UN ANNO CON DON BOSCO

 

15° Gennaio

 

16) I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, che cosa meritano? 

 

I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato  mortale, meritano l'inferno. 

 

17) Che cos'è l'inferno? 

 

L'inferno è il patimento eterno della privazione di Dio,  nostra felicità, e del fuoco con ogni altro male senza alcun bene. 

 

91. - Parabola del ricco Epulone. 

 

Con la parabola del ricco Epulone il Salvatore ci volle ammaestrare  del buon uso, che dobbiamo fare delle ricchezze. Disse egli pertanto: —  Fu un uomo, il quale andava festosamente vestito, ed ogni giorno si  dilettava in apparecchiar lauti banchetti. Era anche un uomo per nome Lazzaro, il quale tutto coperto di piaghe giaceva alla porta del ricco, e  sentivasi cosi travagliato dalla fame, che desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla mensa di quel ricco, e non le poteva avere. I  cani soltanto, più compassionevoli del padrone, andavano a leccare le sue  piaghe. Non molto dopo, Lazzaro morì e dagli angeli fu portato nel  seno di Abramo (vale a dire nel luogo ove riposavano i giusti morti  prima della venuta del Salvatore).  Morì anche il ricco, ma l'anima sua fu seppellita giù nell'inferno.  In mezzo agli acerbissimi tormenti che ivi si soffrono, permise Iddio  all'Epulone di levare lo sguardo e vedere Lazzaro nel seno di Abramo.  « Padre Abramo, — si mise allora ad esclamare, — una grazia ti chiedo,  per pietà mandami Lazzaro, che col dito intinto nell'acqua venga a me  e ne lasci cadere una goccia sulla mia lingua, perchè questa fiamma mi  cruccia orribilmente ». Abramo rispose che avendo egli malamente goduto dei beni della vita sua si meritava quelle pene e che Lazzaro, avendo  soltanto sofferto patimenti, era ben giusto fosse al possesso di quella  gloria; che vi stava un immenso abisso fra di loro, nè potevasi mai  avvicinare. Allora il ricco : « Deh ! almeno concedimi questo favore : mandalo a casa di mio padre, a dare testimonianza ai miei fratelli dell'infelice mia sorte, acciocché essi non vengano quaggiù a patire questi  atroci tormenti ». Rispose Abramo: « Hanno Mosè ed i Profeti, li ascoltino ». Ed egli: «Se alcuno dei morti andasse a loro, farebbero penitenza ». Conchiuse Abramo: « Se non credono a Mosè e ai Profeti, non  presteranno fede neppure a chi risuscitasse da morte a vita ».  Oh! quanto è mai infelice lo stato dei dannati nell'inferno, dove  in mezzo a tanti orribili patimenti non si può manco avere il conforto,  che dar potrebbe una piccola goccia d'acqua. (Bosco, Storia Sacra, 225). 

 

92. Le pene dell'inferno. 

 

La notte del 2 aprile 1887, Don Bosco vide in sogno le pene dell'inferno, e così raccontò.  « Sentii prima un gran rumore come il terremoto, poi un rombo  prolungatissimo terrificante, misto a grida di orrore e di spasimo, voci  umane inarticolate, che, confuse col fragore generale, producevano un  fracasso pieno di spavento. Vidi come una massa, un volume informe  che man mano prese la figura di una formidabile botte di favolose dimensioni: di là uscivano le grida di dolore. Domandai spaventato che cosa  fosse, che cosa significasse quanto io vedeva. Allora le grida, fino a  quel punto inarticolate, si fecero forti e più distinte, sicché percepii  queste parole : Multi gloriantur in terris et cremantur in igne. Poi vidi  per entro a quella specie di botte persone di indescrivibile deformità. Gli  occhi uscivano dalle orbite; le orecchie quasi staccate dal capo pendevano  all'ingiù ; le braccia e le gambe erano slogate in modo raccappricciante.  Ai gemiti umani si univano sguaiati miagolii di gatti, rabbiosi abbaiamenti di cani, ruggiti di leoni, urli di lupi, voci di tigri, di orsi e  di altri animali. Osservai meglio, e fra quegli sventurati ne riconobbi  alcuni. Allora sempre più esterefatto, domandai nuovamente che cosa volesse significare sì straordinario spettacolo. Mi fu risposto:  — Gemitibus menarrabilibus famem patientur ut canes.  Interrogai gridando: — Mia non vi potrà dunque essere rimedio  nè scampo a tanta sventura? È proprio per noi tanto apparato di orrore,  sì tremenda punizione? Che cosa devo fare io?  — Sì, — rispose una voce, — vi è un rimedio, un rimedio solo :  affrettarsi a pagare i propri debiti con oro e argento.  — Ma queste sono cose materiali!  — No : aurum et thus. Con la preghiera incessante e con la frequente Comunione si potrà rimediare a tanto male.  Durante questo dialogo, più strazianti si facevano udire le grida,  più mostruosi comparivano dinanzi a me gli aspetti di coloro che le emettevano, sicché, preso da mortale terrore, mi svegliai. Erano le tre del  mattino, nè mi fu più possibile chiudere occhio ».  Nel corso del suo racconto, un tremito gli agitava le membra: aveva il respiro affannoso, e lacrimava. (M. B. XVIII, 284-285). 

