QUARTO MISTERO LA CONDANNA DI GESU' E IL VIAGGIO AL CALVARIO
24° GIORNO
La cristiana rassegnazione nelle debolezze e miserie della vita
CONSIDERAZIONE. Ponzio Pilato, pur non trovando in Gesù Cristo alcuna ragione di condanna, si lasciò intimorire dagli urli della folla, e pronunziò l'iniqua sentenza di morte. Quando, di fronte alle tentazioni, s'incomincia ad esser deboli, a venire a patti; quando si temono più i giudizi degli uomini che quelli di Dio, si può giungere a qualsiasi eccesso di vigliaccheria. Inutilmente allora si possono lavare le mani, se la coscienza è macchiata!... Il rispetto umano, il timore di perdere il favor popolare, il posto che si occupa; la paura delle beffe e delle persecuzioni degli empi, sono ancor oggidì la fatale causa, per cui molti cristiani sacrificano coscienza, religione e giustizia alle passioni umane e ne preparano il trionfo. Ed ecco il nostro Salvatore, il Giusto, l'Innocente, che, fatto già una sola piaga, non avente quasi più forma di uomo, vien caricato dell'ignominioso legno della Croce, e s'avvia al Calvario.
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In quel doloroso viaggio di Gesù verso la morte, si ebbero le scene più commoventi. L'Addolorata Madre s'incontrò lungo la via col martoriato Figliuolo, ridotto come il ludibrio degli uomini: il rimirare, or da vicino, il vivo sangue sgorgante dalla divina fronte trafitta, il vedere il Salvatore barcollante nel trascinamento della Croce, insultato, maledetto; l'averlo forse visto cadere esausto, quale lancinante trafittura dovette essere al suo sensibilissimo Cuore! Genuflessa, adorò la Vittima dell'umano riscatto; poi l'accompagnò fino alla cima del sacro monte, portando sul Cuore la Croce del suo Gesù. Oh! quale poema d'amore e di dolore. Ad un tratto — secondo la tradizione — una donna, la Veronica, s'avanzò tra la folla ed asciugò devotamente, con un pannolino, il volto del Salvatore, il quale la premiò subito, lasciandovelo impresso. Un altro dolcissimo incontro narra il Vangelo: quello di Gesù con le pie donne, che, con intensa commozione, prorompevano in pianti ed in singhiozzi. Gesù, dimentico delle sue indicibili sofferenze, spingendo lo sguardo verso la prossima distruzione della Città Santa, contemplò lo strazio che avrebbero sofferto le donne durante quella terribile catastrofe, e si accomunò al loro dolore, dicendo alle sue consolatrici: « Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me; ma piangete su voi stesse e sui vostri figli... Poichè, se si tratta così il legno verde, che sarà del secco?» Se in Lui, innocente condannato, avvenivano quei tristi fatti, che le pie donne deploravano, che cosa sarebbe succeduto un quarantennio più tardi, quando la catastrofe di Gerusalemme avrebbe travolto — come s'era espresso il profeta Isaia — « una nazione peccatrice, un popolo carico d'iniquità, una razza di malvagi, figli di perdizione»?
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Se ci fossimo trovati noi sulla via del Calvario, che avremmo fatto per Gesù?... Che cosa Egli ci avrebbe detto?... Noi avremmo cercato di sollevarlo un poco nelle sue sofferenze; ed Egli ci avrebbe inculcato la pazienza e la cristiana rassegnazione nelle croci. Oh! quante debolezze e miserie nella nostra vita. È debole e misera la volontà: essa è come una regina spodestata e senza corona. Destinata al comando di noi stessi, ad esserci forza nella via del bene, si trova in perpetua lotta contro le passioni, spesso ignobili e violente, come la gola, la lussuria, l'avarizia, la superbia..., che insorgono tentando di trascinarci nel fango dell'abiezione e del peccato. San Paolo piangendo gridava: «Io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male mi è già da presso. Infatti mi diletto nella legge di Dio, secondo l'uomo interiore; ma vedo nelle mie membra un'altra legge, che s'oppone alla legge della mia mente... Oh, me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» E rispondeva a se stesso. « La grazia di Dio per Gesù Cristo Nostro Signore». Debole assai è l'intelligenza. Povero bimbo, condannato per tanti anni ai duri banchi di scuola a faticare e a sacrificare le sue erompenti energie, che chiedono sole, aria, movimento e libertà! E, dopo tutto? Quali i frutti di tanti anni di fatiche, di sudori, di stenti? Ahimè! Assai scarsi alle volte e sconfortanti: poche e malsicure cognizioni, che il tempo ottenebra ed in breve svaniscono, lasciando un debole ricordo, che suscita la nostalgia della verità intravista e sperata. Per le necessità della vita non restano che poche ed alle volte incerte verità, mescolate