LE 13 MOSSE DELL'ARTE DI EDUCARE
11. FAR FATICARE
Sì,
anche questa è una delle mosse fondamentali dell'arte di
educare che veniamo proponendo da mesi.
Nessuno ci fraintenda! Non vogliamo vedere i ragazzi soffrire,
non vogliamo tornare al pane nero.
Se parliamo di fatica, è esclusivamente perché non vogliamo
ingannare i nostri figli: ci sta a cuore che crescano liberi e
forti.
La
grande truffa
"A mio figlio non deve mancare niente; non vogliamo che
soffra quello che abbiamo sofferto noi, non vogliamo che faccia
la nostra vita...": è la litania che ha contagiato,
si può dire, tutti i genitori ultima generazione!
Litania insidiosissima, avvelenata!
Sia subito chiaro: non vogliamo tornare al lavoro dell'operaio e
del contadino aggiogati alla fatica come buoi all'aratro!
Ciò che vogliamo dire è ben altra cosa.
Vogliamo ricordare che troppo benessere finisce con l'uccidere
l'essere: il benessere può ingrandire il corpo, ma non liberare
l'anima, non farla divenire se stessa! Vogliamo dire, poi,
che viziare è sempre ingannare! La vita non è una cuccagna;
non è una crociera, non tutti i giorni è Natale o il
compleanno.
Sì, non è mai stato così saggio il nostro più noto pediatra
del secolo scorso, Marcello Bernardi, come quando ha detto a
tutto tondo: "Il pensiero di poter evitare tutte le
battaglie, le delusioni, i dispiaceri, è un pensiero folle,
perché la vita non è così. Anzi, è ben diversa: la vita è
fatta di combattimenti!".
Insomma, educare è anche attrezzare alla fatica!
Educare è porre ostacoli proporzionati allo sviluppo fisico e
psichico del figlio.
Parliamoci chiaro: che cosa succede a far crescere il figlio con
il sedere nel burro? Non succedono che guai. Basta aprire gli
occhi: ecco tanti nostri ragazzi con la grinta del pesce bollito
o della mozzarella. Ragazzi che alla prima difficoltà si
accasciano su se stessi, come cerini esauriti che si
accartocciano. Ragazzi mollicci. Friabili. Pastafrolla. Ragazzi
con le ossa di cristallo. Fiacchi.
Alcuni li hanno definiti 'ragazzi-peluche'. Gli
psicologi parlano di 'psicastenia': mancanza di resistenza alla
fatica.
Al termine di una conferenza qualcuno ha domandato al sociologo:
"Secondo lei la nostra è davvero un generazione 'bruciata'?".
Il conferenziere, pronto: "Macché 'gioventù bruciata'!:
'gioventù bollita'!".
Adesso è chiaro perché parliamo di fatica. Tutto ciò che è
troppo dolce e caramelloso è contro l'Uomo, contro il suo
emergere.
Non è forse vero che senza gli scogli le onde non salirebbero
in alto?
Parliamo di fatica perché è dalla sua assenza che nascono le
quattro più antipatiche malattie della personalità.
Il conformismo: la malattia di chi non ha il coraggio di andare
contro corrente, ma si intruppa e va dove lo porta la massa.
Il minimismo: la malattia di chi vive seduto, senza impegnarsi.
La malattia del sei in tutte le materie, anche nella vita.
L'anguillismo: la malattia di chi sgattaiola via, si nasconde,
ha paura di mostrarsi.
Il 'pilatismo': la malattia di chi si lava le mani: di chi
guarda dalla finestra la storia passare per strada e lascia che
decidano e vivano gli altri!
A questo punto si comprende perché lo psicologo americano
William James (1842-1910) era solito esortare i suoi studenti
universitari: "Fate tutti i giorni due cose solo perché
vi piacerebbe non farle!". Applausi!
Il ragazzo che ha la fortuna di incontrare la pedagogia della
fatica, sarà un ragazzo capace di compiere il proprio dovere,
un ragazzo che tiene duro anche quando la vita mostra i denti;
un ragazzo che non abbandona la partita.Un ragazzo prezioso che
impreziosisce il mondo!
Bentornato
sacrificio!
È pericoloso stare a lungo senza soffrire.
Una giornata senza sacrifici è una giornata di sconfitte: la
volontà si allenta; il nemico (pigrizia, egoismo, animalità...)
troverà più facile vincere.
Che fare, dunque?
La risposta è chiara: riaprire le porte al sacrificio!
I sacrifici possono dividersi in due categorie: i passivi e gli
attivi.
