LE 13 MOSSE DELL'ARTE DI EDUCARE

 

 

7. CASTIGARE

 

Intanto sia subito chiaro: castigare non è il verbo più importante dell'arte di educare.
Più importanti sono altri verbi, come, ad esempio, parlare, amare, risplendere. Questi sono i tre verbi portanti dell'educazione.
Parlare perché educare è far succedere fatti interiori, educare è convincere. Ora, solo la parola convince. Amare perché la nostra influenza arriva solo fin dove arriva il nostro amore. Risplendere perché educare non è salire in cattedra, ma è tracciare un sentiero: è mostrare, è risplendere: è essere ciò che si vuole trasmettere.
Tutto questo è vero, però anche il verbo castigare deve occupare un posto di tutto rispetto nell'arte di educare

 

Il castigo è legittimo per più d'una ragione. È legittimo perché avverte che non tutto è lecito, non tutto è permesso. Non è lecito picchiare un compagno, non è lecito rubare la roba agli altri, non è lecito sradicare i fiori del giardino, attraversare di corsa le strade... Chi infrange tali regole, deve accorgersene! Il castigo serve, appunto, a questo.
Lasciar correre sarebbe uno sbaglio da cartellino rosso. Un bambino abituato alla totale impunità è un candidato alla prepotenza, alla sopraffazione!
Il castigo è legittimo perché, soprattutto i piccoli, hanno bisogno di sentire che i genitori hanno la situazione in mano: ciò li aiuta a crescere più sicuri. Il castigo dimostra, appunto, che c'è qualcuno che sa come ci si deve comportare: ciò dà tranquillità al bambino.
Il castigo è legittimo perché stimola la volontà. Le punizioni sono sempre spiacevoli, sia per chi le dà sia per chi le riceve. Ebbene, ciò che è spiacevole rafforza la volontà. Servizio quanto mai opportuno per i nostri ragazzi così devitalizzati da avere, ormai, la grinta del pesce bollito o della mozzarella!
Finalmente, il castigo è legittimo perché sovente è la via più immediata e sicura per evitare spiacevoli conseguenze. Il bambino si sta sporgendo dal davanzale? Mette le dita nella presa della corrente? Qui un castigo immediato è quel che ci vuole. Lancia pietre a vanvera? Gli blocchiamo il braccio! Tira calci ai compagni di gioco? Lo facciamo uscire immediatamente dal campo.

 

La mappa dei castighi
Insomma, la presenza del castigo nell'educazione è più che legittima. Così legittima che nessun pedagogista ne ha mai messo in dubbio la validità! Semmai si è discusso sui tipi di castighi di cui possiamo disporre e sul modo di gestire la punizione. Lo spazio a disposizione ci obbliga a fermarci quasi esclusivamente sulla mappa dei castighi.
Dunque abbiamo i castighi corporali.
Sberle, ceffoni, bacchettate... Sono castighi da bandire, da non usare mai, sia perché proibiti dalla legge, sia perché hanno pesanti conseguenze negative su chi li subisce: provocano risentimento, umiliazioni, scuotono il mondo emotivo del figlio. Alla larga, dunque, dai maltrattamenti fisici! Formano catene di violenti. Chi è stato picchiato da piccolo, sarà portato a rifarsi da grande su altri.
Un secondo tipo di castigo è l'ironia, il sarcasmo, la presa in giro. "Oh, eccolo il signorino con le mani di pastafrolla. Dovremo starti accanto dal pannolino al pannolone!". Tra tutti, il castigo dell'ironia è il più dannoso: ferisce l'autostima che è una forza fondamentale della crescita.
Terzo tipo di castigo: la privazione di comodi e piaceri. "Non ti sei comportato bene: oggi niente patatine!". "Hai bisticciato con la sorella: questa sera niente televisione!"...
Questo è un castigo che si può sfruttare: avverte del male fatto e richiede un qualche sacrificio.
Quarto tipo di castigo: il castigo morale. Consiste nel mostrarsi tristi, dispiaciuti del male fatto.
È castigo morale non parlare con il bambino per un certo tempo: "Hai detto tante bugie non ho più voglia di parlare con te!". È castigo morale dimostrarsi di malumore. È castigo morale evitare tutti i diminutivi. Il castigo morale è castigo ' nobile': non sporca le mani, non urla.
Il castigo morale generalmente funziona, specialmente con il piccolo. A tale tipo di castigo vanno tutte le nostre preferenze.