con molti errori! E che dire del corpo? In esso la miseria è più sensibile e si concreta nel dolore, che strazia la carne e spreme le lacrime, amara bevanda dei brevi giorni di quaggiù. Che cosa può il corpo contro le malattie, che, dalla culla alla tomba, la insidiano, gli tendono lacci, fino a cantare il loro trionfo allorquando scenderà nel sepolcro? E il caldo e il freddo e la fame e la sete e le innumerevoli necessità sono altrettanti carnefici della nostra carne. Ci sentiamo davvero come esseri impercettibili ed impotenti, lanciati nell'immenso vuoto e travolti nel vortice degli elementi scatenati e dall'enormi forze della natura, di fronte alle quali ogni umana precauzione ed ogni tentativo di resistenza pare un ingenuo giuoco puerile! Debolezza e miseria sono il nostro retaggio, nella lotta senza quartiere, che dobbiamo combattere. Siamo dei piccoli atomi sperduti nella battaglia contro le forze immani dello spazio e del tempo e degli spiriti maligni, i quali, come leoni ruggenti, ci aggirano cercando di trascinarci nel peccato e nella disperazione. Oh! se non levassimo lo sguardo alle altezze serene del cielo, dal quale ci piove la grazia divina e la promessa della vittoria in Cristo, a che pro vivere? Se non sentissimo Dio ineffabilmente a noi vicino, anzi in noi, compagno del nostro duro pellegrinaggio, divinizzatore della nostra povera umanità decaduta; Dio, che ci eleva fino alle indicibili altezze della sua inesauribile vita, che scorre in noi e si fa nostra vita, che valore avrebbe la presente vita? e varrebbe la pena di viverla un'ora? L'Apostolo, fidente nella grazia che Dio gli aveva promessa, sfidava qualunque potenza a separarlo dalla carità di Cristo, ed affermava di essere, in Lui, onnipotente: « Omnia possum in eo qui me confortat». Anche a ciascuno di noi Gesù assicura la grazia, ch'Egli ci meritò con la sua morte in Croce: « Sufficit tibi gratia mea»: essa è un dono soprannaturale inestimabile, è la forza per tutte le umane debolezze, è l'arma onnipotente che vince tutti i nemici dell'anima nostra.
FIORETTO. Per riconoscenza a Gesù, promoviamo l'Azione Cattolica e favoriamo le iniziative e i mezzi di apostolato. Nelle nostre debolezze: in alto i cuori!
GIACULATORIA. Madre dell'amore, del dolore e della misericordia, pregate per noi.
ESEMPIO
IN TRENO RAPIDO. Da Roma partiva il direttissimo per Torino. Un signore giunse a gran corsa, tutto trafelato: era in ritardo. Ma il capostazione, che stava già per dare il via, lo spinse sulla vettura e subito il treno si avviò. Sulla vettura c'era un prete. Quel signore appena lo vide, bestemmiò di rabbia. Il Sacerdote era un venerando Prelato piemontese, che da Roma, ove esercitava il sacro ministero, andava a Torino a passare qualche giorno di vacanza tra i suoi cari. Sentì la bestemmia e finse di nulla, pregando però in cuor suo, in atto di riparazione, raccomandando alla Madonna SS.ma quel povero traviato. Ma un signore coraggiosamente redarguì il nuovo venuto, dicendogli che avesse almeno, se non altro, un po' di riguardo alla civiltà e tacesse. Quel signore capì il male che aveva fatto e chiese scusa. Poi sedette. Era pensieroso e guardava, guardava il treno che volava... Chi era? Era un commerciante ed andava per altari, molto lontano. Ripreso coraggio, si avvicinò al Monsignore, che aveva finito di recitare il Breviario; gli domandò perdono dell'accaduto e si aprì schiettamente con lui, dichiarandosi massone, anzi graduato in massoneria... Ma perchè — disse poi — perchè voi sacerdoti tanto oltraggiate i massoni? Il Prelato con calma rispondeva a tutte le difficoltà e illuminava così una povera mente idiota. Ma lo faceva con tale garbo, che ben presto si guadagnò il cuore di colui che non poteva vedere i preti... Erano giunti a La Spezia e, rimasti soli, quel signore tolse fuori e mostrò al Prelato i suoi diplomi, la sua medaglietta massonica, i triangoli, ecc. Ma era ben intenzionato; anzi, veramente convertito, infatti disse: Consegno tutto a voi, caro Monsignore. I massoni non avranno più a che fare con me, nè io con loro... Il Monsignore, strabiliato, lo guardava e scrutava se diceva per davvero. Bravo! — gli disse poi, stringendogli la mano e sorridendogli di gioia. — Io ora vado alla Consolata di Torino — aggiunse il convertito — e domani nella S. Messa pregherò per voi... Mantenne la parola. E al mattino, là, ai piedi di
Maria, cercò un sacerdote e si confessò. Monsignore lo vide alla balaustra, con tanti altri, a ricevere dalle sue mani la Santa Comunione.
(Tratto dal libretto "LE INTENZIONI E I FRUTTI DEL SANTO ROSARIO" - Sac. A.Monticone - 1952)