I primi sono quelli imposti (per questo li chiamiamo 'passivi')
dalla vita stessa: il lavoro, lo studio, i disturbi di salute,
la convivenza umana, le condizioni climatiche...
I secondi sono i sacrifici cercati, voluti, preparati da noi
stessi.
Qualche esempio?
Saltare giù dal letto elettricamente, al primo squillo della
sveglia; mangiare le rape che non piacciono; bere un caffè
amaro; soffrire il mal di denti senza dirlo a nessuno; aspettare
che tutti si siano serviti; praticare il digiuno televisivo; non
fare telefonate chilometriche...
Forse qualcuno potrà anche sorridere.
Eppure son proprio questi preziosi sacrifici che tengono a galla
la volontà, perché possa sopportare il prezzo del vivere
umano.
Nessuno sorrida: il sacrificio non è un'idea che poteva valere
prima di Freud. Anche dopo Freud deve restare nella nostra
pedagogia.
• Deve restare perché il comodismo è un inganno, come
abbiamo detto: la vita non è zucchero filato.
• Deve restare perché "chi non sa negarsi qualcosa
di lecito, difficilmente potrà evitare le cose proibite"
(Toth Thiamer, scrittore ungherese vivente).
• Deve restare perché (la riflessione è finissima!) "una
grande felicità ha bisogno di un grande ostacolo" (Robert
Musil, scrittore austriaco: 1880-1942).
Tra gioia e sacrificio, infatti, vi è un rapporto di stretto
gemellaggio. La felicità nasce sulla pianta che ha radici a
forma di croce, si dice in Africa.
D'altronde non è forse vero che una vita troppo facile diventa
una vita noiosa? Dobbiamo dare ragione a Gandhi (1869-1948):
"La storia del mondo sta lì a dimostrare che non vi
sarebbe alcunché di romantico nella vita, se non esistessero i
rischi".
LE CITAZIONI
"Troppo benessere genera il malessere. Genera i gaudenti scontenti. Genera il disagio dell'agio" (Paolo Crepet, psichiatra).
"La mamma troppo valente fa la figlia buona a niente" (Proverbio).
LA VITE E IL POTATORE
Un giorno la vite disse al potatore: "Perché mi stai venendo incontro con quelle forbici? Forse mi vuoi potare come si faceva al tempo d'una volta? Buttale via: non sai che adesso i tempi sono cambiati!?". "Già, rispose il padrone: a pensarci bene non hai torto: non siamo più ai tempi d'una volta!". E poiché i tempi erano cambiati, non la potò. E così in autunno la vite non ebbe uva. Come al solito, vennero gli amici per assaggiare il vino nuovo. "Non c'è vino nuovo. I tempi sono cambiati!" disse, sconsolato, il proprietario della vigna.
12. FARE FESTA
Le nostre tredici mosse dell'arte di educare si stanno esaurendo. Ne restano due. Forse le più simpatiche, certo così fondamentali che, qualora mancassero, renderebbero inefficaci tutte le altre. Stiamo parlando della mossa del 'fare festa' e del 'lasciare un buon ricordo'.
Diritto alla gioia
La gioia è un diritto del figlio. Un diritto assoluto perché
senza gioia la vita è invivibile.
La psicologa Elisabetta Fiorentini è sicura: "La gioia
è importante come il pane e la conoscenza, se non di più!".
La gioia è un diritto del figlio perché è educativa
per natura sua: ci migliora sempre, mentre la tristezza ci
peggiora sempre!
Finalmente, la gioia è un diritto del figlio perché
è illecito rendere acerba la vita a chi in essa è stato
introdotto senza domandargli il permesso.
Insomma, stiamo facendo un discorso serio! Serio ed impegnativo.
La gioia non è un optional: è un pilastro dell'educazione che
ci dà un ordine tassativo: "Genitori, siate felici!".
No, non stiamo prendendo in giro il lettore. Essere genitori
felici è possibile, anche in tempi di crisi come i nostri.
Ci limitiamo a due strategie (molte ne tralasciamo!) che possono
portare serenità a casa nostra.
Due strategie
Intanto, per prima mossa non usiamo la testa come
portaspilli!
Possibile che educare debba essere un lavoro da minatore, da
asfaltatore a ferragosto? È vero: educare non è facile, ma è
esaltante. Nessuno stipendio milionario potrà compensare la
gioia di un lavoro che, giorno dopo giorno, fa sì che chi nasce
uomo diventi umano!
E poi, quando mai fu facile educare? Se avessimo più senso
storico, piagnucoleremmo di meno!
Pensate: già nel quinto secolo avanti Cristo il grande filosofo
greco, Socrate (469-399) si lamentava: "I nostri
ragazzi amano il lusso, ridono dell'autorità, non si alzano in
piedi davanti ad un anziano...".
