PARTE PRIMA
GESÙ ABBANDONATO A SE MEDESIMO NELL'ORTO DEGLI OLIVI
MEDITAZIONE II
Pene interiori del Cuore di Gesù.
Preludio 1. — «Gesù cominciò ad atterrirsi e rattristarsi. E disse loro: l'anima mia è afflitta sino alla morte... cominciò a cadere in mestizia».
Preludio 2. — Immaginati di vedere l'orto del
Getsemani, coperto dalle tenebre della notte... i tre discepoli che dormono... fissa il tuo sguardo in Gesù mesto, triste, agonizzante.
Preludio 3. — O Gesù, che suscitate volontariamente nel vostro Cuore amabilissimo tante pene per espiare i peccati miei, di cui vi vedete ricoperto, insegnate a me, imprimete nel mio cuore la necessità dell'espiazione, del patimento.
PRIMO PUNTO
Era arrivato il tempo, in cui Gesù doveva comparire come reo e cominciò, quindi, a sentire il peso dei peccati di cui st era ricoperto. Dice, perciò: «Adesso l'anima mia è conturbata»: cioè, fine a questa ora essa non aveva permeo sentito alcun turbamento; ora, che io devo comparire come reo, è tempo che sia rammaricata. Quindi Gesù, comincia ad essere agitato dal tedio, dal timore, dalla tristezza e dal languore. Il tedio, getta l'anima in una certa noia, la quale fa che la vita sia insopportabile e che tutti i movimenti siano gravosi; il timore, commuove l'anima fino dai suoi fondamenti, per la immaginazione di mille tormenti che la minacciano; la tristezza, la copre di una densa nube, la quale fa che tutto le sembri morte; e finalmente quel languore è come un abbattimento di tutte le forze, una specie di oppressione. Ecco lo stato del Salvatore nell'orto degli olivi!. Una sola di queste pene, come getta lo spirito nostro in grande dolore! Immagina il dolore di Gesù immerso in tutte queste pene!... Come lo si vede anche esternamente! Ora lascia gli Apostoli, ora li cerca; ora prega, ora si lamenta, perchè abbandonato: in breve, lo vedi in preda ad una grande agitazione. Egli stesso dice: «L'anima mia è afflitta sino alla morte». Gesù non esagerava mai, se, quindi, dice,, che è triste fino alla morte, è in uno sfinimento, in una tristezza, in una oppressione che non si prova che alla morte; é ridotto ad una vera agonia; certo soccomberebbe se la Divinità non venisse a sostenere la sua santa Umanità. Un segno della violenza del suo dolore, è il sudore di sangue che gli cagiona. Con quanta ragione il Profeta esclama: «Grande qual mare è la tua afflizione!». pensa, che Gesù è il padrone assoluto di tutte le passioni dell'anima sua, di tutti gli atti della sua sensività; se dunque Egli soffre in tal guisa, se le sue sofferenze sono così innumerevoli e così terribili, è perchè Egli così vuole deliberatamente. E' Lui medesimo che apre, per cosi dire, le cateratte alle acque amare dell'afflizione, che invadono il suo Cuore; è Lui medesimo, che si immerge in questo abisso spaventoso. Questa prima effusione del suo Sangue, è Lui, che la vuole, e la vuole abbondantemente. Si, veramente Egli può dire: «Io da me solo ho premuto il torchio... e il Sangue è schizzato sulla mia roba, e ne ho macchiate tutte le mie vestimenta», c'è ancor di più. Gesù Cristo nell'anima era affetto da sommo gaudio, poiché, l'anima sua fino dal primo istante di sua concezione, ebbe la visione beatificata della Divinità. Ora, com'era possibile che malgrado la chiara visione di Dio, che gli mostrava la Passione nella luce dell'eterna beatitudine, Gesù fosse turbato non solamente nel suo Corpo e nelle sue facoltà sensitive, ma ancora nella sua volontà? E il medesimo oggetto che gli era, in certa guisa, luce e gioia ad un tempo, gli fosse tuttavia una causa di spavento e di terrore? Si può rispondere, che il Salvatore aveva differenti modi di guardare in faccia la Passione, poteva rallegrarsene sotto un rapporto e affliggersene sotto un altro. Ma vi è sempre un mistero profondo ed immensurabile, ed è un miracolo che il Salvatore ha fatto per soffrire così. E' impossibile negarlo: la chiara visione di Dio veniva precisamente ad accrescere il dolore, l'orrore e l'odio del peccato, nella parte superiore della volontà. Soffrire cosi liberamente e volontariamente, non è rendere il sacrificio doppiamente caro, onorevole, prezioso?. Vedi? Gesù adopera l'onnipotenza sua, fa anche miracoli per soffrire più intensamente.
