TERZO MISTERO LA DISCESA DELLO SPIRITO SANTO
28° GIORNO
L'Amor di Dio
CONSIDERAZIONE. Nella memoranda sera dell'ultima Cena, Gèsù s'intrattenne a lungo coi suoi Apostoli. Era imminente ormai la sua Passione e la dipartita: allora diede libero sfogo alla piena degli affetti, versando tutto il suo divin Cuore. Promise anche ai suoi cari lo Spirito Santo, dicendo: «Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà nel mio nome, v'insegnerà ogni cosa, vi rammenterà tutto quello che v'ho detto». Infatti, dieci giorni dopo la sua gloriosa Ascensione al Cielo, lo Spirito Divino « rinnovator discese» sui congregati con Maria nel Cenacolo. Il Paraclito compì in loro un vero prodigio di trasformazione, soprattutto accendendoli della sacra fiamma della carità e dello zelo, di quello zelo, che è la sovrabbondanza della carità soprannaturale « per cui amiamo Dio per se stesso sopra ogni cosa, ed il prossimo come noi medesimi per amor di Dio».
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Lo Spirito, che Gesù mandò dal Cielo, è l'Amore sostanziale del Padre e del Figlio. È la stessa carità, quella fiamma che faceva esclamare l'Apostolo: «Mi sopraspendo per le anime», e che non gli dava requie: « Caritas Christi urget
nos!» Il Divino Maestro ha detto che il massimo e primo Comandamento è quello di amare il Signore. E questo Comandamento l'ha reso più forte, più esplicito, con le seguenti quattro parole, che ne indicano la misura: « con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la tua intelligenza e con tutta la tua forza». Il « tutto» significa: non a metà, non solo con le labbra, ma con le opere; significa: amore totalitario, perfetto, pienezza dell'amore. L'amore a Dio prende nomi diversi: amore di compiacenza, se ci compiaciamo delle perfezioni del Signore, Lo lodiamo ed esaltiamo; amore di desiderio, se desideriamo ch'Egli sia amato da tutti; amore di tristezza, se ci rattristiamo quand'è offeso e cerchiamo di riparare per quanto ci è possibile; amore effettivo, se non pensiamo, parliamo ed agiamo che per la sua gloria; amore dì obbedienza, se desideriamo che tutti compiano, in ogni cosa e sempre, la divina volontà, e da parte nostra facciamo il possibile perchè si realizzi, anche negli altri, questo sublime ideale di perfezione; amore di abbandono, se ci abbandoniamo, con fiducia assoluta ed immutabile, nelle mani del Signore, affidandoci al suo amore ed alla sua Provvidenza. La carità verso Dio — secondo San Tommaso — ha tre gradi: il primo è quello degl'incipienti, i quali sono disposti a tutto sacrificare piuttosto che offendere il Signore col peccato mortale; il secondo è quello dei
proficienti, disposti a qualsiasi
sacrificio, pur di evitare anche il peccato veniale; il terzo è dei perfetti, disposti a fare quello che maggiormente è gradito a Dio e a sacrificare i loro gusti e preferenze ai gusti e preferenze Sue. Ogni atto, ogni grado di amore al Signore ci perfeziona, ottenendoci una sempre maggior abbondanza di grazia. La carità non conosce limiti.
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Gesù ci ha comandato di amarlo con un amore più che filiale, più che materno, dicendo: « Chi ama il padre e la madre..., il figlio e la figlia più di me, non è degno di me». L'anima ha il suo centro d'attrazione in Dio, « Canto, che muove il sole e altre stelle» (DANTE). Il nostro moto irresistibile verso di Lui, è dunque moto verso l'amore: avanzando in questa virtù, seguiamo la legge più profonda del nostro piccolo essere ragionevole, libero, divinizzato. L'aveva ben compresa questa legge Sant'Agostino, il quale andava esclamando: «Ci hai fatti per te, o Signore, ed il cuor nostro è inquieto finchè non riposi in te». S. Tommaso dice che l'amore è « l'amicizia dell'uomo verso Dio». Il vero amore del Signore ci deve portare, innanzi tutto, all'osservanza dei suoi Comandamenti, perché il compimento della legge è l'amore: « Plenitudo legis est dilectio». Il Salvatore ha infatti detto: « se mi amate, osservate i miei comandamenti». L'Aquila
d'Ippona, con una sentenza precisa e scultorea, ha detto: « ama e fa' ciò che vuoi.». Chi ama è in balia della persona amata, e non fa cosa alcuna che non le sia gradita. Colui che ama Dio osserva tutti i comandamenti, parche essi sono la manifestazione della sua santa volontà. L'amore del Signore fa progredire rapidamente nelle virtù, più di qualsiasi altro mezzo, perchè ci distacca da tutto quanto a Lui può dispiacere. « Quando un campo è pieno di rovi e di erbe cattive, appiccicandovi il fuoco l'agricoltore guadagna di più in poche ore, che sarchiando per parecchie settimane. Così si distruggono più difetti in pochi giorni mediante l'amor di Dio e con il fervore, che in parecchi anni di esami di coscienza, fatti senza lo spirito d'amore» (P.
