QUARTO MISTERO LA PRESENTAZIONE DI GESU' BAMBINO AL TEMPIO
19° GIORNO
L'ubbidienza
CONSIDERAZIONE. In questo mistero il Fiat della più pronta e generosa ubbidienza caratterizza la condotta della Sacra Famiglia, come caratterizzerà la vita del Redentore, di cui l'Apostolo, quasi a riassumerne tutti i meriti, disse: « Fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di Croce». Gesù infatti dirà un giorno: « Son disceso dal Cielo non per fare la mia, ma la volontà di Colui che mi ha mandato». Generalmente ogni rivoluzionario, nel campo spirituale o materiale, politico od economico, è un demolitore nel medesimo tempo in cui si accinge a tracciare le linee programmatiche del suo nuovo edificio. Per convincersene, basta riflettere alla sconcertante e babilonica confusione presente, nel campo politico, di tendenze sociali, diametralmente opposte in una lotta ideologica e pratica. Basta pensare al comunismo materialista, che nasconde, tra le pieghe delle sue rivendicazioni, il flagello spietato per far sanguinare i Martiri, ed il piccone temerario per demolire la Chiesa. Invece, nella vita della Sacra Famiglia, esistette il rispetto e l'osservanza della legge antica, pur essendo essa stessa il punto di partenza ed il fondamento d'una legge nuova. I tre più grandi Pellegrini dell'umanità hanno saputo rivoluzionare e rinnovar la legge, mentre obbedivano alla legge stessa. Sono riusciti ad innestare un ordine nuovo sopra un ordine vecchio e sorpassato, ma senza impeti di rivolte sanguinarie.
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Nessun Israelita fu infatti più ubbidiente di Gesù alla legge; la stessa sua nascita avvenne mentre Maria e Giuseppe compivano un atto di obbedienza per il censimento indetto da Cesare Augusto. E proprio quel Gesù, che fino alla morte fece suo cibo l'ubbidienza, sarà il rinnovatore della legge, senz'esserne il distruttore; sarà il pacifico rivoluzionario, per portare l'uomo a sentirsi figlio di Dio, e non più « figlio dell'ira». « Quando venne la pienezza dei tempi — dice S. Paolo — Dio mandò il suo Figliuolo, fatto di donna, sottomesso alla legge, per redimere quelli che erano sotto la legge e farci ricevere l'adozione di figli». Accanto al Divin Legislatore della nuova alleanza, col medesimo suo spirito di fedeltà e di perfezionamento della legge, ci furono Giuseppe e la Madonna. Ce ne hanno dato un fulgidissimo esempio nel mistero della Presentazione di Gesù Bambino al Tempio. I Santi Sposi avevano con sè Colui che poneva fine all'azione preparatoria e simbolica della religione ebraica. La Madonna, specialmente, come « termine fisso d'eterno consiglio», apparteneva ad un ordine nuovo, spirituale, divino, ed era stata dal Signore arricchita di privilegi straordinari. Poteva quindi sganciarsi dalle osservanze rituali comuni; invece, di fronte alla legge, obbedì con prontezza e perfetta sottomissione, sotto l'impulso dello Spirito Santo.
