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INTENZIONI E FRUTTI DEL SANTO ROSARIO

MEDITAZIONI E PREGHIERE

 

 

GIORNO 07

 

Indice

 

  

SECONDO MISTERO LA FLAGELLAZIONE DI GESU' ALLA COLONNA

 

 

7° GIORNO

Per avere la forza di combattere e vincere l'ingordigia delle passioni.

 

CONSIDERAZIONE. Compiuto il sacrilego tradimento, Giuda fuggì disperato a scagliare nel Tempio le inique monete; poi andò ad impiccarsi. Gesù invece, legato dai suoi nemici come il più volgare malfattore, fu trascinato in Gerusalemme, per comparire davanti ai Sommi Sacerdoti Anna e Caifa, e quindi al cospetto del Sinedrio. Questi pronunziò per acclamazione la sentenza di morte, che doveva però essere ratificata il dì seguente da Ponzio Pilato. Intanto, per tutta quella notte nefasta, si fece scempio del Redentore; poi, al primo albeggiare, fu condotto dinanzi al Governatore Romano. Costui stava nel Pretorio ad attendere quale potesse essere l'epilogo del funesto dramma, di cui gli era giunta l'eco dei primi tragici avvenimenti. Appena sentì la folla tumultuante, che gli trascinava davanti il presunto Reo, Pilato domandò ad alta voce: « Che accusa mi portate contro quest'uomo?» Indignati risposero i nemici di Gesù: « Se non fosse un malfattore, non l'avremmo condotto dinanzi a te». Ed incominciarono, vociferando paurosamente, ad accusare il paziente Salvatore con le più sfacciate menzogne. In quel baccano indiavolato, il giudice riuscì a capire che il Nazzareno era Galileo, e, con un riprovevole ripiego, lo mandò ad Erode. Il famigerato assassino del Battista, desiderando di vedere compiere da Gesù qualche prodigio, Gli fece molte interrogazioni; ma non meritò alcuna risposta. L'empio e dissoluto monarca assai se ne indispettì; e, dopo aver disprezzato villanamente il mite Signore, lo fece vestire da pazzo e lo rimandò a Pilato. Dispiacque a costui che fosse riuscito vano il suo espediente; e, persistendo i nemici di Gesù nell'accusarlo come reo di morte, pensò di fare un altro tentativo, pur di allontanare da sè la responsabilità di quell'iniquo processo. Era consuetudine presso gli Ebrei che il Procuratore Romano liberasse, in occasione della Pasqua, un carcerato scelto dalla folla. Ora, in prigione era detenuto un famigerato malfattore, di nome Barabba: costui era il terrore della Palestina; e, in una sedizione popolare, aveva commesso un omicidio. Il preside Romano, convintissimo dell'innocenza del Nazareno — sapeva infatti che solo per invidia glielo avevano condotto — sperava che, se avesse proposto agli accusatori la grazia o di Gesù o di Barabba, la scelta sarebbe certamente caduta sul primo. Si presentò quindi alla turba e domandò: « Chi volete che vi liberi: Barabba o Gesù, detto il Cristo?» Il popolo, istigato dai Sinedristi, dimenticando gli orrendi delitti dell'assassino e gl'innumerevoli benefici del Salvatore, gridò selvaggiamente: « Barabba!» Allora Pilato, rimasto sorpreso e sconcertato, graziò il terribile delinquente; poi, con un procedimento iniquo, cercando ripieghi, sottopose Gesù alla flagellazione. 

 

* * * 

 

