SECONDO MISTERO LA VISITA DI MARIA VERGINE A SANTA ELISABETTA
17° GIORNO
La carità operosa
CONSIDERAZIONE. Nella visita a S. Elisabetta, la Madonna ci dà un esempio assai eloquente di carità operosa e di vita apostolica, Lei che doveva essere la Regina degli Apostoli. L'Arcangelo Gabriele non aveva formulato nessun comando, anzi neppure alcun esplicito invito alla Beata Vergine. Ella, tuttavia, profondamente riflessiva, bramò di conformarsi, con massima prontezza, anche ai minimi desideri del Signore. Per comprendere la grande carità di
Maria, non bisogna dimenticare i pericoli e le particolari difficoltà del viaggio, giacchè la città di
Ebron, a Sud di Gerusalemme, distava circa centocinquanta chilometri da
Nazaret. Quella della Madonna fu carità squisita, quella carità, cioè, che non mira soltanto al necessario, ma anche al semplice conforto e sollievo; carità simile a quella che rifulgerà nuovamente alle nozze di
Cana. Fu Gesù stesso che accese nella Mamma sua l'ardente fiamma della carità apostolica, e lungo tutto il cammino verso Ebron Le comunicò il sempre rinnovato ardore del suo Cuore Divino. In questo mistero possiamo rilevare il contrasto della novella con la prima Eva: questa, dopo l'atto di ribellione al Signore, trascinò anche Adamo nel peccato;
Maria, invece, dopo il Fiat della perfetta ubbidienza, s'affrettò a comunicare agli altri il suo ardente divino amore. In quella visita vi fu effettivamente una miracolosa fecondità apostolica. Tre grandiosi prodigi si compirono: il primo fu l'esultanza del Battista ancor nel seno materno: un miracoloso acquisto, dunque, almeno per quel momento, dell'uso della ragione. Il secondo prodigio fu la santificazione del Precursore di Gesù e il suo riempimento di grazia; segno ne fu la stessa soprannaturale esultanza. Il terzo prodigio fu l'abbondanza dello Spirito Santo in Elisabetta: «
...et repleta est Spiritu Sancto Elisabeth». La Madonna, dunque, col minimo dei mezzi — cioè con la sua presenza e il suo saluto — ottenne il massimo effetto. Ottenne la grazia, perchè era la « piena di grazia», e portava in seno l'Autore stesso della grazia. Ella era attivamente unita al Verbo Incarnato; così si comprende il segreto supremo della sua carità operosa: la vita interiore. Se Maria è stata così benefica al primo incontro con Santa Elisabetta, chi può immaginare quanti altri tesori di grazia avrà Ella comunicati durante i tre mesi della sua permanenza nella fortunata casa della sua cugina?
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Il Verbo Divino discese fra gli uomini, per essere il loro Maestro, per insegnare a saper soffrire, a saper amare, e perdonare: « Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano e pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano, affinchè siate figli del Padre vostro che è nei Cieli, il quale fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, e manda la pioggia sopra i giusti e ingiusti». Gesù ha proclamato ad alta voce la legge del perdono: « Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati. Perdonate e vi sarà perdonato». E soggiunse: « Sarà a voi rimisurato con la misura con la quale avrete misurato». Questo, infatti, noi lo chiediamo nel Pater, quando diciamo: « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Le tenebre che si addenseranno improvvise e funeree attorno alla Croce, non impediranno alle pupille del Redentore di seguire le frecce avvelenate, che dal mondo ingrato — da ogni parte, in ogni tempo — sarebbero scoccate contro il suo Cuore Divino e contro il suo Regno d'amore. Ma da quella medesima Croce, Gesù per tutti implorerà il perdono. La nostra natura corrotta si ribella contro questo atto generoso, e vorrebbe ripristinar la legge antica: « Occhio per occhio, dente per dente»; ma così non saremmo seguaci di Gesù Cristo e non avremmo nessun diritto al suo perdono. Egli non aspetta neppure di essere prevenuto da riparazione; è Lui, per primo, che ci offre il perdono, che lo implora dal suo Divin Padre. Coloro che soffrono per causa dei cattivi, non dimentichino il segreto per attirare su di essi la grazia della conversione: quello della pazienza, della caritatevole sopportazione. La Religione di Cristo è la scuola più alta, più veritiera, più grandiosa di fratellanza che i popoli abbiano conosciuto. Ah! se gl'infelici imparassero a soffrire meglio, e se i fortunati imparassero ad amare più
cristianamente, quale aurora di pace e di bontà spunterebbe sul mondo. È sommamente necessario che la voce del Nazzareno ancor faccia sentire l'invito alla cristiana rassegnazione e alla fraterna solidarietà fra le nazioni moderne, così lugubri e sconvolte, nelle quali in alto si vede tanta corruzione e durezza di cuore, e in basso, ahimè! tanto spirito di rivolta e di disperazione.
