QUINTO MISTERO LA PERDITA E IL RITROVAMENTO DI GESU' NEL TEMPIO
5° GIORNO
Affinchè la predicazione e l'insegnamento nelle scuole possano liberamente compiere la loro opera di cristiana civiltà
CONSIDERAZIONE. Il drammatico episodio dello smarrimento di Gesù dodicenne è descritto dall'Evangelista S. Luca con numerosi particolari, che potè forse raccogliere dalla bocca della stessa Vergine Madre. La particolareggiata narrazione, a preferenza di chi sa quanti altri episodi del lungo trentennio di vita nascosta, è un valido indizio della grande importanza dell'avvenimento: si tratta invero d'un fatto culminante dell'adolescenza del Redentore, di quell'età, in cui un Israelita diventava « filius legis», un maggiorenne, giuridicamente responsabile, quindi, dei propri atti. Probabilmente Gesù s'era già recato, negli anni precedenti, alla Città Santa; ma questa fu la prima volta che vi andò, per rimanervi in modo così drammatico e doloroso per i suoi cari, specialmente per la Madonna. Ella non solo soffriva molto più di S. Giuseppe, per la maggior sensibilità del suo immacolato Cuore, ma anche per la comprensione più profonda della preziosità del grande Tesoro, che Dio aveva loro affidato. Fu solo al termine del primo giorno del viaggio di ritorno, che i Santi Sposi s'accorsero d'aver smarrito il Fanciullo allora soltanto, quando cioè i vari gruppi della carovana si riordinarono nella sosta di pernottamento. Durante tutto il cammino di quella prima giornata, Maria e Giuseppe si conservarono tranquilli, per la sconfinata fiducia i che avevano dell'obbedienza e prudenza di Gesù, ed anche perchè i fanciulli potevano recarsi indistintamente nei diversi gruppi della carovana stessa. Dovettero certo attendere alcuni istanti, nella speranza che il diletto Figlio si facesse vedere, per ricongiungersi a loro. Che istanti penosi, interminabili buon quelli, e come il loro cuore dovette stringersi sempre più dal dolore! Già una certa ordinata quiete s'era raggiunta in tutta quella confusione di pellegrini in sosta; ma Gesù non compariva; lievissima era soltanto più la probabilità di rivederlo in qualcuno dei gruppi, ormai in riposo. Quale ambascia! Con l'animo in ansia indescrivibile, incominciarono le ricerche tra i parenti e gli amici; ma invano! Essi avevano davvero perso — sia pure senza la minima negligenza — non soltanto il Figlio prediletto, il loro Tesoro; ma il Figlio, il Tesoro di Dio, infinitamente più prezioso di tutto l'universo, loro affidato, affinchè Lo custodissero per la sua futura ed universale missione! Tutte le più tremende e crudeli possibilità dovettero sfilare davanti all'animo dei Santi Sposi, immergendone il cuore, nello sconfinato oceano del dolore. — Quale sciagura avrà mai colpito il Divino Fanciullo? Ecco il tremendo interrogativo, che anticipò alla Vergine le inaudite sofferenze, che un giorno avrebbe provate sul Calvario;sofferenze, sotto un certo aspetto, più tremende ancora, per l'incognita trafiggente circa la realtà di quanto poteva essere accaduto a Gesù: Povera Mamma, tutta vibrante nello schianto del suo amoroso Fiat! Quella spada di dolore che il vecchio Simeone Le aveva profetizzato a parole, Le era ora stata dal Redentore ricordata con la terribile eloquenza dei fatti! Certo, anche l'animo di S. Giuseppe era lacerato dalla pena più acuta: l'immensa responsabilità pesava su di lui, Capo della Sacra Famiglia. Questo primato di legale autorità e di responsabilità, e, sotto questo aspetto, di dolore, verrà infatti messo poi in rilievo dalla Madonna stessa, nominando nel suo amoroso lamento, S. Giuseppe, prima di Sè.