Presso gli Ebrei questa pena era inflitta agli schiavi, e due erano i modi con cui veniva eseguita: uno, secondo l'uso ebraico, col quale si faceva stendere per terra il paziente e gli si davano, con staffili di cuoio, non più di trentanove sferzate; l'altro, all'uso romano, che ordinava doversi spogliare il reo e legarsi per i polsi ad una colonna, in modo da offrire il dorso ricurvo. I colpi erano dati con una robusta frusta a molte code di cuoio, appesantita da pallottole di metallo o armate di punte aguzze. La durata di così atroce supplizio dipendeva solo dall'arbitrio dei flagellatori o dalla resistenza del paziente. Se il reo era destinato alla pena di morte, si poteva infierire liberamente sul suo corpo, tanto da ridurlo ad un mostro ripugnante e spaventoso. Alle prime frustate « il collo, il dorso, i fianchi, le braccia, le gambe s'illividivano; quindi si rigavano di strisce bluastre e di bolle tumefatte; poi man mano la pelle e i muscoli si squarciavano, e dappertutto rigurgitava sangue; alla fine il flagellato era diventato un ammasso di carni sanguinolente, sfigurato in tutti i suoi lineamenti» (Rimorsi). Molte volte il paziente sveniva sotto i colpi; spesso vi lasciava anche la vita. A quest'atrocissima pena fu condannato il Divin Redentore! E chi può ridire quale sia stato lo strazio della Madonna alla notizia che Gesù doveva essere flagellato? Accompagnata da pie donne, Ella, probabilmente, si recò nelle vicinanze del Pretorio: là vide i sinistri preparativi e la colonna; là udì gli urli della folla inferocita e le parole blasfeme degli aguzzini. Ed ecco, mentre un po' in disparte era prostrata in lacrime ed in preghiera, giungere alle sue orecchie i primi colpi dei flagelli; poi altri ed altri ancora, fino a quando il Sacro Corpo del suo Divin Figliuolo fu ridotto ad un ammasso di carne martoriata. S. Lorenzo Giustiniani, rivolgendosi al Redentore, con devoto affetto Gli domanda: « O Gesù buono, e chi mai ti tenne legato a tale colonna e ti fece sopportare tanti flagelli?» Alla quale domanda egli stesso risponde: « Fu l'amore!» Sì, fu l'amore infinito che Gli fece desiderare quei crudeli flagelli e quelle laceranti battiture, per espiare le voluttà profanatrici del corpo umano, che dovrebbe essere vivo tempio dello Spirito Santo. Fu lo spaventoso adempimento del vaticinici d'Isaia: « Veramente Egli prese sopra di Sè i nostri mali, portò i nostri dolori; e noi Lo reputammo come un lebbroso, come un percosso da Dio ed umiliato. Egli invece fu piagato a causa delle nostre iniquità, e fu trafitto per le nostre scelleratezze... Per le Sue lividure fummo risanati». 

 

* * * 

 

In questo mistero d'amore e di dolore, Gesù ha voluto espiare l'ingordigia delle passioni umane. Esse sono energie innate, che inclinano l'uomo all'azione. Prima del peccato originale erano regolate dalla ragione, docili alla volontà, aiuto e spinta per il bene; dopo la fatale colpa, la mente s'oscurò, la volontà s'indebolì, e le passioni, cieche ed impertinenti, si rafforzarono, divenendo un prepotente incentivo al male. Alcune passioni agiscono più direttamente sulle facoltà dell'anima, come la superbia, che innalza la mente e la volontà al di sopra di se stesse; altre, invece, tendono ad accontentare il corpo coi suoi sensi, al servizio dei quali cercano di piegare lo spirito. Se non sono represse da principio, le passioni s'ingagliardiscono e possono trascinare ai più gravi eccessi: l'ira infatti istigò Caino ad uccidere il fratello Abele; l'avarizia spinse Giuda a tradire il Divino Maestro. L'ubriaco bevendo, non spegne la sete, ma l'accresce; il libertino, avvoltolandosi nel fango, attizza maggiormente la febbre dei piaceri sensuali ed illeciti. Si dice comunemente che le passioni: dapprima chiedono, poi comandano, infine costringono. Esse sono come le acque d'un fiume in piena: se non vengono regolate a tempo e convogliate verso un fine buono, possono straripare ad ogni istante e trascinare l'intelligenza e la volontà al disordine, causando ingenti mali morali e materiali. Diventano sovente dei veri tiranni, che incatenano in tremenda schiavitù i poveri mondani, solo più assetati dell'acqua fangosa dei piaceri sensuali. Provatevi, infatti, a spiegare all'ubriaco i danni che produce l'eccesso del bere: vi riderà in faccia e continuerà a tracannare un bicchiere dopo l'altro. Il corpo, quand'è accontentato nelle sue richieste non necessarie, diventa uno strumento inadatto alle operazioni dell'anima. L'eccessivo nutrimento e i piaceri del senso intorpidiscono la ragione, infiacchiscono la volontà, che diviene impotente a dominare i sensi e le facoltà inferiori; la memoria s'indebolisce, e si spegne ogni buono e nobile sentimento. Le soddisfazioni dei sensi nuocciono poi al corpo stesso. Gli ospedali, i manicomi, le case di salute sono piene di persone sovente rovinate dal vizio della gola e della lussuria. Molti Dottori asseriscono che la maggior parte delle malattie sono causate dagli eccessi del vizio. Non parliamo poi delle carceri!... Un proverbio dice: « Ne uccide più la gola che la spada ». Perciò la Chiesa, Madre sapiente e buona, impone ai suoi figli spirituali — secondo determinate leggi di età, tempo e circostanze — astinenze e digiuni, « per penitenza dei peccati, per mortificazione della gola e delle passioni, e per altre necessità particolari», come, per esempio, la cessazione di pubblici flagelli: guerre, carestie, pestilenze... Tutta la nostra vita deve perciò scorrere fra due solide muraglie: l'una illumina l'intelligenza, ed è la verità, conosciuta attraverso la natura e la rivelazione; l'altra è la legge divina, compendiata nei dieci Comandamenti, che regolano la volontà. Il Divino Maestro, dall'alto d'una montagna, ha indicato la via sicura della felicità, proclamando all'umanità le otto beatitudini evangeliche. Con brevi e scultoree sentenze, Egli volle riassumere le virtù maggiormente necessarie ai suoi seguaci, per possedere quaggiù, in parte, la vera beatitudine del cuore, che sarà perfezionata e resa completa in Paradiso. 