Andiamo più indietro ancora: su un coccio babilonese, datato
2000 anni avanti Cristo, qualcuno ha scritto: "Questi
giovani sono marci nel cuore, sono malvagi e pigri: dove
arriveremo?".
Siamo arrivati al 2000 dopo Cristo e non fu, certo, tutto male!
Dunque buttiamo nel cestino della carta straccia i pensieri
vestiti a lutto: "A scuola è un disastro!".
"Non mangia!". "È allergico ai
compiti". "È sempre così distratto!"...
Aveva ragione il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012) a
ricordarci che: «Niente è più opprimente che incontrare
genitori che si lamentano in continuazione e non si accorgono
delle meravigliose opportunità che hanno a portata di mano».
Assolutamente vero! L'acqua dei piagnistei non fa muovere la
nave!
La
seconda strategia che ci fa meno tesi e che, di riflesso,
rasserena i figli, è quella di non cadere in alcune trappole.
• Trappola è il bambino da manuale.
I libri di psicologia programmano la giornata del piccolo: alle
9.05 il bagnetto; alle 14 la passeggiata; dopo un tot di minuti
dal pasto, il ruttino...
"Ma il nostro fa il ruttino in ritardo... Sarà
ammalato?".
"Il nostro bambino ha iniziato a parlare verso i due
anni e non al termine del primo, come dice il manuale...: sarà
normale?...". Suvvia: siamo saggi!
I genitori che cadono nella trappola del bambino da manuale
fanno pensare alla storiella della Luna. Una sera l'insegnante
di astronomia mostrava con il dito la Luna, particolarmente
bella, ma gli studenti guardavano il dito, non la Luna!
I libri di psicologia sono il dito: non fermiamoci ad essi; è
il bambino che conta! Vi sono genitori che hanno studiato
pochissimo, ma hanno capito moltissimo. Sono quelli che hanno
semplicemente guardato il bambino con tanto buon senso, senza
tante ansie e preoccupazioni.
• Trappola è il bambino televisivo.
Il bambino televisivo è sempre bello, pulito, non suda mai, non
fa capricci, non ha bisogni, tranne quello di un po' di Nutella,
del resto subito soddisfatto. Spenta la televisione, che
delusione!
Il nostro bambino fa capricci, suda, urla... Occhio, signori! Il
bambino televisivo è una 'bufalata', uno specchietto per le
allodole, per far correre ad acquistare certi prodotti!
• Trappola è il bambino del vicino.
"Lui sì che è bravo! Lui studia. Lui è educato...".
Anche qui, buon senso, genitori! Il prato sempre verde del
vicino potrebbe essere artificiale; la moglie che può sembrare
una tacchina, in realtà è una semplice gallina! Buon senso
diciamo, sì, perché ciò che noi pensiamo degli altri, lo
stesso pensano gli altri nei nostri confronti. È l'irrazionalità
dell'invidia!
In ogni casa vi è un capitale: è il nostro bambino normale!
Godiamocelo!
Basta così. Sono cenni che, pur nella loro brevità, possono
aiutare a comporre il quadro più bello del mondo: un padre, una
madre e i figli che si guardano negli occhi e dicono: "Il
paradiso siamo noi!".
I
DIECI BAMBINI PIÙ FELICI DEL MONDO
1. Il bambino svegliato da due baci: quello di mamma e quello di
papà.
2. Il bambino sudato, dopo aver tanto giocato.
3. Il bambino che si sente raccontare fiabe.
4. Il bambino che non è costretto a fare gli straordinari.
5. Il bambino abbracciato, senza essere soffocato.
6. Il bambino che qualche volta può andare in bicicletta, da
solo, con il papà.
7. Il bambino affidato al Buon Dio.
8. Il bambino che non è trattato come le statuine del presepio
che possono vedere la luce del sole solo quindici giorni
all'anno.
9. Il bambino che non è obbligato a dimostrare d'essere un
genio.
10. Il bambino che può accarezzare il gattino, toccare la neve,
giocare con l'acqua, calpestare le foglie secche in autunno
LE CAPRIOLE DEL SANTO
Un giorno una donna, guardando dalla finestra, vide un grande uomo, un asceta circondato dai bambini del villaggio.
Notò che l'uomo, tutto dimentico della sua dignità, faceva capriole per divertirli.
Fu così colpita da quello spettacolo che chiamò il suo bambino e gli disse: "Figlio, quello è un santo. Puoi andare da lui!".
Dal Bollettino Salesiano (mesi di Aprile e Maggio 2014) - COME DON BOSCO - articoli di Pino Pellegrino
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