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Non avendo dunque trovato Gesù nella comitiva, gli afflittissimi Sposi, il dì seguente, al primo albeggiare, tornarono sui loro passi, per proseguire le ricerche fino alla Città Santa. Per tutta una giornata non Lo trovarono: tacevano gli uomini e taceva il Cielo. Passarono così un'altra notte, peggiore della precedente. Fattosi giorno, ripresero le ricerche, e trovarono finalmente il Fanciullo nel Tempio, seduto, con la più tranquilla serenità, fra i Dottori della Legge. La serenità di Gesù, il quale non aveva impedito, con un facilissimo avviso, la straziante pena da loro provata, fu per essi davvero misteriosa, più misteriosa ancora della stessa sua scomparsa: fu « un divino mistero, tanto grande quanto l'enormità di cotesto dolore». La Madonna allora, sempre
prudentissima, avvicinandosi a Gesù, gli rivolse, senza alcun rimprovero, un'opportuna domanda per chiarire il mistero: « Figlio, perchè ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo!» Queste parole, che associano il dolore di S. Giuseppe a quello della Madonna, sono un'armoniosa risonanza di entrambi i loro Cuori, e rivelazione dei sentimenti affettuosissimi per Gesù. Il castissimo Patriarca aveva un vero cuore di padre per il Redentore, il quale gli apparteneva, perché nato miracolosamente da
Maria, sua vera Sposa. Oh, con quanta tenerezza egli l'aveva tante volte stretto paternamente al suo cuore! Quando poi giunse l'ora, in cui Gesù doveva manifestare al mondo le sue divine grandezze, S. Giuseppe, l'uomo del nascondimento e del silenzio, s'eclissò nel segreto della morte: questa lo colse, qual frutto maturo per l'eternità, prima che il dramma divino della Redenzione fosse compiuto. Il Fiat eroico del totale abbandono in Dio, che tutta la sua vita aveva caratterizzato nell'incognita penosa del misterioso domani, raggiunse l'apice nell'estremo suo distacco, che avvenne, probabilmente, all'inizio della vita pubblica del Salvatore, esempio sublime e consolante a tutte le anime, che non hanno la gioia di vedere compiuti gli eventi bramati e i frutti dell'opera loro!
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Alla domanda della Madonna, rispose Gesù con divina prudenza e tenerissimo amore: « E perchè cercarmi? Non sapevate che io devo occuparmi di ciò che spetta al Padre mio?» La risposta ha l'ampio respiro d'un principio informativo di tutta la vita del Signore ed implica quindi un profetico richiamo all'avvenire». Essa è un insegnamento per tutti i futuri dolorosissimi distacchi del Redentore dai suoi cari, nella vita pubblica e dolorosa, e di cui il presente preannunziava le note caratteristiche e le strazianti modalità. Gli affetti familiari dovevano pure in seguito essere ineluttabilmente mortificati, perché Gesù, Vittima di Redenzione, si sarebbe eroicamente abbandonato al volere del Padre suo celeste. Se lo schianto di quei tre giorni di smarrimento fece sgorgare dal Cuore immacolato di Maria il gemito del suo lamento, che sarà mai, quando il Redentore si separerà da Lei, per salire il
Golgota, fino a togliersi dal suo materno sguardo in un altro triduo, quello del sepolcro? La sua misteriosa risposta preannunziava infatti quella futura realtà; e tutto l'episodio va allineato con la prima andata di Gesù al Tempio tra le braccia della Mamma, il giorno della Purificazione, e con l'oblazione cruenta e totale ch'Egli farà di se stesso sulla Croce.
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Racconta S. Luca che il Fanciullo Gesù fu trovato nel Tempio, « seduto fra i Dottori ad ascoltarli ed interrogarli, mentre gli uditori stupivano della sua sapienza e delle sue risposte». Era il primo sprazzo di luce della sua sapienza divina, bastevole a far ravvisare in Lui il promesso Messia. Ma sarà poi più tardi, nella vita pubblica, ch'Egli dimostrerà d'essere il vero Maestro d'Israele e dell'umanità «vera luce, che illumina ogni uomo, che viene in questo mondo». Gesù Cristo è il Maestro di verità e di santità, non uno scriba qualunque, che si esaurisce nella casistica spicciola e meschina. Egli bada a formare delle coscienze, che sappiano poi governarsi con forza e rettitudine; non dei fantocci, che ad ogni alito di vento abbiano bisogno d'essere raddrizzati. « Io sono la luce del mondo — disse il Redentore: — chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. — Io sono la Via, la Verità e la Vita». Le sublimi verità della sua dottrina ci furono in parte tramandate dagli Evangelisti e dagli Apostoli, delle quali custode e dispensiera è soltanto la Chiesa: perciò, chi ascolta la Chiesa, ascolta Dio medesimo. Nessuno ha il diritto di ostacolare il diffondersi della luce evangelica, e di opporsi alla predicazione della Buona Novella. Il Divino Maestro ha detto agli Apostoli, e, in essi, ai loro successori, alla Chiesa: « Andate ad ammaestrare tutte le genti..., insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandate». Chi ardisse dare l'ostracismo al libero insegnamento religioso, violerebbe la libertà delle