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È proprio vero che, per rinnovare una legge e l'ordinamento sociale che ne consegue, bisogna prima essere stato perfetto obbediente. In questo, Giuseppe e Maria imitarono Gesù, e, insieme con Lui, si assoggettarono a tutte le prescrizioni legali, per essere, ancora con Lui, rinnovatori della legge stessa. Nella lunga attesa di
Nazaret, Gesù darà l'esempio dell'infinita virtù nell'ubbidire; ma dovremo anche ammirare la sconfinata virtù dei genitori nel comandare. Si pensi, infatti, alla confusione e al sentimento schiacciante della loro indegnità rispetto a Lui, del quale ben conoscevano la divina grandezza. Certo, avrebbero desiderato, anziché comandare, soltanto ed umilmente ubbidire, e farlo da tutti gli altri conoscere ed adorare! Quella triade beata, al cui servizio avrebbero dovuto essere gli Angeli riverenti, non solo faceva tutto da sè, ma il Re dell'universo, in essa, serviva gli altri! Eroismo d'obbedienza, dunque, nel Divino Maestro, che incominciò ad insegnare prima con l'esempio e poi con la parola; eroismo d'umilissimo comando in Giuseppe e
Maria: l'uno e l'altro profondamente radicati nel perenne « sì» e nel più perfetto abbandono nella Divina Provvidenza. Fra tutte le virtù morali, v'è, nella stessa intrinseca natura dell'obbedienza, un particolare primato di bene. Dice infatti San Tommaso: « Tutte le altre opere virtuose, in tanto sono meritorie davanti a Dio, in quanto si compiono per ubbidire alla volontà divina. Poichè, se qualcuno subisse il martirio, o distribuisse tutti i suoi beni ai poveri, se non ordinasse tali cose all'adempimento della divina volontà — il che appartiene direttamente all'obbedienza — non potrebbero essere meritorie; così come se fossero fatte senza carità, la quale non può esserci senza obbedienza, poiché l'amicizia fa volere e non volere le medesime cose. L'ubbidienza è condizione indispensabile per ottenere i divini favori ed avere la coscienza tranquilla; i nostri progenitori, infatti, li perdettero e si macchiarono la coscienza, proprio per aver disubbidito. Chi nutrisse un segreto istinto di sconvolgere l'ordine in cui vive, di sottrarsi alle legittime Autorità, resisterebbe all'ordinamento del Signore, da cui ogni Autorità procede, e non avrebbe la pace, nè saprebbe diffonderla. Questa infatti ha, per così dire, tre gradini, l'uno atto ad introdurre nell'altro: la pace nell'individuo, quella col prossimo e quindi con Dio; ma la radice è al terzo posto, poichè solo da Dio s'inizia ogni lavoro fecondo. L'ubbidienza è dunque la via più sicura della perfezione e della santità.
FIORETTO. Impariamo dalla Sacra Famiglia il rispetto e l'ubbidienza alle leggi religiose e civili. Prima l'esperienza, il fare, e poi, s'è di nostra competenza, anche il suggerimento, la correzione per il perfezionamento dei valori antecedenti.
GIACULATORIA. Virgo obbedientissima, ora pro nobis.
ESEMPIO
L'ARRIVO DELLA MAMMA. Un nobile polacco, il Conte Scholinski, durante la guerra d'indipendenza e libertà della sua patria, nel 1864, aveva anch'egli impugnate le armi contro l'antico nemico, la Russia. Ma i russi domarono nel sangue la sollevazione. Il Conte fu preso, arrestato e condannato a morte. La Contessa, appena saputa la terribile notizia, andò col figlio Stanislao ad inginocchiarsi davanti ad un quadro dell'Addolorata e disse: « O Vergine Santissima, prega per noi, proteggici, ridonami il marito, il padre al figlio. Abbi pietà delle nostre lacrime. Tu, a cui nessuno è mai ricorso invano!» Una speranza segreta colmò il suo immenso dolore. Tosto si alzò, prese il figlio per mano, si avviò verso la prigione, riuscì a passare. Aveva, con una moneta d'oro, ottenuto il permesso dal carceriere; così potè penetrare nell'oscura cella del marito. Tre quarti d'ora dopo, la disgraziata Contessa, con il viso nascosto, ripassava davanti alle guardie con il figlio. Ambedue piangevano silenziosamente. Giunta la sera, al momento dell'ispezione, la cella — come al solito — fu aperta. — Tradimento! Tradimento! — gridò il carceriere. Cos'era successo? Questo: che al posto del condannato a morte, si trovava la Contessa sua moglie. Sicuro! Il Colonnello Scholinski era evaso conducendo con sè a Parigi il figlio. Era già passato un anno e mezzo e il Conte ignorava la sorte della sua coraggiosa moglie. Alle frequenti domande di Stanislao: — Quando tornerà la mamma? — rispondeva con parole vaghe, dissimulando
