I.
Vita.
Il secondo evangelista è ricordato negli Atti degli Apostoli col nome di Giovanni detto Marco (Atti 12,12.25; 15,37); altre volte è chiamato
soltanto Giovanni (Atti 13,5), oppure semplicemente Marco (Atti 15,39; Cfr. Col. 4,10; Filem. 24; 1 Piet. 5,13). Nessun dubbio che tanto negli Atti quanto nelle epistole citate si tratti del medesimo
personaggio, come lo prova l'esame dei vari contesti e come ce lo conferma la continua tradizione
patristica, nonostante i dubbi di qualche scrittore anche recente. Del resto l'uso del duplice nome, era assai frequente presso gli Ebrei. Marco doveva appartenere a famiglia agiata: sua madre, Maria, possedeva in Gerusalemme una casa assai vasta da poter accogliere « molti »
fedeli; ivi si rifugiò Pietro appena liberato dal carcere (Atti 12,11 ss.). Marco era cugino germano di Barnaba, levita, che godeva grande autorità nella Chiesa nascente (Col. 4,10; Atti 9,27; 11,22.25.30; Gal. 2,1). Nel 44 lo troviamo ad Antiochia con Barnaba (Atti 12,25), quindi, nel primo viaggio apostolico
(4549), a Cipro ed in Panfilia insieme a Paolo e Barnaba, in qualità di aiutante, (Atti 13,5), ma a Perge si separò da loro, — non sappiamo per quale
motivo, — e se ne ritornò a Gerusalemme. Per il secondo viaggio apostolico
(50-52), «Barnaba voleva prendere con sè anche Giovanni, detto
Marco, ma Paolo giudicò più conveniente non dovessero prender con loro colui che li aveva
abbandonati fin dalla Panfilia e che non li aveva accompagnati nell'opera loro. Ne
nacque un tale dissenso che si separarono l'uno dall'altro, sicchè Barnaba, preso con sè Marco, s'imbarcò per
Cipro » (Atti 15,37-39). Nel 6163 troviamo Marco a Roma con San
Paolo, prigioniero per la prima volta, il quale scrivendo ai Colossesi e a Filemone, qualifica Marco quale suo collaboratore. Nel
6364 Marco figura pure a Roma insieme a Pietro, che nella lettera « agli eletti » della diaspora invia loro i saluti da parte di Marco, suo collaboratore e « suo
figlio» (1 Piet. 5,13). Non sappiamo se e quando Marco abbia fatto il viaggio di cui parla Paolo nella lettera ai
Colossesi 4,10, però nel 66 (67) egli si trova in oriente. Paolo infatti scrivendo a Timoteo da Roma, durante la sua seconda prigionia, gli dice: «
Prendi Marco e portalo con te (a Roma), perchè mi è molto utile nel ministero » (2 Tim. 4,11). Vuole la tradizione che egli, partito da Roma, dopo il martirio di Pietro e Paolo, abbia fondato la
Chiesa di Alessandria, dove morì; il suo corpo venne poi trasportato
a Venezia.
II.
Autenticità.
Tutti i Padri apostolici, come ad esempio
Papia e S. Ireneo, sono concordi nell'affermare esplicitamente che Marco fu l'interprete di
Pietro, trasmettendoci, nel suo Vangelo, la catechesi del principe degli Apostoli, così com'era stata esposta ai Romani. S. Giustino non esita a chiamare il secondo Vangelo «Memorie di Pietro » (Dial. CVI, 3). L'autenticità del secondo Vangelo, non messa in dubbio neppure dagli eretici dei primi tempi cristiani, è
pure riconosciuta da tutti i critici indipendenti di oggi. Ciò che affermano i Padri, a riguardo di S.
Marco, è comprovato dall'esaMe stesso del suo Vangelo, in cui si nota uno scrittore contemporaneo degli Apostoli, e, in particolare, un seguace di Pietro, di cui ci narra degli episodi non troppo lusinghieri per il futuro capo della Chiesa;
l'autore è un giudeo, ma ché scrive non per i giudei, bensì per i gentili romani, ai quali sente il
bisogno di spiegare, in numerose parentesi, termini ebraici, altrimenti incomprensibili. Lo stile è nello stesso tempo scultorio e
negletto, vivo e pieno di ripetizioni, che riflette bene, anche nella forma, la predicazione di Pietro.
III.
Scopo.
Scopo del secondo Vangelo è dimostrare che Cristo è Figlio di Dio. Questa tesi, esposta
dall'autore al principio del suo Vangelo (1.1) è dimostrata dalla potenza di Cristo, che opera
strepitosi miracoli. Possiamo affermare che Marco abbia scritto il suo Vangelo dopo quello aramaico di Matteo e prima che Luca scrivesse il proprio (che
dipende da Marco) e gli Atti degli Apostoli, cioè fra il 55 e il 58.