coscienze, e non lo farebbe impunemente davanti a Dio. È veramente esecrabile la tendenza di voler creare un regno a parte delle verità, prescindendo dai supremi valori dello spirito umano. Ah! no. L'uomo ha un'anima spirituale, perciò immortale, creata ad immagine del Sommo Fattore, assetata dell'infinito, anelante alla « luce intellettuale, piena d'amore». (DANTE) Perciò lo Stato non può e non deve avere il cosiddetto « monopolio della scuola». La scuola laica, cioè contraria alla Chiesa, non solo non è possibile, ma è contraria al fondamento stesso, su cui deve poggiare l'insegnamento e l'educazione. Come ogni uomo è creato libero ed egli solo è responsabile dei propri atti, così egli è libero di attingere la scienza ove meglio crede, e, in mancanza della piena capacità della scelta, spetta ai genitori, i quali hanno il naturale compito dell'educazione dei propri figli, scegliere la Scuola e l'Istituto che loro sembri meglio corrispondere ai fini dell'insegnamento e dell'educazione. Tuttavia lo Stato, supremo tutore del bene e dell'ordine pubblico, può, a questo suo fine, richiedere opportune garanzie, un esame, alla scuola libera e privata, per impedire il diffondersi d'idee sociali, che possano sovvertire il pacifico andamento della Nazione, o che il grado d'istruzione di coloro che debbono esercitare una data professione, non sia così scarso da recar danno ai propri sudditi. La scuola ha un compito sociale. Si parla tanto di elevazione delle masse, di ascesa del proletariato: ma uno dei mezzi principali di riuscita, è proprio la scuola, dove, senza distinzione di categorie di persone, ognuno può dimostrare tutto il suo valore. Compito dello Stato sarà dunque il disporre le adeguate previdenze, affinchè chiunque ha doni di natura sufficienti, possa, indipendentemente dalla sua posizione sociale, raggiungere quel grado d'istruzione che la sua intelligenza comporta, per una maggiore elevatezza scientifica della Nazione, la quale elevatezza poi indirettamente concorre a formare un più alto grado di benessere sociale. Ma soprattutto, i responsabili nel campo del sapere, devono ricordarsi che insegnare una verità, è mettere in relazione un'anima con il Verbo Divino, eterna sorgente d'ogni infallibile verità. Perciò, tutte le forze spirituali ed intellettuali devono sentirsi mobilitate nell'opera urgente della ricostruzione morale dell'insegnamento e della scuola, da cui dipende, in massima parte, la vita cristiana e il prospero avvenire d'ogni Paese.
FIORETTO. Preghiamo per i predicatori del S. Vangelo, per le scuole e per tutti gli apostoli della verità. Proponiamo d'essere discepoli docili, attenti e devoti del Divino Maestro.
GIACULATORIA. Sedes sapientiae, ora pro nobis.
ESEMPIO
IL CIECO. Quale triste sventura perdere la vista! Non ammirare più la pompa divina dei colori! Vedersi costretti ad aggirarsi con lo sperduto spirito in un mare profondo, interminabile di ombre, come un uccello sperduto in una notte cieca, non è forse un dolore senza conforto? È questa la sventura toccata ad un uomo, non troppo tenero di
Maria. Non vi sarà dunque più
speranza per lui? La Stella del mare non manderà più un filo di luce alle spente sue pupille? Nel fiore dell'età, quando più roseo
gli sorrideva l'avvenire, cieco per sempre? Accanto a lui sta un amico protestante; vedete che contrasto! Gli va parlando dei miracoli che avvengono a Lourdes; un protestante! Povera religione protestante! Ha rinnegato la più bella poesia della religione cattolica: la Madonna, che tiene tra le braccia il Bambino Gesù. Ahimè! in quel deserto non può crescere il bel fiore di
Iesse, Maria. Ora è un protestante che va persuadendo il cieco a domandare dell'acqua di Lourdes; ma il cieco è titubante, perchè, se mai guarisse, dovrebbe, per un sentimento di riconoscenza, riconoscersi debitore d'un intervento del soprannaturale. È il pomeriggio del 10 ottobre 1862. Il cieco, perchè il suo stato va peggiorando, si decide di fare esperimento dell'acqua di Lourdes. L'acqua, per opera dell'amico, è stata mandata a lui. Il cieco s'inginocchia e prega così: « Vergine Santa, abbiate pietà di me e guaritemi dalla mia cecità fisica e morale». O bella e candida Signora dei Pirenei, hai inteso? Questo uomo in Te confida; vorrai Tu, sì buona e graziosa, abbandonarlo? Ecco: il cieco si bagna gli occhi con un panno lino inzuppato nell'acqua misteriosa... Lascio ora a lui la parola: Mi sentii ad un tratto guarito con tale rapidità, che posso paragonare allo scoppio di un fulmine». Vedetelo: per assicurare se stesso, va leggendo cento e più pagine, senza smettere un istante. Passano tre anni dalla guarigione e, memore della sua promessa, si confessa al Padre
Ratisbonne, ebreo convertito. Questo gli dice: « Scrivete la storia dell'apparizione di Lourdes». E il cieco guarito la scrisse e fu il più grande cantore della Madonna di Lourdes. Quella storia passò tradotta in quasi tutte le lingue del mondo. Gloria a
Maria!
(Tratto dal libretto "LE INTENZIONI E I FRUTTI DEL SANTO ROSARIO" - Sac. A.Monticone - 1952)