volte con attenta considerazione alla
morte, perché, quando sopraggiungerà, la temerai meno e la
mente sarà libera e pronta alla battaglia. Gli uomini mondani
fuggono da questo pensiero, per non cessare di compiacersi nelle
cose terrene: poiché stanno volentieri attaccati ad esse con
amore, sentirebbero pena se pensassero di doverle lasciare. Così
non diminuisce il loro affetto disordinato, anzi va sempre più
prendendo forza; e il separarsi poi da questa vita e da cose
tanto care è per loro di affanno inestimabile, e alle volte
maggiore in quelli che più lungamente le hanno godute.
Per fare meglio questa importante preparazione, potrai anche
immaginare qualche volta di trovarti sola senza nessun aiuto,
posta tra le strettezze della morte, e di richiamarti alla mente
le cose seguenti che ti potrebbero in quel momento travagliare.
Quivi poi discorrerai intorno ai rimedi che ti porterò, per
potertene meglio servire in quell'ultima angustia: infatti il
colpo che si deve fare una volta sola, bisogna prima impararlo
bene per non commettere errore, dove non c'è possibilità di
correzione.
CAPITOLO
LXIII
Quattro assalti dei nostri nemici nell'ora della morte.
Si parla prima dell'assalto contro la fede e dei modo di
difendersi
Quattro sono gli
assalti principali e più pericolosi con i quali i nostri nemici
sono soliti farsi incontro a noi nell'ora della morte. Sono
questi: la tentazione contro la fede, la disperazione, la
vanagloria e varie illusioni e trasformazioni dei demoni in
angeli di luce.
Quanto al primo assalto, se il nemico ti comincia a tentare con
i suoi falsi argomenti, lascia presto l'intelletto e ritirati
nella volontà dicendo: “Va' indietro, satana (Mt
16,23), padre di menzogne (Gv 8,44), perché io non
ti voglio neppure sentire, bastandomi credere quanto crede la
santa chiesa romana”. E non dar luogo per quanto puoi ai
pensieri intorno alla fede, pur sembrandoti innocui; anzi li
devi considerare come pretesti del demonio per attaccare briga.
E se anche non facessi a tempo a distogliervi la mente e a
riprendere animo, sta' forte e ben salda per non cedere a
qualunque ragione o autorità di sacra Scrittura che
l'avversario adducesse: infatti tutte saranno manchevoli o male
addotte o male interpretate, anche se a te paressero buone,
chiare ed evidenti.
Se l'astuto serpente ti domandasse quello che crede la chiesa
romana, non gli rispondere; ma vedendo il suo inganno e che
vorrebbe anche sedurti con le parole, fa' un atto interiore di
più viva fede; oppure per farlo scoppiare di sdegno,
rispondigli che la santa chiesa romana crede la verità. E se il
maligno replicasse: “Qual è questa verità?”, tu
ripiglia: “Quello appunto che essa crede”.
Soprattutto tieni sempre il tuo cuore fisso sul Crocifisso,
dicendo: “Dio mio, creatore e salvatore mio, soccorrimi
presto e non ti allontanare da me, perché io non mi allontani
dalla verità della tua santa fede cattolica; e ti piaccia che,
come in quella fede sono nata per tua grazia, così in essa a
gloria tua io termini questa vita mortale”.
CAPITOLO
LXIV
L'assalto della disperazione. Rimedio contro di essa
L'altro assalto
con il quale il perverso demonio si sforza di abbatterci
completamente è lo spavento che ci incute con il ricordo delle
nostre colpe, per farci precipitare dentro la fossa della
disperazione.
In tale pericolo attieniti a questa regola certa: i pensieri dei
tuoi peccati sono dalla grazia e a tua salvezza quando in te
producono effetto di umiltà, di dolore dell'offesa di Dio e di
confidenza nella sua bontà. Ma quando ti turbano e ti rendono
diffidente e pusillanime sebbene ti sembrassero pensieri di cose
vere e sufficienti a convincerti che tu sei dannata e che per te
non c'è più tempo di salvezza, riconoscili pure per effetti
dell'ingannatore; umiliati di più e confida di più in Dio,
perché a questo modo con le sue stesse armi vincerai il nemico
e darai gloria al Signore.