 

93. - L'inferno. 

 

a) La discesa e i lacci. — Don Bosco raccontò la sera del 3 maggio  1868. « All'improvviso vidi nella camera, vicino al letto, la solida Guida. Da prima rifiutai l'invito di seguirla: cedetti solo al suo comando. Dopo  un lungo e mesto viaggio attraverso a sconfinata pianura, ci trovammo  aperta innanzi una strada: bella, spaziosa, ben selciata, con siepi verdi  e vaghi fiori. Continuando il cammino mi  accorsi che la strada discendeva in modo che io correva tanto da essere  portato per aria. Scendevo sempre tra fiori e rose. Ad un tratto mi vidi  attorniato da tutti i giovani dell'Oratorio e da numerosi altri. Ma or  l'uno or l'altro cadeva trascinato da una forza invisibile verso un'orribile  discesa. La guida mi spiegò: Funes exstenderunt in laqueum: iuxta iter  scandalum posuerunt. I lacci erano molti : o invisibili all'altezza del capo  o appena visibili (parevano di stoppa, quasi fili di ragno) per terra. Nonostante la sottigliezza i giovani vi incappavano e cadevano. E la Guida  spiegò: — Non è altro che rispetto umano.  I giovani presi da questo laccio precipitavano più velocemente di  ogni altro. Presi uno dei tanti lacci e tirai. Venivo invece tirato io. Seguì  il filo e giunsi alla bocca di una spaventevole caverna. Tirai nuovamente  il filo ed ecco spuntar un mostro ributtante. Ritornai indietro. Su ogni  laccio vi era un nome: superbia, disubbidienza, invidia, VI Comandaci  mento, furto, gola, accidia, ira, ecc. Ne facevano cadere di più quello  della disonestà, disubbidienza e superbia.  b) Coltelli, spade, martello. — Sparsi qua e là vi erano dei coltelli. Il più grosso era posto lì, contro il laccio della superbia: la Meditazione. Un secondo assai grosso significava la lettura spirituale ben fatta.  Due spade uguali significavano: frequente Comunione e devozione alla  Madonna. V'era un martello: Confessione. Altri significavano le varie  devozioni ai santi.  Dei giovani passavano tra i lacci senza esserne preda.  c) Il fondo-valle. — Continuai il cammino. La strada si era fatta  pessima, sempre in discesa. Finalmente in fondo comparve un edifìcio  immenso con porta altissima e serrata. Caldo soffocante e un fumo denso- verde si innalzava dai muraglioni solcato da guizzi di fiamme sanguigne.  Sulla porta stava scritto: Ubi non est redemptio. Girammo intorno alle  mura dove a intervalli si aprivano altre porte con altre iscrizioni. Percorremmo così l'immenso profondissimo burrone e fummo davanti alla porta,  di prima.  d) Le mille porte. — Dalla ripida via precipitava uno dei miei giovani coi capelli scarmigliati e le braccia in avanti. Voleva fermarsi e non  poteva. Volgeva indietro il capo e guardava cogli occhi infuocati per vedere  se l'ira di Dio l'inseguisse sempre. Andò a sbattere nella porta di bronzo. Con rimbombo di catenacci e con un lungo boato assordante, due, dieci,  cento, mille altre porte s'aprirono spinte dall'urto del giovane, trasportato come da un turbine invisibile, irresistibile, velocissimo. Le porte  erano una in faccia all'altra e mettevano come in una fornace, dalla quale si sollevavano globi di fuoco. Poi tutte si chiusero. Poco dopo tre giovani  in forma di tre macigni rotolarono rapidissimi un dietro l'altro, urlando  per lo spavento. Furono ingoiati in quell'antro infernale. Un altro spinto  da perfido compagno. Altri e altri, soli o in compagnia. In fronte portavano il loro peccato. La guida spiegava: — Ecco la causa di tante dannazioni: i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini.  e) A mille e mille gradi. — La guida approfittò del capitombolo  di nuovi disgraziati per introdurmi mio malgrado. Entrammo in stretto  e orribile corridoio. Si correva come un lampo. Sboccammo in un vasto,  tetro cortile. Leggevo iscrizioni da tutte le parti. Per esempio, questa era  sopra un portello, brutto, grosso: Ibunt impii in ignem aeternum. Passammo quel portello e dopo un nuovo andito mi si presentò una immensa  caverna scavata nelle viscere del monte. Mura, volte, pavimenti, ferro,  pietre, legna, carbone, tutto era bianco smagliante, incandescente. E quel  fuoco nulla inceneriva, nulla consumava.  