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Chi ha carità giammai si piega ad incensare il vizio, perchè vestito di seta, o a calpestare la virtù, perchè coperta di poveri cenci. Ma, fedele assertore della verità e della giustizia, agisce senza imposture e sotterfugi; non approfitta dell'altrui debolezza o incapacità; non disprezza gl'inferiori, ma affronta senza temerità tutti i pericoli, piuttosto che commettere una viltà, un'azione ignobile, un'ingiustizia. E se tutto perde e l'intento fallisce, si considera ancor forte abbastanza, e sicuro, nella sua coscienza retta; simile al romano Stefano Colonna, che, sorpreso fuori dei suoi castelli, dai nemici, allorquando questi, per mordace ironia, gli domandarono: — Dov'è la tua fortezza — si portò la mano sul petto e con fierezza rispose: — Qui, nella mia coscienza! I gaudenti, i superbi, non amano Dio e neppure il prossimo, immagine vivente del Signore. Essi sono duri, sprezzanti verso coloro che soffrono; cercano, anzi, con prontezza ed orrore, di evitarli; dai poveri e dagli ammalati, stanno lontani il più che è possibile. Ogni giorno, purtroppo, si ripete la storia del ricco Epulone, che banchetta allegramente coi suoi amici, e lascia morir di fame il povero Lazzaro! Ogni giorno il lusso, lo sfarzo, la gioia mondana, ridono e cantano e danzano sopra gli stracci della miseria, senza il minimo sentimento per l'indigenza che li attornia. Ma la misericordia eterna del Signore è riservata a coloro che in ogni uomo sanno vedere un fratello, che in ciascuno contemplano l'immagine di Dio, il tabernacolo dello Spirito Santo, un membro del Corpo Mistico di Cristo; che sotto gli stracci del mendicante riconoscono il Divin Pellegrino; che sotto il viso scarno dell'affamato scorgono il volto di Gesù; che nell'ammalato febbricitante ravvisano il Redentore agonizzante sulla Croce. Di costoro sarà il regno dei cieli, la suprema misericordia, complemento e corona di tutte le altre misericordie.
FIORETTO. Siamo facili alla misericordia, al perdono; esercitiamo, secondo le nostre forze e possibilità, le opere di misericordia corporale e spirituale verso il prossimo. Gesù un giorno ci dirà: « Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi sin dalla fondazione del mondo».
GIACULATORIA. O Maria, fate fiorire nel nostro cuore la rosa della carità: Rosa
mystica, ora pro nobis.
ESEMPIO
SALVAMI! SS. MADRE. DI DIO: La sera del giorno 10.3.25, nel coricarmi mi sorprende un forte attacco di emottisi: sangue e sangue in espettorazioni frequenti, precedute da colpi di tosse. Che orrore! L'indomani mattina vengono al mio capezzale i dottori: Angelo Marina, Giovanni Loro e Giovanni
Alacevich. La diagnosi della consulta mette sgomento. Mi curerà il Dott. Angelo Marina, su cui i miei han riposto la loro fiducia... Degente da oltre un mese per pleurite, polmonite, bronchite, otite; sospeso a un fil di respiro, che mi teneva fra la vita e la morte da giorni, spacciato dal medico curante, che aveva dichiarato esaurite tutte le risorse della medicina e chirurgia, finalmente mi decisi: — Mamma! — chiamai con un soffio di voce che mi moriva nella gola — va a farmi iscrivere nella Confraternita della Madonna di Pompei, e procurami il libriccino della supplica alla Vergine SS. per i casi disperati. Andrò... Frattanto raccolsi in ultimo sforzo supremo tulle le forze della mia mente, del mio cuore, del mio animo, e, in uno slancio disperato di passione per la vita, mi gettai in ginocchio ai piedi della Vergine Santa: — Salvami! — la supplicai con la voce rotta dal pianto e cogli occhi gonfi di lacrime. — Salvami! Santissima Madre di Dio, chè non voglio morire. Sarò tuo figlio fedele per tutta la vita; crederò, vivrò da vero cristiano, mi cingerò come di un'arma del tuo Santo Rosario, ne farò il mio scudo e la mia devozione, lo reciterò intero, per due mesi, in segno di gratitudine, appena mi concederai la forza di poterlo fare; ma salvami, Madre Benedetta, salvami!!!... E m'accasciai, per tanto sforzo, nel pianto dirotto e scorato, che mi sopraffece. Tornò la mia povera e desolata madre col libriccino della Supplica alla Vergine; lo baciai e lo strinsi fra il petto e le mani incrociate, in segno di consacrazione del voto... Tornò la mattina seguente il medico a visitarmi: si chinò su di me, mi ascoltò sul petto, sulla schiena, facendomi respirare e contare; picchiò con la destra sul dorso delle dita della sua mano sinistra, che faceva scorrere per tutta la mia schiena; poi rizzatosi, in un gesto dì sorpresa e di smarrimento, che più chiaramente gli si leggeva sul volto, fra la meraviglia degli
astanti: Ma non ha più niente! gli è proprio tutto sparito — esclamò — è un vero prodigio! — E rimase lì come a rendersi conto se non fosse vittima d'una allucinazione o di un sogno. Il miracolo era compiuto!
(Tratto dal libretto "LE INTENZIONI E I FRUTTI DEL SANTO ROSARIO" - Sac. A.Monticone - 1952)