UN ANNO CON DON BOSCO

 

4° Marzo

 

85) Perchè Gesù Cristo volle essere povero? 

 

Gesù Cristo volle essere povero, per insegnarci ad essere umili e a non riporre la felicità nelle ricchezze, negli onori e nei piaceri del mondo. 

 

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a) Povertà. 

 

256. - La povertà di Gesù. 

 

Don Bosco spesso narrando la vita del Divin Salvatore rappresentava Gesù Cristo il quale non aveva neppure un luogo ove posare il capo, e quindi soggiungeva: — Come potremo essere suoi discepoli, se ci mostriamo così differenti dal Maestro? Gesù Cristo nacque povero, visse più povero, morì poverissimo. (M. B. V, 682). 

 

b) Umiltà. 

 

257. - Dalla terra al Cielo. 

 

In un sogno a Don Bosco pare di trovarsi sulla strada verso Lanzo e di viaggiare su strani veicoli, con molti giovani. Questi ad un tratto si fermano. Don Bosco discende; un misterioso personaggio gli si avvicina mostrandogli un largo prato e comandandogli di indirizzare là i  veicoli. Ubbidisce: quando sono nel prato, fa scendere tutti e subito i  veicoli scompaiono. Il personaggio allora spiega il motivo di questo modo  di agire: — Bisogna evitare il pericolo di un toro furibondo, che non  lascia persona viva al suo passaggio. — E raccomanda che, appena sentito il muggito del toro, a un cenno di Don Bosco tutti si gettino a terra. Udito il muggito, i più ubbidiscono all'ordine di Don Bosco e si gettano a terra, pochi  rimangono in piedi. Arriva il toro: ha sette corna (= sette vizi capitali),  e queste sono mobili, sicché da ogni parte può fare strage. Al suo arrivo ecco che coloro che si erano buttati per terra sono sollevati in aria,  mentre i riottosi sono fatti in pezzi. Gli sforzi ed i salti per raggiungere quelli che sono in aria riescono inutili, cosicché se ne va. Subito dopo tutti si trovano in una grande chiesa, in adorazione  del SS.mo. Ricompare il toro con altri compagni, ma nulla possono fare.  Don Bosco conchiudeva: il toro è il diavolo; le sette corna sono i sette vizi capitali ; ciò che libera dai suoi assalti è specialmente l'umiltà. (M. B. XII, 463-464). 

 

c) Distacco delle ricchezze. 

 

258. - Le vere ricchezze. 

 

— Le ricchezze non possono sollevare e contentare il cuore umano.  La sola religione può far questo. Ciò vi dico affinché impariate a tenere  i beni della terra in quel conto che si meritano. Le sole buone opere sono  le vere ricchezze che ci preparano un posto lassù in Cielo. Così Don Bosco ai giovani nel 1876. (M. B. XII, 327-328). 

 

259. - Prestito che diventa regalo. 

 

La parola di Don Bosco produceva miracoli di persuasione. Un  giorno del 1862 aveva predicato sul distacco dai beni temporali, e, pochi  minuti dopo, disceso dal pulpito, si vide comparire innanzi un signore,  che la mattina stessa gli aveva portato in prestito 12.000 lire. — Ecco — gli disse quel signore presentandogli la ricevuta —  questo è un biglietto che lei può stracciare; io non ne ho più bisogno.  I miei occhi, per le sue parole, si sono aperti alla vera luce. Dio solo,  non c'è altro che Dio.  Dopo qualche anno, quel benefattore abbandonava il secolo e rinunciava ad una bella fortuna per farsi povero e vivere in povertà con Don  Bosco. (M. B. VII, 92). 

 

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262. - L'eredità di Don Calosso. 

 

Un mattino del novembre 1830 Giovannino Bosco fu chiamato  d'urgenza al letto di Don Calosso, colpito da grave malore. Il buon sacerdote riconobbe il suo discepolo, e, nell'impossibilità di articolare sillaba, prese una chiave di sotto al capezzale, e gliela consegnò, facendo  segno di non darla ad alcuno e che quanto racchiudeva il cassetto chiuso  da quella chiave, tutto, era per lui. Alcuni di quelli che avevano assistito  alle ultime ore dell'estinto, dicevano a Giovanni :  — La chiave che ti ha dato è quella del suo scrigno: i denari che  vi si trovano sono tuoi: prendili. Altri osservavano che in coscienza non poteva prenderli, perchè  non gli erano stati lasciati con atto notarile. Giovanni era in angustie; ci  pensò su un po', e poi disse:  — Oh! sì che voglio andare all'inferno per denari! Non voglio  prenderli ! Vennero gli eredi di Don Calosso, e loro consegnò la chiave ed ogni altra cosa. (M. B. I, 216-218). 