 

FIORETTO. Vigiliamo sui nostri sensi e mortifichiamo le nostre passioni, soprattutto quella predominante. 

 

GIACULATORIA. O Maria, che siete entrata nel mondo senza macchia, deh, ottenetemi da Dio ch'io possa uscirne senza colpa! 

 

ESEMPIO 
DALLA RUSSIA... « Scrivo col cuore pieno di commozione e di gioia. Questa mattina... ho celebrato la Messa al campo ad alcuni soldati un po' indietro dalla prima linea. Ai soldati in primissima linea non potrò mai celebrarla, poichè non lo permette il terreno sempre pianeggiante e scoperto: appena appena posso far loro delle visite brevi e sempre di corsa da un punto all'altro. Ho dato la S. Comunione, tra il primo Venerdì ed oggi, ad una cinquantina di soldati: ma quello che mi ha riempito il cuore di gioia è stato un mio tenente, che da bambino è vissuto ferocemente avverso alla religione: oggi ha ricevuto l'Eucaristia. Un uomo che nella vita bizzarra ne ha combinato di tutti i colori: ha scritto contro la Chiesa, ha tolto dalla casa, e contro la volontà della mamma, tutte le immagini sacre ed i crocifissi; era insomma un miscredente dei più dannosi. Come tale soltanto ora mi si è rivelato; lo conoscevo però da N., in Italia, già lontano dalla religione, e quando nella caserma, dove risiedeva il nostro reggimento, organizzai la Cresima dei miei cinquanta soldati e di due ufficiali, egli gentilmente, ma risolutamente, si rifiutò. Nonostante tutto io lo trattavo da amico, ed egli mi ricambiava l'affetto, poichè è stato sempre un amico nobile e sincero. Ieri... ritornò dall'Ospedale al reparto, dopo essere stato colà una dozzina di giorni, ricoverato per una feria alla bocca da scheggia di mortaio. Appena mi vide, mi salutò affettuosamente, come prima della terribile battaglia, in cui rimase ferito. "Domani, — mi disse — se celebri la Messa, farò la Comunione: l'ho fatta due o tre volte da bambino e poi non più: domani sarà come il giorno della Prima Comunione. Mi son trovato durante la battaglia a quindici metri dai Russi, che mi presero a raffiche con i loro fucili mitragliatori. Il fuoco dei mortai era intenso e le bombe cadevano accanto senza ledermi. Una forza irresistibile mi sollevò la mano, ed io misteriosamente mi segnai col segno della croce. Avevo indosso una piccola medaglia della Madonna, che la fidanzata prima di partire, benchè sapesse che io non credevo, mi fece promettere che non l'avrei mai tolta da me: tutto avevo perduto, non mi era rimasta che quella medaglia nella tasca interna della giubba: la Madonna mi ha salvato; ora credo fermamente e non mi vergognerò della mia fede". Infatti confessava con sincerità il suo nuovo stato di animo ai suoi colleghi e la sua anima era raggiante. La grazia di Dio, per colpirlo in pieno, aveva atteso il momento cruciale, quando l'uomo dinanzi alla morte si trova a tu per tu con la propria coscienza, e aveva vinto. In questi momenti terribili mi son trovato anch'io, e mai ho sentito ed invocato il Signore come in quegli istanti, in cui toccavo con mano l'assistenza e la protezione divina. — Povera mamma! — mi diceva l'ufficiale piangendo — quante lacrime le ho fatto versare! La ritroverò vecchia e con i capelli bianchi: chissà che dirà quando leggerà la mia lettera! Certamente non crederà alle mie parole. Le aveva scritto infatti: "Mamma, domani farò la Comunione: nella terra dei senza Dio ho imparato a conoscere la grandezza di Dio!...". Oh! com'è dolce e consolante spesso esclamare, in questo ed in tanti altri casi: « Bella Immortal! benefica Fede ai trionfi avvezza!...». 

 

(Tratto dal libretto "LE INTENZIONI E I FRUTTI DEL SANTO ROSARIO" - Sac. A.Monticone - 1952)

 

 

 

 

 

 

FIORETTO DEL GIORNO:

 

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