l'inquetudine del cuore. Il fanciullo era entrato in collegio e cresceva bravo e pio. Era vicino il giorno della prima Comunione, ma il pensiero della mamma lo tormentava senza posa. — Voglio — diceva al padre nelle sue visite — voglio che venga la mamma per la prima Comunione. Una sera, il piccolo Stanislao scrisse una letterina al domestico della mamma, Pietro, che era rimasto a Varsavia: « Pietro, vorrai tu dire alla mamma che tra un mese farò la mia prima Comunione! Ella deve assolutamente assistervi. Non scrivo a lei, perché le nostre lettere sono fermate, ma spero che tu prenderai tutte le precauzioni per farle sapere il mio desiderio. Ti abbraccio di tutto cuore. Stanislao». Scritta la lettera, vi mise dentro un'immagine della Vergine, la sigillò e la spedì. Ma ahimè! pochi giorni dopo, il Conte Scholinski riceveva da uno sconosciuto un biglietto con queste parole: « Non più speranza, partenza per la Siberia. Rassegnazione! Intanto il giorno della prima Comunione si avvicinava. Stanislao aveva scritto la sua lettera all'insaputa del padre e dei superiori, ma ne aveva parlato molto con Dio e contava i giorni, da ore e aveva detto: « Farò una novena e pregherò tanto e bene la Madonna, che sarà costretta ad esaudirmi». Giunse la vigilia del grande giorno. Secondo una pia abitudine i genitori dovevano venire in parlatorio a benedire i loro figli. Venne anche il Conte
Scholinski. Venne solo. E diede la benedizione a Stanislao. — Grazie, babbo, della tua benedizione; ma aspetto anche la benedizione della mamma. Il padre taceva. — Non sai che aspetto la mamma? — continuò a dire il piccolo. — Sì, babbo, tra poche ore terminerò la novena alla Madonna, poi riceverò l'assoluzione e sarò puro come un angelo. Allora pregherò la Vergine che mi dia la mamma stasera o certamente domani. — Basta! interruppe il Conte, provandosi a sorridere; e, non potendo dire di più per la commozione ed il dolore, abbracciò il figlio ed uscì. Erano le 17. Stanislao si diresse verso la portineria. — Dove vai? — chiese il superiore. — A vedere se qualcuno mi chiama in parlatorio. — Ma il babbo è venuto
stamane. — Ah, sì! ma aspetto ancora una visita... aspetto la mamma. — Ma ella non è a Parigi... — Non importa: verrà lo stesso, ne sono certo. — Via, conosco i tuoi desideri e le tue preghiere... Va', ritorna con i tuoi compagni. Suonano le sei... le sette... le otto... nessuno! Ma ecco: una donna dal vestito nero, dal viso scarno e pallido entra in collegio. In portineria domanda di vedere Stanislao. Il portinaio, diffidando di questa tarda visita, si rifiuta di chiamare il ragazzo. Ma poi, per farla finita, concede alla Contessa (era proprio lei!) di avvicinarsi alla finestra e di guardare nel cortile dove i ragazzi, in fila, si preparavano per recarsi in dormitorio. Stanislao, passando, uscì alquanto di fila per gettare un ultimo sguardo in portineria. La madre gridò: — Eccolo, eccolo! — E cadde svenuta. Come era giunta e a quell'ora? Sfuggita ai russi, che la conducevano in Siberia a morire di stenti e di miseria, si era avviata verso la Francia; travestita e senza mezzi, a prezzo d'infinite pene, potè giungere a Parigi. Aveva ricevuto il biglietto di Pietro e potè così riabbracciare e benedire il figlio. Che gioia! Il giorno seguente il Conte e la Contessa, uniti e felici, assistettero alla prima Comunione di Stanislao.
(Tratto dal libretto "LE INTENZIONI E I FRUTTI DEL SANTO ROSARIO" - Sac. A.Monticone - 1952)