 

d) Distacco dai piaceri. 

 

263. - Il merlo. 

 

Giovannino Bosco aveva circa io anni. Teneva in gabbia un bel  merlo che addestrava al canto zufolandogli all'orecchio per lunghe ore  alcune note, finché non le avesse apprese. Si era così affezionato al merlo che pensava sempre a lui. Un giorno trovò la gabbia spruzzata di sangue e l'uccello sbranato e divorato a metà. Un gatto lo aveva afferrato per la coda, e, tentando di trarlo fuori dalla gabbia, lo aveva così malconcio. Giovanni Bosco pianse, e la durò così per vari giorni senza che nessuno  potesse consolarlo. Finalmente si mise a considerare il motivo del suo pianto, la frivolezza del suo oggetto, la nullità delle cose mondane, e  pigliò una risoluzione superiore alla sua età: propose di non mai più attaccare il cuore a cosa terrena. (M. B. I, 118). 

 

264. - Bracco. 

 

Nelle ore di ricreazione Giovanni aveva addestrato a vari giochi e salti un cane da caccia del fratello Giuseppe. L'aveva assuefatto a prendere con delicatezza il pane dalla sua mano; talvolta lo costringeva a salire e discendere la scala a pioli che metteva sul fienile; tal'altra lo gettava sul fienile, e, tolta la scala, si allontanava chiamandolo. Bracco lo accompagnava sempre ovunque andasse. Alla domenica, dopo tutte le funzioni di chiesa, ritornava alla collina accompagnato dagli amici, e  loro faceva godere nuovi divertimenti per mezzo del suo fido animale  Dopo avergli fatto eseguire uno svariato numero di giocherelli tra le risa dei compagni, gli ordinava di saltare sul dorso di una vacca che pascolava poco distante: e lo lasciava così non per brev'ora. Avendoglielo chiesto in dono certi suoi parenti di Moncucco, ricordandosi della promessa fatta al Signore quando da piccino aveva sofferto  tanto dolore per la morte di un merlo, senz'altro egli stesso di buon grado lo condusse a casa loro. Ma Giovanni aveva fatto i conti senza Bracco, che tanto fece da ottenere di rimanere sempre presso il suo padroncino. (M. B. I, 239-241). 

 

265. - Il povero Don Bosco. 

 

Pio IX, in segno di stima e affetto, vuol far Don Bosco suo cameriere segreto col titolo di Monsignore. Don Bosco modestamente ringrazia e sorridendo: — Santità, che bella figura farei tra i miei ragazzi, se  fossi Monsignore! I miei figli non saprebbero più avere in me tutta la  loro confidenza, se dovessero chiamarmi Monsignore; non oserebbero più  avvicinarsi e tirarmi di qua e di là. E poi il mondo, con tal dignità, mi  crederebbe ricco, e io non oserei più questuare per l'Oratorio. Beatissimo  Padre! È meglio che io resti sempre il povero Don Bosco! (M. B. V, 883-884). 

 

FRASE BIBLICA. - Il nostro cuore attende la tua misericordia. 

 

UNA MASSIMA DI DON BOSCO. - Non cercare né eleganza, né splendore nelle opere. Cerca la gloria di Dio, ma abbi per base la povertà di fatto. (Mamma Margherita)

 

PREGHIERA DEL MESE. - Venite, o Spirito d'intelletto, ed illuminate l'anima mia, affinchè io conosca e creda, come si conviene, i misteri della fede, conformi ad essi la mia vita con riconoscenza ed amore, e finalmente giunga a contemplarli al lume della eterna luce arrivando alla perfetta cognizione di Voi, del Padre e del Figliuolo. Così sia. Pater noster... (Da il Cattolico provveduto, 1868, don Bosco). 

 

FIORETTO: — Se non puoi comunicarti, visita il Santissimo; recita il Pange lingua (clicca).

 

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