SECONDO PUNTO
Gesù si servì della sua onnipotenza per patire più intensamente per te, e così espiare le tue colpe; anche tu, quindi, amerai il patire, il dolore, la croce... e procurerai con ogni diligenza di patire più che ti sarà possibile per amore del tuo Gesù. — E' giusto. Il peccato bisogna espiarlo; senza spargimento di sangue non ha luogo la remissione. Per questo solo che aveva preso i tuoi peccati, guarda quanto patisce Gesù! Quanto è giusto, quindi, che tu, che hai veramente peccato, abbi a patire! — E' necessario. Non puoi essere cristiano, seguace quindi di Gesù, tanto più non puoi essere religioso o sacerdote, se non ami e non porti la croce. Senti che cosa ti dice Gesù: «Chi vuoi venire dietro a me, rinneghi sè stesso, dia di mano alla sua croce e mi segua. Perchè chi vorrà salvare l'anima sua, la perderà; e chi perderà l'anima sua, per amor mio, la troverà». E come uno «fabbricar volendo una torre... fa prima a tavolino i conti delle spese che vi vorranno... e un re che muove guerra ad un altro re consulta prima a tavolino» le forze, necessarie, cosa, se uno vuoi essere un vero cristiano bisogna prima che si persuada che deve amare, abbracciare il patire, la croce: «Chi non porta la sua croce, e mi segue, non può essere mio discepolo». — E' utile. Il patire, la croce, ti procura grande gloria in Paradiso; se patiremo con Cristo saremo con Lui glorificati. Il Paradiso è la patria dei crocifissi e non entra in Paradiso se non chi è conforme a Cristo Gesù. Quando sarai giunto in Paradiso, anche tu dirai con S. Pietro
d'Alcantara: «O felice penitenza, che tanta gloria mi ha procacciato!». Il patire, il dolore, è la suprema gloria dell'uomo, perché diventa il suo segnalato trionfo sopra il demonio, sopra il mondo e sopra sé stesso; è l'arma divinamente temprata, dalla quale il demonio ha ricevuto la sua più letale ferita. Ecco, perché i Santi bramavano ardentemente il patire. — O Signore, diceva S. Teresa, o patire, o morire. — Patire e non morire, diceva S. Maria Maddalena de' Pazzi. — Gesù un giorno, domandò a S. Giovanni della Croce, che cosa volesse per il tanto che aveva fatto per Lui; rispose: «Patire ed essere disprezzato per te». — Ecco perché gli Apostoli «se ne andavan contenti dal cospetto del consiglio, per essere stati fatti degni di patire contumelia per il nome di Gesù». Ecco, perché l'Apostolo Paolo diceva: «Son ripieno di consolazione, sono innondato dall'allegrezza, in mezzo a tutte le nostre tribolazioni». La discepola prediletta del Cuore agonizzante di Gesù, la S. M. Margherita
Alacoque, diceva sempre: «Il più penoso patire per me è passare una giornata senza avere occasione di patire molto per amore del Cuor dolcissimo di Gesù». — Il glorioso San Andrea diceva: «Salve, Croce preziosa, che fosti consacrata dal corpo del mio Signore, e ornata delle sue membra come di preziosi gioielli! Io mi avvicino a te, coi più vivi trasporti di gioia; accoglimi fra le tue braccia! O Croce salutare, che fosti abbellita dalle membra del Signore, io ti ho sempre ardentemente amata, da molto tempo ti bramo, e vado in cerca di te. Finalmente sono appagati i miei voti; ricevimi fra le tue braccia, toglimi dagli uomini e presentami al mio Maestro, affinché Egli, che per mezzo di te mi riscattò, per te pure mi riceva».