f) Le pene. - L'immortalità. — I poveri infelici precipitavano con  un urlo acutissimo come di chi dovesse cadere in un lago di bronzo liquefatto. Si facevano bianchi come tutta la caverna e restavano immobili,  arroventati, nella posizione di caduta. E la guida a dire: — Lignum in  quocumque loco ceciderit, ibi erit.  Smanie e furori. — Molti di quei miserabili si infliggevano a  vicenda colpi e fiere ferite, si mordevano come cani rabbiosi, si graffiavano e gettavano in aria i brandelli di carne tolta. In quel momento il  soffitto della spelonca divenne come di cristallo, permettendo la vista di  un lembo di cielo e dei beati. Peccator videbit et irascetur...  Disperazione. — Accostando l'orecchio al vetro del finestrone da  cui osservavo la scena, udivo pianti, imprecazioni, urla.  Rimorso. — Ci allontanammo per un lungo corridoio scendendo  in profondo sotterraneo. Prima di entrarvi, lessi: Vermis eorum non  móritur. I dannati erano carichi di vermi e di schifosi animali che li  rodevano e consumavano nel cuore, occhi, mani, gambe, braccia. Immobili, senza potersi difendere.  g) La sala dei veli. — E allora la Guida mi introdusse nella caverna. Mi trovai come trasportato in magnifica sala dove a intervalli  pendevano larghi veli. Su di uno stava scritto: «VI Comandamento».  La Guida lo alzò e mi fece vedere i colpevoli dicendomi: — Predica da  per tutto contro l'immodestia. Avvisa in generale. Siano costanti nella  grazia di Dio. Ascoltino la voce della coscienza. Occorre preghiera e  sacrificio da parte tua....  Su di un altro velo stava scritto: Qui volunt dwites fieri, incidunt  in tentationem et,in laqueum diaboli La Guida lo alza e spiega: —  Basta l'affetto, il desiderio di qualche oggetto, comodità, non restituire,  non riparare i danni arrecati... I tuoi giovani sono poveri, ma gola e  ozio sono pessimi consiglieri. Respingano gli inutili c nocivi desideri.  Obbediscano alla Legge di Dio. Siano gelosi del loro onore,  Su di un altro velo si leggeva: Radix omnium malorum,  Non in  superbia, ma proprio la disobbedienza — disse la Guida. — Quel che  vedi qui non hanno curato le proibizioni, la regola e soprattutto il dovere  della preghiera. Chi non prega si danna. L'obbedienza anche nelle piccole cose a Dio, alla Chiesa, ai parenti, ai superiori, li salverà. Guiai agli  oziosi...  h) Prova anche tu! — Rifacemmo finalmente l'orribile via di uscita. Prima di lasciare la soglia dell'ultima porta di bronzo, la Guidi, nonostante tutti i miei rifiuti, mi afferrò risolutamente per un braccio, mi  accostò al muro e disse: — È il millesimo prima di giungere dove è il  vero fuoco dell'inferno. Ogni muro è di mille misure di spessore'e di  distanza l'un dall'altro e ciascuna misura è lunga mille miglia. Questo è  distante in milione di miglia dal vero fuoco dell'inferno. — Ciò detto  afferrò la mia mano, l'aperse per forza e me la fece battere sulla pietra  di quell'ultimo millesimo muro. In quell'istante sentii un bruciore così  intenso e doloroso che balzando indietro, mandai un fortissimo grido e  mi svegliai. La mano mi bruciava realmente. Era divenuta gonfia e l'impressione immaginaria di quel fuoco ebbe tanta forza che in seguito la  pelle della parte interna della mano si staccò e si cambiò.  Era ritornello della Guida a proposito dei giovani visti: — Questo  è il loro stato attuale e se morissero verrebbero senz'altro qui ».  (M. B. IX, 166-168). 

 

FRASE BIBLICA. - Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà. 

 

UNA MASSIMA DI DON BOSCO. - Con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso.

 

PREGHIERA DEL MESE: - Signore Iddio onnipotente, vi ringrazio dei lumi che la vostra parola ha portato alla mia mente, e degli affetti che mi ha destato nel cuore. Datemi grazia che essa produca in me un frutto centuplo, cosicché io riporti piena vittoria sulle mie cattive inclinazioni, e la mia fede divenga sempre più operosa, l'amore a voi sempre più infiammato ed efficace, la virtù sempre più perfetta e costante. Fate che io non mi contenti solamente di conoscere la vostra dottrina, ma con una fedeltà costante sino al termine della mia vita la metta in pratica. Così sia. (Da il Cattolico provveduto, 1868, don Bosco)

 

FIORETTO: — Sopporta oggi con gioia i tuoi piccoli dolori, pensando che avrai più gloria in Paradiso.

 

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