 

 

E SE VI SCAPPA LA MANO?
"Se una volta vi è 'scappata la mano', non angosciatevi, non fatene una tragedia.
Capita, capita a tutti, anche a me, lo confesso pubblicamente, è capitato.
L'importante è che non diventi un 'metodo educativo' e tanto meno un'abitudine.
Ai bambini più piccoli basterà aggiungere un pò di affetto e sarete immediatamente perdonati.
E, per quel che riguarda i più grandicelli, non pensate che sia vietato chiedere scusa e spiegare il motivo di quello 'scatto'. Non perderete la faccia, anzi acquisterete maggior rispetto perché lui o lei si sentirà più rispettato". (Riccardo Renzi educatore)

 

 

UN CASTIGO INDOVINATO
Marco, un ragazzo di dodici anni, con genitori in lotta continua, un mattino uccide a calci e pugni un gattino davanti ai compagni di gioco nel cortile del condominio.
Il giudice dei minori decide di punirlo perché impari a rispettare gli animali.
Per sei mesi Marco dovrà occuparsi di un gattile, il ricovero dei gatti randagi.
Dovrà lavare le gambe e le orecchie ai gatti, dovrà tenere in ordine le loro cuccette e, prima di tornare a casa alla sera, dovrà dare "almeno due carezze ad ogni animale".
La punizione funziona a meraviglia!
La responsabile del gattile racconta: "All'inizio il ragazzo viveva l'incarico come una imposizione assurda. Poi, poco per volta, le carezze obbligatorie sono divenute spontanee. Alla fine tra il piccolo maltrattatore ed i gatti si è creato un feeling insospettato... Ora Marco ha un cane, e lo adora".
Il fatto, avvenuto nel gennaio 2006, è un magnifico esempio di castigo intelligente che raggiunge il suo scopo: non condannare, non umiliare, ma educare.

 

 

UN CASTIGO SBAGLIATO
Un mattino il maestro corregge pubblicamente i temi. Quando è la volta del lavoro di Lucia, si rivolge all'alunna, un pò grassottella e scandisce: "Adesso capisco perché sei così cicciottella: mangi tutto, persino gli accenti, le virgole, i punti!".
I compagni ridono divertiti, Lucia si sente fortemente ferita 'dentro'.
Ecco un castigo da disapprovare senza 'se' e senza 'ma'.
Perché colpisce una forza fondamentale della crescita: l'autostima.
Perché dimentica una verità: i piccoli possono avere sofferenze grandi.

 

 

CASTIGHIAMO MOTIVANDO
Il castigo, da solo, non risolve nulla. Ha efficacia pedagogica solo se motivato e capito. Con i "Qui comando io!" ed i "È così perché è così!", si formano terrorizzati, non educati!
Il figlio, sia pure piccolissimo, deve venire a conoscere le ragioni del castigo. Solo così viene illuminato e può capire il perché del suo comportamento non buono.
"Non hai avuto voglia di raccogliere la carta che hai gettato per terra, così io non ho voglia di prenderti in braccio!", "Hai aspettato troppo tempo prima di metterti a fare il compito, anch'io aspetto a darti la merenda, a preparare la cena...".
No, non sono ricatti, ma argomenti minimi su misura di bambino e di fanciullo. Argomenti che fanno intuire al piccolo che il castigo non dipende dal nostro umore o dalla nostra forza, ma dalla ragione. È chiaro che in età preadolescenziale ed adolescenziale, le motivazioni dovranno essere più razionali e profonde. La droga, ad esempio, è punibile perché drogarsi è rottamarsi, è autodistruggersi...

 

 

8. ASCOLTARE

 

Sì, ascoltare i figli perché l'ascolto è una delle più belle facce dell'amore. Perché forse non vi è via migliore per imparare a fare i genitori che quella di "sentire" i figli.

 

A sentire i figli non si sbaglia mai
A sentire i figli non abbiamo che da guadagnarci.
I figli (specialmente se bambini) ci dicono subito quello che pensano.
Lo dicono chiaro e tondo.
Per questo un loro giudizio, una loro opinione, può valere dieci anni di inchieste.
Si noti che parliamo di 'bambini', non di 'adolescenti'. Le parole degli adolescenti, infatti, possono essere filtrate dal loro punto di vista, talora interessato.
Le parole dei bambini, invece, sono senza filtri. Dietro ad esse ci siamo noi, in presa diretta, c'è il nostro modo di comportarci, il nostro modo di educare.
Subito qualche esempio per provare che non stiamo andando per farfalle.
Walter (nove anni) fotografa il papà: "Se rido, quando c'è la partita, papà scoppia!".
Forte è Monica (otto anni): "Papà, vorrei che quando mangi, non sputi nel piatto!".
Molto acuta è Stefania di sette anni appena: "Per la mamma la cosa più brutta del mondo è strisciare sulla cera dell'anticamera. Per il papà è quando non trova i suoi wafer".
Che cosa vogliamo di più per convincerci che i bambini non sono cretini, non sono babbuini? Minori sì, minorati no!
I piccoli hanno le loro opinioni, i loro giudizi sinceri, severi e veri.
Perché, allora, non ascoltarli?
Ha tutte le ragioni la pedagogista Patricia Holland a ricordarci che "sarebbe bene che i bambini venissero 'ascoltati', tanto quanto sono 'guardati'".
D'accordo al 100%! I bambini li guardiamo troppo (fino a non lasciarli respirare!) e li 'ascoltiamo' poco. Ebbene, questa è l'occasione per ascoltarli.
Leggete ciò che segue!
Una sola nota: non ingurgitare, ma sorseggiare, messaggio dopo messaggio, e 'ruminare'.