TERZO PUNTO
Hai sempre amato il patire? Ti sei sempre adagiato volentieri sulla croce, che il buon Dio ti ha dato?... oppure eviti, fuggi il patire?... Croci ne avremo sempre, in qualunque stato ci troveremo poiché il vivere sulla terra é patire; ora, come le ricevi queste croci? Ti lamenti perché sono molteplici, troppo pesanti fastidiose?... Se non con allegrezza, vivi per lo meno in esse, con la santa rassegnazione cristiana?... Se pensassi ai tuoi molti peccati, troveresti, che queste croci, non sono poi così pesanti. Se pensassi alla pena eterna dell'inferno, che coi peccati ti sei meritato, come ringrazieresti il Signore della grande misericordia che ti usa dandoti così lievi sofferenze! Se pensassi alla grande gloria del Paradiso, che con esse ti procuri, come diresti anche tu: «Quella che è di presente momentanea e leggera tribolazione nostra, un eterno sopra ogni misura smisurato peso di gloria opera in noi». «I patimenti del tempo presente non hanno a che fare con la futura gloria che in noi si scoprirà». Proponi, dunque, di amare il patire, di voler cercare di patire molto per Cristo Gesù.
Tieniti, però, a mente che come chi ha gran fame, non aspetta a mangiare solamente allora che trova preparato un sontuoso pranzo, ma prende e mangia ogni bocconcello di pane che trova; cosi anche tu, se ami davvero di patire per Gesù, non ti devi fermare a sognar croci grandi, sofferenze penosissime, che non verranno forse mai, o di rado, ma subito prendere con amore le croci, che il Signore ogni giorno semina sulla tua strada. (...) Cercare sempre occasione di patire in piccole cose... come nel sedere, nello stare in ginocchio, prendendo sempre la posizione più penosa... mortificare gli occhi, la lingua, i sensi tutti... Se farai cosi, si formerà in te la vera gioia del patire, e troverai in ogni tua pena gran sollievo. «Meglio è portar pesi in compagnia del forte, che sentirsi leggero in compagnia del debole. Quando sei carico di croci, hai per compagno Gesù, tua forza e amico dei tribolati; quando non le hai, sei abbandonato a te stesso, cioè alla tua fiacchezza. Quindi è che il valore e la gagliardia dell'animo per le tribolazioni cresce e
si rafforza».
ORAZIONE. — Il vostro amore, o mio Gesù, non può soffrire ritardi. Aspettare solamente due o tre ore a dar principio alla Passione vostra è per Voi grandissima sofferenza. Voi, quindi, non aspettate che i soldati vi carichino di catene, che i Giudei ed i Gentili vi coprano di
obbrobri, che carnefici inumani straccino la vostra carne innocente e l'inchiodino ad una croce; vi abbandonate da Voi medesimo ad un dolore così amaro che siete obbligato a lagnarvene e a cercare qualche sollievo fra uomini rozzi, incapaci di compatire alla vostra pena. Quanto la mia condotta è differente dalla vostra, o mio Salvatore! Io, invece, peccatore
meschinissimo, fuggo il patire, ed a grande stento prendo quelle piccole croci, che la misericordia vostra mi dà, quando non mi lamento. Cuor dolcissimo del mio Gesù, che agonizzaste per me nell'orto degli olivi, guarite la mia miseria, accendete in me l'amore al patire, sicché, con gaudio e fortezza mi stringa alla croce, e su di essa io viva, io muoia.
GIACULATORIA. — Cor
Jesu, patiens et multae misericordiae, miserere nobis. Cuore di Gesù, paziente e misericordioso, abbi pietà di noi.
(Tutti
i testi sono tratti dal libretto: La Passione di Gesù Cristo - di Mons. Pietro
Bergamaschi)