Addolorati pure dell'offesa fatta a Dio ogni volta che ti viene
in mente, ma chiedine perdono confidando nella sua passione.
Ti dico di più: se ti sembrasse che lo stesso Dio ti dicesse
che tu non sei delle sue pecorelle, tu non dovresti tralasciare
per nessun motivo di confidare in lui, ma dovresti dirgli
umilmente: “Hai ben ragione, Signor mio, di riprovarmi per
i miei peccati, ma io ho una ragione maggiore di confidare nella
tua pietà perché tu mi perdoni. Perciò ti chiedo la salvezza
di questa meschina tua creatura dannata sì, per la sua malizia,
ma redenta a prezzo del tuo sangue. Redentore mio, mi voglio
salvare a gloria tua, e confidando nella tua immensa
misericordia mi abbandono tutta nelle tue mani. Fa' di me quanto
a te piace, perché tu sei il mio unico Signore; e se anche mi
uccidessi, pure voglio tenere vive in te le mie speranze”
(cfr. Gb 13,15 Volgata).
CAPITOLO
LXV
L'assalto della vanagloria
Il terzo assalto
è quello della vanagloria e della presunzione.
In questo non ti lasciare mai per nessuna via immaginabile
indurre sia pure a una minima compiacenza di te stessa né delle
tue opere. Ma il tuo compiacimento sia puramente nel Signore,
nella sua pietà, nelle opere della sua vita e della sua
passione.
Umiliati sempre più agli occhi tuoi fino all'ultimo respiro e
riconosci Dio solo come autore di ogni bene che ti ricordi
d'avere compiuto. Ricorri al suo aiuto, ma non lo aspettare per
i tuoi meriti, pur avendo superato molte e grandi battaglie. E
sta sempre in un santo timore confessando sinceramente che tutti
i tuoi preparativi di guerra sarebbero vani, se sotto l'ombra
delle sue ali non ti raccogliesse il tuo Dio, nella cui
protezione unicamente confiderai.
Seguendo questi avvisi, i tuoi nemici non potranno prevalere
contro di te. E così ti aprirai la strada, per passare
lietamente alla Gerusalemme celeste (cfr. Ap 2 1, 1ss).
CAPITOLO
LXVI
L'assalto delle illusioni e delle false apparizioni nell'ora
della morte
Se l'ostinato
nostro nemico, che non si stanca mai di tormentarci, ti
assalisse con false apparizioni e si trasformasse in angelo di
luce, sta' ferma e salda nella cognizione del tuo niente e digli
arditamente: “Ritorna, infelice, nelle tue tenebre, perché
io non merito visioni né ho bisogno d'altro che della
misericordia del mio Gesù e delle preghiere di Maria Vergine,
di san Giuseppe e degli altri santi”.
Se pure ti paresse per molti segni quasi evidenti che fossero
cose venute dal cielo, rifiutale ugualmente e allontanale da te
quanto puoi; e non temere che questa resistenza, fondata nella
tua indegnità, dispiaccia al Signore: infatti se la faccenda
sarà sua, egli saprà ben chiarirla e tu niente perderai; poiché
chi dà la grazia agli umili (cfr. l Pt 5,5) non la toglie a
motivo degli atti di umiltà che si compiono.
Queste sono le armi più comuni, che il nemico suole adoperare
contro di noi in quell'estremo passo. Egli poi va tentando
ciascuno secondo le particolari inclinazioni, alle quali lo
conosce più soggetto. Però prima di avvicinarsi l'ora del gran
conflitto, dobbiamo armarci bene e combattere strenuamente
contro le nostre passioni più violente e che più ci
signoreggiano, per facilitare la vittoria nel tempo che ci
toglie ogni altro tempo di poterlo fare: “Combattili finché
non li avrai distrutti” (cfr. 1Sam 15,18).
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