 

A loro la parola
"A te mamma ho una cosa sola da dirti: che gridi troppo!". (Marco, sei anni)
"Quando a sera torna a casa mio papà mi sembra di essere in vacanza". (Maria, sette anni)
"Mia nonna è come un aspirapolvere: ogni cosa che si poggia per due minuti sul tavolo è sparita!". (Loredana, otto anni)
"Appena c'è il telegiornale papà si mette a gridare: 'ladroni!', 'codardi!', 'banditi!'". (Nicola, otto anni)
"Quando ti recito la lezione, mamma, i tuoi occhi sono sfavillanti e si vedono i tuoi denti bianchi". (Lorenzo, otto anni)
"Tu mamma dici sempre le bugie. Esempio: la sera quando vado a letto, mi dici: 'Mi lavo i denti e poi ti faccio compagnia' e poi non vieni mai. Capisco che sei stanca, ma io preferirei che mi dicessi che non ne hai voglia!". (Laura, dieci anni)
"Io mi arrabbio quando tu mamma mi dici che se nascevo femmina, tu mi chiamavi Michela e poi cominci a chiamarmi Michela". (Franco, undici anni)
"Tu mamma sei stata brava a sposare papà!". (Walter, otto anni)
"La mia mamma fa la casalinga e così deve mantenere anche mio papà che lavora soltanto". (Margherita, sette anni)
"A tavola papà sgrida sempre la mamma perché la bistecca è troppo dura. Io ci rimango male perché le grida di papà mi rovinano la digestione". (Alessandro, nove anni)

 

 

IN CONCRETO
Non diciamo al figlio: "Lasciami in pace. Sono troppo occupato. Cosa vuoi ancora?".
Sediamoci vicino.
Concentriamo la nostra attenzione tranquilla su di lui.
Non sbirciamo continuamente l'orologio.
Guardiamolo in faccia. Non si ascolta solo con le orecchie, ma con tutto se stessi. Si ascolta con lo sguardo, con gli occhi accoglienti che fanno capire che lui, il figlio, rappresenta per noi il mondo.
Ascoltiamolo con il cuore. Dicono che l'amore sia cieco. Niente di più falso! Certe notizie le dà solo il cuore, non la mente!
Ascoltiamolo con simpatia, anche se non siamo d'accordo sui suoi hobby, su alcune sue stranezze.
Non interrompiamolo tutti i momenti, lasciamo che si sfoghi, si sciolga.
Rispondiamo a tono alle eventuali domande.
Se tale sarà il nostro ascolto, non solo regaleremo al figlio un'ottima medicina psichica (l'ascolto è sempre terapeutico!), ma anche una straordinaria esperienza di incontro umanizzante, cioè educante: incontro indimenticabile e più efficace di mille parole.
Le parole si possono dimenticare, gli abbracci no!
Ascoltare è abbracciare!

 

  

 

I DUE AMICI

 

Tanti anni fa vivevano in Cina due amici.
Uno era molto bravo a suonare l'arpa, l'altro era molto bravo ad ascoltarlo.
Quando il primo suonava o cantava una canzone che parlava di montagna, il secondo diceva: "Vedo la montagna come se l'avessi davanti!". Quando il primo suonava a proposito di un ruscello, quello che ascoltava diceva, estasiato: "Sento scorrere l'acqua tra le pietre!".
Ma un triste giorno l'amico che ascoltava si ammalò e morì.
Il primo amico tagliò le corde della sua arpa e non suonò mai più!

 

Esistiamo, veramente, solo se qualcuno ci ascolta!

 

 

Dal Bollettino Salesiano (mesi di Settembre e Ottobre 2013) - COME DON BOSCO - articoli di Pino Pellegrino

 

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