COTON). Dio merita tutto il nostro amore, perchè nessuno ci amò, nè ci potrà amare come Lui. Egli ha sacrificato per noi lo stesso suo Unigenito Figliuolo. E questo Figlio divino, con immenso amore predicò la Buona Novella, istituì la Chiesa, il Sacerdozio, i Sacramenti; ci donò la Madonna per nostra Madre; e versò per l'umanità, fino all'ultima stilla, il Sangue suo preziosissimo. Chi ama veramente il Signore, gode una pace abbondante. Amore, dunque, schietto, pratico, forte, costante; e la pace, la gioia, il gaudio, che di questo sacro amore sono logica conseguenza. Maestra impareggiabile dell'amor divino è la Madonna. L'anima sua fu sempre assorta in Dio: visse di amore, pianse e soffrì perchè amava, morì di purissimo amore. Ora, dal Paradiso, continua ad amarci col suo grande ed immacolato Cuore. Con la Sua potente intercessione, supplichiamo il Santo Spirito di discendere su noi e sull'umanità, sconvolta dall'odio e dalla violenza.
FIORETTO. Amiamo, con tutto lo slancio del nostro cuore, l'Amore non amato. Preghiamo la Vergine Santa, Madre del bell'Amore, affinchè ci ottenga, dallo Spirito Divino, una più viva fiamma di carità verso il Signore.
GIACULATORIA. Fac ut ardeat cor meum, in amando Christum Deum. (Fa' che il mio cuore arda nell'amare Cristo Dio)
ESEMPIO
DAL DIAVOLO A DIO. È la storia di una peccatrice. Si tratta di un'artista francese di varietà, Eva Lavallière, che aveva fatto andare in visibilio i frequentatori dei teatri parigini. Un giorno del 1916, in villeggiatura, s'incontrò col parroco di
Chanceaux, a cui raccontò, ridendo, che s'era data allo spiritismo e che aveva relazioni col diavolo. — Badate! — le disse il Sacerdote — perchè un giorno potrete trovarvi in diretto contatto con lui. L'attrice riflettè a queste parole e, come illuminata da un raggio improvviso, soggiunse: — Se c'è il diavolo, ci deve pure essere Dio. E allora che faccio io? Che cos'è questa vita?... E subito si decise. Addio, teatro. Addio, mondo. Si fece povera e penitente e si ritirò nel silenzio a Lourdes. Che colpo al mondo parigino! L'aspettavano di ritorno, ma non la videro più. E fantasticavano: dov'è fuggita, e perchè, proprio mentr'era all'apogeo dell'arte e dei suoi trionfi?... Ma nessuno poteva spiegarsi il mistero. Per chi invece capisce le vie di Dio, era l'episodio di Maria Maddalena, di Paolo, di Agostino, di Angela da Foligno, che si rinnovava. Fra gli antichi ammiratori, chi potè rintracciarla, volle chiederle il motivo della sua rinunzia alla gloria e all'arte. Ma essa tacque sempre, tenendosi in cuore il suo segreto. E per esprimere la sua grande rinuncia, si fece Terziaria francescana. A Lourdes la convertita ebbe molte parole alte di conforto da Mons.
Lamaitre, Arcivescovo di Cartagine, il quale, dopo qualche tempo la chiamò in Africa, ove prese la direzione d'un gruppo d'infermiere cattoliche, per curare gli ammalati e i bambini nelle case. Era tutta la sua gioia quest'opera di grande carità. Ma presto si ammalò, le forze l'abbandonarono, dovette obbedire: ritornare in Francia, non potendo più fare altro che soffrire e pregare. E accettò da Dio la sua sorte in giusta espiazione. Soffrire, e quanto! Vide le sue povere carni disfarsi orribilmente. I suoi ultimi anni furono di atroci dolori, eroicamente sopportati, senza mai un lamento. — Ah! Se le mie compagne di teatro — diceva sapessero che cos'è la vita! Stabilitasi a
Thuillieres, in una solitaria campagna dei Volsgi, vi condusse una vita da reclusa. Ogni mattina, alle ore sette, la si vedeva portarsi alla chiesa. La S. Messa, le preghiere, l'ufficio della Beata Vergine, il rosario, la visita al SS. Sacramento, la Via Crucis, le pie letture, occupavano tutta la sua giornata. Essa soffriva e pregava, felice di poter espiare, di cancellare un triste passato con un atto di continuo amor di Dio. La gente la chiamava la « Santa». Quando ormai volgevano al termine i suoi giorni, ella volle lasciare un suo ricordo. Scrisse: «La gloria, i trionfi, tutte le soddisfazioni della vita io li avevo: di essi ora non mi resta che un'amarezza profonda. Niente si può paragonare ad un solo istante d'intima unione con Dio. Oh! mio Signore, come dev'essere dolce il Cielo, al giudicare da questi brevi momenti, nei quali la mia felicità non si può definire con le parole; poichè le parole sono finite e la mia felicità è infinita». Così sentiva la gioia del suo ritorno a Dio. E il 10 luglio 1929, alle cinque del mattino, in piena conoscenza, fissando lo sguardo al Crocifisso, presentatole dal Sacerdote, che le amministrava l'ultima assoluzione, essa reclinava dolcemente il capo e rendeva a Dio l'anima purificata, come una santa. Umile anche in morte, essa volle che sulla sua tomba fosse scolpita la preghiera di santa Taide: « Voi, che mi avete creata, abbiate pietà di me».
(Tratto dal libretto "LE INTENZIONI E I FRUTTI DEL SANTO ROSARIO" - Sac. A.Monticone - 1952)