UN ANNO CON SAN GIUSEPPE
7° Marzo
Giuseppe a Betlemme
I. — Il gaudio della natività. — Un'ubbidienza pronta all'editto del Cesare di Roma, che chiamava i popoli al censimento, prevalse sulla preoccupazione del prossimo evento, e lo condusse con Maria da Nazaret a Betlemme, attraverso un lungo e fastidioso viaggio. I due santi sposi procedono in silenzio, in tutto raccolti nel pensiero di Gesù, che Maria porta nel seno verginale; e, se talvolta discorrono, non si occupano che di Lui. Giunti a sera, Maria, sentendo approssimarsi l'ora del divin parto, ne dà avviso allo sposo, e si mettono entrambi alla ricerca di un alloggio. Ma per il Figliolo di Dio, che nasce per la salute del mondo, non v'è posto alcuno. L'abito dimesso, l'aspetto umile e modesto li rende oggetto di rifiuto, e sono costretti a prendere di notte il largo per la campagna, e rifugiarsi in una grotta, che, per giunta, è una stalla. Giuseppe ne è addolorato per la santa sposa e per il nascente Bambino, ma non si turba affatto, né esce in alcun lamento. V'è qualche cosa di più alto, che lo commuove e lo assorbe. È l'ora di mezzanotte; nel silenzio e nelle tenebre si compie l'ineffabile mistero. Maria in un'estasi d'amore dà alla luce il divin pargoletto. Giuseppe sta modestamente raccolto in un cantuccio della grotta, e, quando Maria lo ha avvolto in poveri panni e lo ha adagiato nella mangiatoia, accorre sollecito ad adorare il suo Dio, divenuto come suo figliolo, e ad effondere tra le lacrime della commozione il suo cuore paterno. Quale gioia inonda le fibre del cuore di Giuseppe, in quell'ora solennissima! Egli gode la gioia di sapersi redento. La stalla è già trasformata in un paradiso di luce, e nel cuore sente echeggiare il canto degli angeli: «Gloria a Dio nei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà». Persuadiamoci che non v'è altra gioia all'infuori di quella, che viene da Dio e dal santo amore di Lui. Siamo noi abbastanza grati al Signore dell'immenso dono di essere redenti? Proviamo una gioia simile a quella di Giuseppe, nell'unirci a Gesù nella santa comunione?
II. — Le insigni virtù di Giuseppe. — La scena di Betlem è troppo tenera e commovente, ed è altresì di grande lezione per noi. Giuseppe vi rappresenta una parte rilevante. Egli è il capo della famiglia, che in quell'ora si completa, ed è tutto compreso della missione, che il nato Salvatore viene a compiere. Il cantico degli angeli ne dice l'alta finalità, Gesù, al solo apparire, ne spiega il programma e i mezzi per raggiungerlo. Egli nasce tra i profumi del candore di una Vergine; nasce povero, umiliato tra dure sofferenze. Benché di nobile stirpe, vive contento della sua condizione bassa e spregevole, e accetta senza alcun turbamento i rifiuti degli albergatori. Gli tocca di alloggiare con la sua degna sposa in una stalla, e vi si rassegna, senza muovere alcun lamento. È privo di tutto, non può procurare al divin pargolo né una culla, né delle fasce convenienti per avvolgerlo. Soffre molto per Maria, che partorisce così disagiatamente, soffre ancora per il tenero Bambino, che vagisce tra i rigori del freddo e dell'umido, sulla dura paglia. Quale contrasto tra l'infinita dignità di un Dio e questo complesso di povertà, di squallore e di patimento! Eppure quale armonia! Nessuna ricchezza, nessuno splendore, nessun corteggio poteva essere degno di un Dio incarnato. La sua grandezza sta nel rifiutar tutto questo, e nell'adornarsi delle gemme di una umile e penosa povertà. Sublime lezione per noi. Gesù, al suo primo apparire, ha inalberata la bandiera, su cui è scritto: povertà, umiltà, mortificazione. Ecco la via diritta, per rendere gloria a Dio, e ritrovar la pace, preludio della salvezza. È una via aspra e costosa alla natura. Ma Gesù la inaugura e la percorre come gigante, e Giuseppe Io segue per primo, e con la sua protezione ce la cosparge di rose, e ce la rende gioconda. L'amore e la confidenza ce ne assicureranno il felice percorso.
Fioretto: Tenersi profondamente umile e distaccato, durante il giorno, specialmente nelle occasioni avverse, che s'incontreranno.
Giaculatoria: O Giuseppe, povero e umile, rendi il cuor nostro simile al tuo.
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